Yulia: il volto e la maschera
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 24/14 del 26 febbraio 2014, Santa Margherita da Cortona
Che giudizio portare sulla crisi che si è aperta in Ucraina con la rivoluzione europeista che ha portato alla destituzione del presidente e alla scarcerazione di Yulia Timoshenko?
Come cattolici, saremmo tentati di simpatizzare per chi è sceso in piazza per liberare l’Ucraina dall’influenza russo-scismatica ed avvicinarla all’Occidente: non dimentichiamo la presenza in Ucraina di una Chiesa Cattolica unita che ha sofferto sotto il regime comunista, che ne decretò la soppressione e il ritorno coatto alla cosiddetta “Ortodossia”, una terribile persecuzione.
Non dobbiamo però cadere in un inganno che si ripete, oggi come ieri, a spese dei cattolici. Già nel XIX secolo il Liberalismo, che perseguitava ovunque la Chiesa Cattolica, sembrava sostenere i cattolici quando erano oppressi da regimi illiberali (così ad esempio, nel conflitto tra Belgio e Paesi Bassi, tra Polonia e Russia). Pur non parteggiando per nazioni governate da eretici o scismatici, i cattolici avrebbero dovuto ben guardarsi dal sostener la causa della rivoluzione liberale.
Mutatis mutandis, i cattolici, senza schierarsi con il panslavismo “ortodosso” (malgrado alcune apprezzabili iniziative di Vladimir Putin sia in politica interna che in politica estera), non possono dar mano a rivoluzioni sostenute dagli Stati Uniti e da Israele, nonché dalla finanza internazionale nel nome, sempre abusato, della libertà. L’articolo di Francesco De Palo che segnaliamo (apparso su Il Giornale del 1° dicembre 2013) getta un po’ di luce, ad esempio, sull’eroina falso-ucraina appena scarcerata, Yulia Timoshenko.
In un libro i segreti della “pasionaria” Yulia
Vittima di un complotto internazionale ordito per il predominio del gas o parte integrante di un sistema i cui ingranaggi si muovono “raso il precipizio”? Il caso Julia Tymoshenko visto attraverso le lenti della sua trasformazione di immagine: prima minuta, avvenente e inquieta, di origini ebraico-armene e dai capelli corvini; poi gli studi alla soglia dei trent’anni, gli affari, la politica e quell’acconciatura tradizionale senza precedenti.
Per fare luce su una figura controversa, ecco uno dei primi tentativi inchiestistici presenti in Italia: “Julija Tymošenko – La conquista dell’Ucraina”, di Ulderico Rinaldini (Sandro Teti Editore), con l’introduzione di Alessandro Politi, corredato da alcune interviste realizzate a Kiev nell’estate del 2013 dall’editore. Lo stesso Teti vanta un passato professionale in Ucraina, avendo lavorato a lungo in gioventù in Unione Sovietica, nella redazione italiana dell’agenzia di stampa Novosti.
Ma per quale ragione, soprattutto in Italia, si fatica a decifrare la reale portata del caso Tymoshenko? Il libro-inchiesta propone la tesi della ricostruzione giornalistica asettica, raccontando come abbia avuto origine l’immenso patrimonio economico di Julia, stimato nella cifra folle di undici miliardi di euro. La chiave per comprendere il rapporto tra gas e politica prende il nome di Pavel Lazarienko, ovvero il primo ministro dell’Ucraina tramite cui Julia ha potuto far moltiplicare il proprio business.
Insieme sono riusciti a gestire in modo esclusivo il gas trattato dalle imprese ucraine, riporta il volume. La società di intermediazione della Tymoshenko possedeva i contratti con società russe da cui acquistava il gas per rivenderlo maggiorato di quattro volte il prezzo iniziale, e ricevendo anche prodotti metallurgici di alta qualità. Ma quanti conoscono esattamente il motivo del suo arresto, della sua condanna e l’origine esatta delle sue ricchezze?
In occidente le immagini e le notizie veicolate riguardano per lo più la cosiddetta rivoluzione arancione, la prima vittoria di Janukovich, il colpo di Stato, il terzo turno di elezioni, la vittoria di Julia. Ma non gli interstizi dei rapporti personali, delle dinamiche intestine che esistono in quella fetta di Ucraina assai peculiare: un paese con immensi conglomerati industriali, dall’altissima caratteristica maschilista, dove per una donna è praticamente impossibile emergere e toccare con mano posti di potere e conti a sei cifre.
Ma Julia è stata parte integrante di quello spaccato, una realtà appartenente allo spazio post sovietico degli anni novanta, che nel libro appare con un destino comune rispetto a molti altri oligarchi del Kazakistan o della Russia. Anche se un capitolo a parte meriterebbero ad esempio le agenzie di stampa, gli intrecci tra editoria, politica e imprese, la qualità di informazioni passate al di qua degli Urali su cui ancora troppo pochi sono gli approfondimenti.
Fonte: Il Giornale dell’1/12/2013 (via Fronte del Pensiero – Blog)