Storia salesiana: Don Pietro Ricaldone
Comunicato n. 62/20 del 19 giugno 2020, Sacro Cuore di GesùStoria salesiana: Don Pietro Ricaldone
Don Pietro Ricaldone, il IV successore di Don Bosco a 150 anni di nascita
Venuto dai colli del Monferrato
Pietro Ricaldone era nato il 27 luglio 1870 a Mirabello Monferrato, grazioso paese ricco di vigneti.
Nella famiglia profondamente cristiana trovò l’ambiente ideale per la sua prima educazione.
La mamma, piissima, traeva forza dalle lunghe preghiere fatte in casa, mattino e sera, in ginocchio sul pavimento e dall’assistenza quotidiana alla santa Messa.
Il papà Luigi era un gran lavoratore, profondamente cattolico, austero. Fu sindaco di Mirabello, e con il suo buon senso cristiano, con la sua rettitudine e con la sua attività, seppe rendere preziosi servizi al paese.
«Lo vidi piangere una sola volta, quando tornai dalla Spagna, dopo che la mamma era morta. Entrai in casa e papà mi accolse con queste sole parole: – Non c’è più. – E due lacrime gli solcarono le guance. Ma subito si ricompose».
Proseguiti gli studi a Casale Monferrato e ammesso al Seminario Vescovile, il giovane chierico sentì decisamente la chiamata alla vita salesiana e passò a compiere il suo aspirantato e noviziato a Torino nell’Istituto di Valsalice dal 1889 al 1890, prendendo contatto con i servi di Dio Principe don Augusto Czartorisky e don Andrea Beltrami.
Nel settembre del 1890 partì, ancora chierico, per la Spagna, ove l’Ispettore, il Servo di Dio don Filippo Rinaldi, seppe lanciarlo nell’apostolato salesiano e dirigerne saggiamente i passi. E non esitò ad affidargli una delle opere più provvidenziali dell’Ispettoria: l’Oratorio festivo di Siviglia.
La gioventù del rione era più che turbolenta. Prospiciente la chiesa si stendeva a perdita d’occhio una spianata che in certe ore del giorno si trasformava in un campo di battaglia nel quale si affrontavano, armati di robuste fionde, due orde di ragazzi per risolvere con le pietre le loro rivalità rionali. Un giorno il diacono Ricaldone vide, passando, una fiera zuffa fra quelle canaglie. Cacciatosi in mezzo, fece sospendere la mischia. Quindi ne prese in braccio uno che grondava sangue da una larga ferita e lo portò in una barbieria e mentre lo medicava, fuori gli avversari sbraitavano brandendo i coltelli.
Fu allora che a don Ricaldone venne un’idea geniale: disarmare quella turba bellicosa.
Approfittò del mese di maggio predisponendo abilmente gli animi al sacrificio. Una sera poi propose a tutti un bellissimo fioretto che sarebbe tornato graditissimo alla Madonna: offrire a lei le fionde. Forse neppure don Ricaldone si aspettava l’effetto miracoloso che ne seguì: ogni giorno ai piedi della Vergine si ammucchiavano le fionde a centinaia, sicché alla fine del mese se ne contarono parecchie migliaia, poiché ciascuno ne possedeva più di una. Allora quelle armi giovanili furono portate in mezzo al cortile e con grande solennità, presente gran folla, vi si appiccò il fuoco e se ne fece un bel falò, quasi sacrificio in onore di Maria Ausiliatrice.
In tutta la città si fece un gran parlare del fatto e di quella figura slanciata di giovane prete dagli occhi vividi, che esercitava sulle masse giovanili un fascino nuovo.
Con la grazia di Dio e con l’aiuto dei buoni, don Ricaldone riuscì ad attuare un programma che all’Oratorio aggiunse dapprima corsi di scuole elementari per esterni, poi scuole professionali e infine anche il corso classico, con tale impulso che in breve si affermarono con uno sviluppo meraviglioso.
Seppe poi assimilare così bene il carattere e la lingua degli Andalusi, che egli passava per uno di loro, cordialmente amato e stimato da autorità e popolo, amici e benefattori. Fu eletto ispettore di una delle prime tre ispettorie spagnole.
Raccontava volentieri che quando tornò a Mirabello a celebrarvi la prima, Messa, reduce dalla Spagna, a un certo punto del suo discorso attaccò con enfasi a parlare spagnolo. Accortosene dopo qualche periodo, ripigliò in italiano. «Come parla bene anche in latino il nostro don Pietro!» commentavano commosse le vecchierelle.
