Terra Santa: il terrorismo dei coloni
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 99/11 del 21 dicembre 2011, San Tommaso Apostolo
Terra Santa: il terrorismo dei coloni
di Giorgio Bernardelli
Tre moschee devastate in sette giorni tra la Cisgiordania e Gerusalemme. E poi la scorribanda a Qasr al Yahud, la sponda israeliana del luogo del battesimo di Gesù, da pochi mesi riaperta ai pellegrini dal ministero del Turismo.
E soprattutto il raid in una base dell’esercito in Cisgiordania, clamorosa prova di forza contro il possibile sgombero di alcuni outpost chiesto da anni dalla Corte suprema. In Israele è stata senza ombra di dubbio la settimana dei «ragazzi delle colline», l’ala violenta del movimento dei coloni, quella che si chiude oggi. Mai fino ad ora avevano osato tanto. E la tensione è ovviamente altissima sia in Israele sia nei Territori palestinesi.
Perché questa ondata di violenza? La risposta si chiama Mitzpe Yitzhar, uno di quegli insediamenti ritenuti illegali dalla stessa legge israeliana: da anni ormai la Corte suprema chiede che vengano smantellati (a dire il vero lo chiedeva in maniera inequivocabile anche la Road Map firmata da Israele nel 2003, ma questo è un altro discorso).
Perché Mitzpe Yitzhar è illegale? Non tanto perché è stato costruito nel 2002 senza l’autorizzazione del governo (tutti gli insediamenti sono nati così), ma perché sorge su terra che non è demaniale: si tratta di una proprietà privata palestinese. Questa possibilità – dopo un caso giuridico scoppiato sull’insediamento di Elon Moreh, all’inizio della colonizzazione della Cisgiordania – la legge israeliana la nega espressamente.
Solo che per nove anni a Gerusalemme si è fatto finta di ignorare questa legge. Ma non basta: a Mitzpe Yitzhar, come in altri di questi outpost, lo Stato di Israele non ha solo chiuso un occhio. Spesso è stato connivente, fornendo servizi anche a questi insediamenti che sulla carta non dovrebbero esserci.
Poi, però, ci sono stati i ricorsi dei palestinesi che vedevano leso il proprio diritto di proprietà, sostenuti da alcune ong israeliane. Le cause hanno avuto il loro lento iter finché sono arrivate all’ovvia sentenza: quegli insediamenti vanno smantellati.
E a quel punto che cosa è successo? Anziché mandare le ruspe il ministero della Difesa ha cominciato a «negoziare» con i coloni. Termine elegante per dire che si è cercato di rinviare sempre il tutto. Così sono partite nuove cause finite ancora davanti alla Corte suprema che stavolta ha imposto al ministero della Difesa di presentare un calendario per lo smantellamento. Cosa che Barak ha fatto. Mitzpe Yitzhar è il primo di una serie di sgomberi programmati da qui a metà 2012 (si veda a questo proposito la cartina interattiva pubblicata dal sito di Haaretz).
Ovviamente si parte dal più piccolo: a Mitzpe Yitzhar le case da demolire sono in tutto quattro. Le partite vere riguarderanno Amona e Migron, che sono i più grandi tra questi insediamenti illegali. E guarda caso il governo Netanyahu sta studiando la possibilità di legalizzarli. Ma neanche questo basta ai «giovani delle colline», che così hanno scatenato l’offensiva di questa settimana.
Ondata di violenze su cui in Israele sono fioccate le dichiarazioni sdegnate, soprattutto perché i giovani coloni hanno osato colpire con una pietra un vice-comandante dell’esercito. Ma a Mitzpe Yitzhar che cos’è successo? Siccome non si poteva perdere la faccia, le ruspe sono state inviate comunque. Ma con il solito equilibrismo si è scelto di demolire due case su quattro. E intanto i ministri più vicini ai coloni all’interno del governo continuano a premere per la legalizzazione degli outpost.
Basterebbe questo per dire quanto sia credibile il governo Netanyahu quando condanna questo tipo di violenze. Il fenomeno dei «ragazzi delle colline» – quelli dell’operazione price tag, cioè «riscuoti il prezzo» (palestinese) di fronte a chi in Cisgiordania pretenderebbe di far valere la legge (israeliana) – va avanti da anni.
Ci sono fior di rapporti dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interno israeliano) che parlano espressamente di «terrorismo ebraico». Ma nemmeno di fronte all’escalation di violenze di questa settimana Netanyahu accetta di utilizzare questa parola. Per quale ragione chi brucia una moschea puntando allo scontro con i palestinesi per evitare lo sgombero di un insediamento illegale non dovrebbe essere considerato un terrorista?
Un fatto nuovo, però, c’è ed è lo scontro sempre più aperto in Cisgiordania tra queste frange più estremiste dei coloni e l’esercito. Oggi il Jerusalem Post pubblica un dato interessante: ben un terzo dei militari presenti nei Territori viene attualmente impiegato in operazioni di prevenzione e repressione delle violenze dei coloni ai danni dei palestinesi. Si tratta di un dato che dà l’idea di quanto il fenomeno del price tag oggi sia diffuso.
E il fatto che una notizia del genere venga fatta uscire dà l’idea di quanto forte sia l’insofferenza per questo stato di cose anche nei ranghi dell’esercito israeliano. C’è addirittura chi lo dice apertamente, come il giovane generale Nitzan Alon. Uno che i coloni considerano apertamente un nemico (ha persino una moglie che fa parte di Machsom Watch, l’ong che vigila sulle violazioni dei diritti umani ai check point…), ma che è stato designato in questi giorni come comandante generale della Regione centrale, cioè il più alto in grado dell’esercito in Cisgiordania.
Sui siti vicini al mondo dei coloni è stato accolto da una caterva di insulti. Solo che – nel loro delirio di onnipotenza – si dimenticano che in Israele sé c’è un’istituzione in grado di spostare davvero gli umori dell’opinione pubblica è l’esercito. Se insistono nello scontro stavolta i coloni potrebbero farsi male davvero.
Fonte: Terrasanta.net