Tradizionalisti senza Tradizione
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 10/19 del 4 febbraio 2019, Sant’Andrea Corsini
Tradizionalisti senza Tradizione
Editoriale di Opportune Importune (lettera d’informazioni della Casa San Pio X) n. 35
In questo periodo sto leggendo la vita di santa Giovanna Antida Thouret (1765-1826), scritta da mons. François Trochu. La santa religiosa, fondatrice delle Suore della Carità (congregazione che fu apprezzata da sovrani anti-liberali come Carlo Felice di Savoia e Francesco IV di Modena) e canonizzata da Pio XI, visse la tragedia della rivoluzione francese. Grazie alla felice penna di mons. Trochu, il lettore può cogliere tutti gli aspetti del dramma che sconvolse la vita della Chiesa e della società in quel periodo. Quello che colpisce maggiormente è la fermezza con la quale la quasi totalità dei fedeli disertò le messe del clero costituzionale (che aveva giurato fedeltà alla scismatica “Costituzione civile del clero”) e si rivolse, a rischio della vita, alle messe clandestine celebrate nei boschi, nelle cantine o nelle stalle dai sacerdoti “refrattari” (che rifiutarono il giuramento imposto dai rivoluzionari). Nessuno partecipava alle funzioni degli “intrusi”, come venivano chiamati, perché c’era in gioco la fedeltà a Cristo e al Suo Vicario. Eppure si trattava della Messa di san Pio V celebrata validamente sugli altari (maestosi) delle chiese di Francia, non di un rito riformato celebrato da falsi preti. Le religiose compagne di noviziato di suor Giovanna Antida, si privarono dei sacramenti della Penitenza e della S. Eucarestia perché non potevano assolutamente riceverli da mani sacrileghe: non potevano! Furono numerosissimi i martiri tra il clero refrattario, le consacrate e i buoni cattolici, in virtù di quel vincolo di Carità che unisce a Dio e che non può essere spezzato da motivi umani, per quanto gravi possono essere le conseguenze.
È disarmante considerare la differenza con i tanti cattolici, in particolare italiani, che 50 anni fa accettarono (magari borbottando, ma niente più), la “messa nuova” e che, d’allora, hanno assimilato il veleno modernista attraverso il rito ecumenico e protestante, che ha incrinato la fede nei più anziani e ha impedito di trasmetterla ai più giovani.
Il calendario di Sodalitium di quest’anno intende rendere omaggio a tutti coloro, sacerdoti e laici, che a partire dal 1969 non vollero abbandonare il Santo Sacrificio della Messa e che non accettarono, quindi il nuovo rito celebrato dai novelli “intrusi”. Sono pagine volutamente dimenticate di reiterate persecuzioni subite in nome della “primavera” del Vaticano II, quando i “conciliari” più zelanti (alcuni semplicemente per far carriera: ah, quanto è pericolosa l’ambizione!) imposero la riforma liturgica e l’aggiornamento dottrinale con un furore che ricorda quello dei giacobini del Terrore. Uno dei preti che non accettarono il nuovo messale, deceduto l’anno scorso, mi raccontava che dopo il Concilio si organizzavano riunioni nei vicariati della sua diocesi per esporre la nuova linea da seguire e per scoprire eventuali oppositori, che venivano poi isolati e sottoposti a delle pressioni psicologiche: sistemi da campi di rieducazione maoisti! Nel migliore dei casi si veniva nominati in qualche piccola parrocchia di montagna, dove c’erano più capre che cristiani, come nel suo caso, per limitare i danni che avrebbe fatto l’ostinato “refrattario”, che continuava a usare il messale, il rituale, il catechismo della propria ordinazione, per rimanere fedele alla teologia e agli atti del Magistero studiati in seminario. In altri casi si arrivava alla rottura col vescovo, con problemi economici per poter sopravvivere. A questo si aggiunge il dramma dei religiosi e delle religiose che furono costretti ad abbandonare le proprie congregazioni con la morte nel cuore pur di conservare la Fede (ed evitare la morte dell’anima), attraverso il rito che questa fede esprime senza ambiguità. Attorno allo sparuto numero di sacerdoti fedeli alla Messa detta di san Pio V si riunirono i fedeli che non intendevano accettare la nuova religione basata sulla nuova messa e che ogni domenica affrontavano lunghi viaggi per rendere a Dio il culto dovuto e assicurare la santificazione personale e della propria famiglia.
