Vicino Oriente: le incognite del Libano
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 14/25 del 18 febbraio 2025, San Simeone
Vicino Oriente: le incognite del Libano
Aggiornamenti sulla situazione del Libano, paese con un’alta percentuali di cristiani, in maggioranza cattolici maroniti, in un’intervista al giornalista libanese Camille Eid.
“A Beirut un governo di banchieri con l’ok USA, al Sud Israele non se ne vuole andare”
Israele ha pochi giorni per ritirarsi dal Sud del Libano, ma vuole restare ancora. Intanto a Beirut muove i primi passi il governo Salam
Il Libano ha un governo, fatto di tecnici legati a banche private e con doppia cittadinanza, ma comunque un governo. Un esecutivo che ha preso forma con il placet degli americani e che si trova a dover affrontare una situazione difficile. Oltre alla crisi economica e al problema dei profughi siriani, spiega Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, c’è soprattutto da definire il ritiro dell’IDF dal sud del Libano. Israele, infatti, vuole ritardare nuovamente l’evacuazione della zona per tenere sotto controllo Hezbollah, anche se il gruppo sciita, da parte sua, rimane inattivo dal punto di vista militare, mettendo alla prova l’esercito libanese, cui dovrebbe essere delegata in toto la difesa dei confini.
Che governo è quello di Nawaf Salam, pieno di banchieri e con Hezbollah in un angolo?
Il governo è destinato a dimettersi alle elezioni del maggio 2026, quindi partiamo dal presupposto che, se va bene, avrà 15 mesi di vita, poco per quello che c’è da fare in Libano. Molti dei ministri hanno legami con banche private, ma c’è un altro fatto negativo: 16 su 24 hanno la doppia cittadinanza. Per un libanese della diaspora è una prassi avere anche tre nazionalità diverse, ma un ministro con la doppia cittadinanza a quale Stato sarà fedele?
Che cittadinanza hanno oltre a quella libanese?
Alcuni hanno cittadinanza americana, altri francese. E questo ci fa capire chi ha dato il beneplacito per la scelta dei ministri. Questo vale anche per quelli sciiti: quattro su cinque hanno o la green card o la cittadinanza USA. Per dirla in breve, sono stati scelti dall’ambasciata americana a Beirut. Ora, però, aspettiamo il programma del governo. E poi servono i fatti.
Il Libano, comunque, può finalmente dire di avere un esecutivo. Quali sono gli aspetti positivi di questa svolta?
Almeno ora ci sono un presidente e un governo con pieni poteri, non era così da due anni. I primi provvedimenti riguarderanno quelli che vengono chiamati incarichi di prima categoria: direttori generali, il comandante in capo dell’esercito.
La priorità per il momento è quella di dare una struttura allo Stato?
Ci sono 205 posti di prima categoria, quelli più rilevanti per lo Stato, che sono da tempo vacanti o gestiti ad interim, da un vice che sbriga gli affari correnti. Bisogna che la macchina dello Stato torni a funzionare. I problemi da affrontare sono tanti e si sono accumulati in questi ultimi due o tre anni: c’è, ad esempio, la questione aperta dei rapporti con la Siria, visto che ci sono stati scontri al nord della Valle della Bekaa, sul confine, tra clan locali e HTS. Ma il tema principale è la scadenza, martedì, per il ritiro israeliano dal Sud, dai villaggi di frontiera. Un limite che era stato prorogato una prima volta su richiesta israeliana e che ora Tel Aviv ha chiesto di rinviare nuovamente.
Perché questa nuova richiesta?
Gli israeliani vogliono restare in cinque punti strategici e gli americani su questo stanno mandando messaggi contraddittori. Alcune volte dicono che non si può, in altre occasioni rispondono: “Vedremo”.
Ma Israele vuole restare temporaneamente in queste cinque zone o per sempre?
Uno dei ministri vicini a Netanyahu ha dichiarato di non voler fissare un termine. La volontà sarebbe di rimanere fino a che lo Stato libanese non disarmerà Hezbollah. Il 18 febbraio, quindi, è una data fatidica: sarebbe un brutto colpo per l’immagine del nuovo governo o anche per lo stesso presidente assistere a una nuova proroga. La Francia è contraria, però alla fine, nel Comitato a cinque, di cui fanno parte, oltre ai francesi, anche USA, UNIFIL, Libano e Israele, decidono gli americani. Si attende una risposta da Morgan Ortagus, vice inviata speciale di Trump in Medio Oriente.