«Che bel nasìn c’à l’à ‘l furmighìn»
Fu poi inviato a fare una visita straordinaria in Patagonia, nell’Uruguay e nella Terra del Fuoco. Incontrò missionari eroici percorrendo in gran parte regioni prive di strade, a cavallo o sballottato in una vettura che attraversava la brulla campagna coperta di rovi e di sterpi. Di lì nacque in lui quel sentimento di affettuosa venerazione che manifestò sempre per i missionari e quello zelo nel prestar loro aiuto, che diede origine più tardi alla Crociata Missionaria.
Nell’anno 1927, mentre visitava le Missioni della Cina, seppe che il Direttore della Missione si trovava in imbarazzo per l’accoglienza ad un grande personaggio inglese, che era stato annunziato. Don Ricaldone si accinse subito a togliere dall’imbarazzo il buon Direttore. Chiamò a sé i cinesini e cominciò a insegnare a cantare in piemontese: «Che bel nasìn c’à l’à ‘l furmighìn, che bel nasùn c’à l’à ‘l furmigùn…». In men che non si dica don Ricaldone aveva insegnato parecchi canti in dialetto piemontese ai ragazzi cinesi. Arrivò il personaggio, un saluto e poi «musica». L’Ambasciatore restò conquistato dal cordialissimo ricevimento e domandò che lingua fosse quella. «La lingua materna di don Bosco», rispose prontamente don Ricaldone.
Ritornò a Torino come responsabile delle scuole professionali e agricole. Diede all’insegnamento professionale un impulso così poderoso che dura ancora oggi.
In tutto era un geloso conservatore dello spirito di don Bosco. Eletto Rettor Maggiore, volle regalare una delle sue prime visite all’Istituto Missionario d’Ivrea. Superiori e giovani gl’improvvisarono un’accoglienza affettuosissima. Quando cessarono gli evviva, don Ricaldone fece cenno di voler parlare e sorridendo disse: «Io indovino che cosa pensate in questo momento. Chissà – direte tra di voi – che cosa ci dirà di bello il nuovo Rettor Maggiore? Io vi dico che se cambiassi una virgola di quello che ha fatto e detto Don Bosco, guasterei tutto. Perciò, cari figliuoli, ecco la parola del vostro Rettor Maggiore: conserviamo gelosamente lo spirito e le tradizioni di don Bosco.
L’incredibile slancio
Monumento della sua attività rimangono le nuove fondazioni che in meno di vent’anni assommano a 407 case salesiane e a 646 delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Quando fu eletto Rettor Maggiore i Salesiani erano 8411 e le Figlie di Maria Ausiliatrice 5205.
Alla sua morte, i Salesiani, compresi i novizi, erano 16364; le Figlie di Maria Ausiliatrice 13580.
Il programma della sua attività suscitatrice e organizzatrice contemplava un imponente sviluppo, specialmente nel campo degli Oratori e della Crociata Catechistica, in occasione del Centenario dell’inizio dell’Opera salesiana, 1941.
A rovinare questa ondata “gloriosa” arrivò purtroppo la guerra. Molto fu stroncato: istituti distrutti o confiscati; Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice dispersi, randagi, affamati; rinchiusi in campi di concentramento, imprigionati, maltrattati e trucidati; gioventù sottratta alla loro educazione e variamente vessata e seviziata; cooperatori e cooperatrici martoriati; missioni e opere paralizzate…
Don Ricaldone sembrava fatto d’acciaio, ma aveva un cuore sensibilissimo e soffrì enormemente tutto questo. Di qualche consolazione furono la Beatificazione di Domenico Savio nel 1950 e la canonizzazione di santa Maria Mazzarello nel 1951.
In quelle occasioni, nelle rare fotografie, appare veramente radioso. Come presentisse la felice conclusione di una vita piena.
Durante i bombardamenti, don Ricaldone non volle passare le notti fuori città, nonostante gli inviti. Con il rosario in mano, visitava i rifugi e passeggiava lungo i portici della casa madre. Quando crollavano attorno a lui i muri degli edifici, don Ricaldone alzava l’inseparabile rosario in un gesto che tutti ricorderanno, ripetendo: «Coraggio, figliuoli, con questo metro ne costruiremo di più grandi e di più belli!» E così fu.
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