Conclusa senza gli effetti sperati la fase delle persecuzioni (Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II erano morti, ma la Messa vera no), si passò a quella che possiamo chiamare “dell’assorbimento”, realizzata da Benedetto XVI, uno dei protagonisti della fredda primavera ecclesiale degli anni ’60. I tempi della Vandea purtroppo erano lontani, tempi in cui i veri cattolici non esitarono davanti alle scelte fondamentali per la vita cristiana e quindi per la vita eterna, quando il cattolicesimo era vissuto come una religione e non un’ideologia o un vezzo come esso è per tanti “tradizionalisti” dei giorni nostri. Dopo decenni di liberalismo e di relativismo, che si respirano ovunque, una certa fiacchezza ha colpito quelli che conducevano la “buona battaglia” a difesa della Fede (con una gravissima responsabilità da parte della Fraternità Sacerdotale San Pio X), predisponendo tante persone a cadere nella trappola, vincente e quindi devastante, di Benedetto XVI, cioè di accettare il Concilio e la messa nuova: tutto ciò che i “tradizionalisti” avevano sempre rifiutato. Tradizionalisti senza la Tradizione!
A partire dal motu proprio “Summorum Pontificum” del 2007, il “tradizionalismo” infatti si identifica in buona parte con dei preti (validamente ordinati?) e fedeli che hanno accettato, lo ripeto, tutto quello che fu la causa della “resistenza” dei sacerdoti e dei fedeli nel 1969 e negli anni seguenti. Magicamente sono stati rispolverati dalle sacrestie vecchi paramenti, reliquiari e addobbi di ogni genere, per celebrazioni quasi teatrali, con celebranti sommersi da cappe magne, mantelli e mozzette, con tanto di fibbie alle scarpe e berrette con nappine dai più svariati colori, assistiti da un numero spropositato di laici in talare e in cotta, con abbondanti pizzi e merletti. Tutto questo per testimoniare la fede contro i documenti conciliari? Per mettere in guardia dagli errori del modernismo insegnati da Wojtyla e da Ratzinger? Per ribadire il rigetto del rito di Paolo VI? Niente di tutto ciò: il motu proprio è servito a “normalizzare”, in un’ottica ecumenica e liberale, il cosiddetto “tradizionalismo cattolico”, concedendo la “cappella di san Pio V” nel Pantheon delle religioni, di cui si parlava qualche decennio addietro. Volete la messa vecchia? Ve la concediamo, a patto che sia sradicata dalla fede, affidata a ‘preti’ formati con la nuova religione e soprattutto in comunione con chi occupa la Sede di Pietro.
Un aspetto irritante di tutto ciò è che in questi ambienti si distinguono personaggi che, con scritti e conferenze, inneggiano alla Vandea, alle insorgenze antigiacobine, alle Crociate, per poi comportarsi esattamente nel modo opposto di coloro che intendono celebrare. Le messe degli “intrusi” venivano disertate dai Vandeani, che rischiavano la vita per la fedeltà alla Verità, cosa che questi autori – che oggettivamente sono dei cattivi maestri per chi li segue – potrebbero fare con rischi di gran lunga minori, se non quelli di una ridotta visibilità, della perdita di qualche spazio editoriale o mediatico, della chiusura di qualche porta (gli stessi motivi che hanno suggerito a taluni il silenzio, almeno in pubblico, sul libro di don Francesco Ricossa “La vergogna della tradizione” riferito alla scandalosa simpatia di Radio Spada per autori immorali e tenebrosi). Oggi “partire in crociata” significa innanzitutto non essere in comunione con Francesco (ma non come don Minutella, che critica Bergoglio in nome del Concilio, di “san” Wojtyla e di “Sua Santità” Ratzinger) e su questa base impostare la vita sacramentale per il bene dell’anima e per avvicinare il maggior numero di persone disorientate all’insegnamento di Cristo e della Chiesa. Le suorine di santa Giovanna Thouret dettero degli esempi “virili” di coerenza e di coraggio che dovrebbero far arrossire tante persone, compresi coloro che, pur dichiarandosi “non una cum”, abitualmente sui social network segnalano delle messe in comunione con Bergoglio, celebrate dai preti della Fraternità San Pio X o da ‘preti’ loro amici, tutti biritualisti, a margine di convegni o conferenze.
Ringraziamo allora la Divina Provvidenza di avere dei piccoli ma, all’ora attuale, indispensabili strumenti come l’Istituto Mater Boni Consilii e le comunità amiche per conservare la Fede e alimentarla con la grazia della Messa e dei sacramenti. Alle migliaia di chilometri percorsi dai sacerdoti per assicurare le celebrazioni, si affiancano le centinaia di chilometri di fedeli e di intere famiglie per assistere a queste funzioni e per accostarsi con devozione alla Confessione e alla Santa Comunione. L’esempio dei “refrattari” di 50 anni fa non è andato perduto: il modernismo non ha cancellato del tutto il Cattolicesimo (come potrebbe annientare la religione rivelata da Dio e assistita dalle Sue promesse?), la Messa dei santi e dei martiri continua ad essere offerta ogni giorno sugli altari, nuove vocazioni e nuovi focolari sono suscitati dalla Provvidenza per trasmettere la Fede alle generazioni che verranno. Satana, l’eterno sconfitto, non ha vinto neppure questa volta, perché Cristo è l’eterno vincitore. L’importante è schierarsi con Lui, all’altare e nella vita, per prender parte alla Sua vittoria.
Don Ugo Carandino