Hezbollah in tutto questo che ruolo sta giocando?
Il 23 febbraio ci sono i funerali di Nasrallah, defunto leader di Hezbollah. Si terranno nella città sportiva, alla periferia sud di Beirut, vicino all’aeroporto, uno spazio che può contenere 55mila persone. Un eventuale mancato ritiro da parte degli israeliani potrebbe diventare l’occasione per sobillare la protesta. All’interno del governo c’è una quota sciita, anche se uno dei cinque posti previsti per i rappresentanti di questa confessione religiosa è frutto di una nomina congiunta, per evitare che questa componente, in base agli equilibri previsti per legge nell’esecutivo, potesse bloccare l’attività del governo.
Quali sono i criteri seguiti per la scelta dei ministri?
Nawaf Salam voleva un governo di tecnici e non di politici, anche se alla fine non poteva scegliere gente senza alcun legame con i partiti. Ha deciso insieme al presidente Joseph Aoun e al presidente dell’Assemblea nazionale Nabih Berri. Anche tra gli sciiti hanno individuato persone che hanno studiato all’Università Americana di Beirut oppure che hanno la cittadinanza americana. Tra questi c’è il ministro delle Finanze.
Quindi Hezbollah è fuori o no?
Non è fuori perché nessuno dei partiti formalmente è presente: sono tutti tecnici indicati dai partiti, ma che non sono ufficialmente allineati alle posizioni delle formazioni politiche. Non si può dire che Hezbollah sia fuori, però sono state prese delle precauzioni perché non abbia più il potere di indirizzare il governo.
Israele, intanto, nonostante la tregua, continua a prendere di mira militarmente alcune località. Il cessate il fuoco in realtà non è completo?
La tregua procede. Hezbollah non si è reso protagonista di nessuna azione, a parte un’occasione in cui è stato lanciato un drone, poi abbattuto. Si sta dando all’esercito libanese il tempo di dimostrare la sua capacità di rispondere alle violazioni israeliane, che si contano a centinaia, se non a migliaia. Hezbollah avrebbe consegnato alle forze armate libanesi 500 postazioni militari, tra cui anche sotterranei. Come dire: “Occupatevene voi adesso”. Se l’esercito non dovesse dare prova della sua capacità di opporsi alle incursioni israeliane, Hezbollah avrebbe gioco facile a rivendicare la sua presenza.
L’esercito libanese, però, dipende ancora dagli americani. Alla fine decideranno loro se le cinque postazioni rivendicate da Israele verranno lasciate all’IDF?
Per quanto riguarda queste postazioni, ora si sta ipotizzando una consegna ai soldati UNIFIL, rafforzati da unità militari francesi e americane. Insomma, si cerca di trovare la formula giusta per non lasciarle a Israele. Altrimenti Hezbollah potrebbe dire: “Li mandate via voi o dobbiamo pensarci noi?”. Si entrerebbe in un circolo vizioso. I precedenti governi giuravano appellandosi alla triade esercito-popolo-resistenza. Stavolta non vogliono citare l’ultima voce, ma appellarsi a un articolo dell’ONU che dà il diritto a tutte le nazioni di opporre resistenza all’occupazione straniera.
Nell’agenda del governo, comunque, quali sono i problemi principali?
I dossier accumulati sono tanti: il funzionamento delle banche, l’accesso ai depositi, il ritorno dei profughi siriani. Dopo la caduta di Assad ne sono arrivati altri ancora. La priorità, però, è ancora quella di dare una struttura allo Stato. C’è da decidere, per esempio, chi prenderà il posto di Aoun, diventato presidente, alla guida dell’esercito. Quale sia ancora la forza di Hezbollah è difficile da dire. Tra non molto ci saranno le elezioni locali: sarà l’occasione per capire se ha ancora consenso tra la gente.
Fonte: https://www.ilsussidiario.net/news/libano-a-beirut-un-governo-di-banchieri-con-lok-usa-al-sud-israele-non-se-ne-vuole-andare/2802091/