Siria: l’indignazione per la viltà dell’Occidente
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 26/23 del 1° marzo 2023, Sant’Albino
Siria: l’indignazione per la viltà dell’Occidente
L’intervista che segnaliamo, fatta al dott. Nabil Antaki, cattolico di Aleppo, illustra l’indignazione dei siriani nei confronti dell’Occidente: le mani che vengono tese per chiedere solidarietà nei confronti di alcuni popoli sono le stesse che strangolano (nel caso siriano con le sanzioni) altri popoli.
Di fronte all’assenza di aiuto internazionale, «i siriani sono in collera con l’Occidente»
Con gli aiuti internazionali che ancora stentano a raggiungere la Siria tre settimane dopo le scosse di terremoto che hanno devastato il paese e la Turchia meridionale, si levano diverse voci per chiedere la rimozione dei blocchi diplomatici e delle sanzioni. Ad Aleppo, nel nord-ovest siriano, la popolazione si sente dimenticata dai paesi occidentali.
Intervista al dottor Nabil Antaki
Sono passate due settimane dai terremoti che hanno ucciso più di 46.000 persone in Turchia e Siria, ma gli aiuti umanitari internazionali faticano a raggiungere la Siria. Dopo 12 anni di guerra, le scosse del 6 febbraio hanno messo in ginocchio un paese già in preda a una grave crisi umanitaria, economica e di sicurezza. La Siria, sottoposta a sanzioni internazionali dal 2011, è ancora divisa tra le aree sotto il controllo del presidente Bashar al-Assad e quelle in mano ai ribelli. Nonostante le richieste di un aumento urgente degli aiuti umanitari, i camion faticano ad attraversare il confine turco, anche attraverso i punti di passaggio garantiti dalle Nazioni unite. A Damasco arrivano regolarmente solo aerei carichi di aiuti umanitari noleggiati dai paesi arabi: Algeria, Tunisia, Giordania, Arabia Saudita, Libano… I paesi occidentali sono ancora assenti. Stati Uniti, Francia e alcuni paesi europei si rifiutano di fornire aiuti direttamente al governo siriano dopo anni di rottura dei rapporti diplomatici. Il dottor Nabil Antaki, gastroenterologo ad Aleppo e cofondatore con frère Georges Sabé dell’associazione Maristi Blu, denuncia uno «scandalo» e chiede la «revoca delle sanzioni internazionali» contro un paese già allo stremo.
Quale è la situazione ad Aleppo?
I danni sono inferiori rispetto a quelli delle città turche di Maras (Kahramanmaras), Antakya e Gaziantep, colpite molto più gravemente. Ad Aleppo, 60 edifici sono stati interamente distrutti, 200 devono essere demoliti perché non più abitabili e migliaia di edifici danneggiati devono essere restaurati. Centinaia di migliaia di persone sono senza casa. La notte del terremoto, alle 4.17, tutti si sono precipitati in strada in pigiama, sotto la pioggia, al freddo. Tutti erano molto spaventati. Si sono rifugiati in chiese, moschee, conventi, scuole. Noi dei Maristi Blu abbiamo aperto le porte mezz’ora dopo il terremoto. In poche ore, 1.000 persone sono venute a rifugiarsi da noi. Poi, a poco a poco, le persone hanno iniziato a tornare nelle loro case, quando le abitazioni non erano troppo danneggiate. Ma lunedì scorso il nuovo terremoto è stato avvertito molto forte e tutti sono usciti in strada. Abbiamo di nuovo un migliaio di persone ai Maristi blu. Non abbiamo abbastanza spazio. Tutti hanno molta paura.
Due settimane dopo, quali sono le necessità urgenti, ad Aleppo?
Attualmente sono rimasti 80 feriti gravi. Dal punto di vista medico, non mancano i prodotti di base. L’industria farmaceutica siriana è abbastanza efficiente nonostante la guerra, riesce a garantire il 90% dei prodotti. Quello che manca, però, sono le attrezzature, che sono obsolete e che non possiamo importare a causa delle sanzioni. Eppure le attrezzature mediche sono ufficialmente esenti dalle sanzioni stesse. Abbiamo bisogno di carburante. E’ razionato. Ci sono concessi 20 litri ogni 25 giorni. A dicembre il governo ha dovuto chiudere scuole, università e amministrazioni per una settimana perché non c’erano mezzi di trasporto. Non abbiamo olio da riscaldamento. L’elettricità è razionata, ci sono solo due ore al giorno. Questo inverno è terribilmente freddo.
Molte voci si levano per chiedere lo sblocco degli aiuti internazionali. Cosa sta accadendo in realtà sul campo?
La questione degli aiuti internazionali è davvero scandalosa. Abbiamo ricevuto aiuti da Algeria, Tunisia, Marocco, Libano, Giordania, Iraq fra gli altri, ma i paesi occidentali non hanno inviato nulla, sostenendo di non poter aiutare un paese governato da [Bachar al-] Assad. È come se i siriani qui non soffrissero quanto quelli della parte ribelle o della Turchia. Era assolutamente necessario separare la politica dall’umanitario, cosa che i governi occidentali non hanno fatto. È scandaloso. Il Quai d’Orsay sostiene di aver sbloccato 12 milioni di euro, di cui la metà attraverso le organizzazioni internazionali e l’altra metà attraverso le Ong che lavorano sul posto. Per il momento non abbiamo visto nulla. Gli Stati uniti hanno dichiarato di aver alleggerito le sanzioni per consentire gli aiuti umanitari per sei mesi. Ma in linea di principio, le attrezzature umanitarie e mediche non sono interessate dalle sanzioni. E’ ipocrita. Perché alleggerirle se sono esenti?
Cosa ne pensano i siriani?
Sono in collera con l’Occidente. D’altra parte, c’è una generosità senza pari da parte dei siriani tra di loro, soprattutto dalla diaspora. Al rifugio dei Maristi blu abbiamo ricevuto materassi, generi alimentari e coperte inviati da associazioni siriane di Damasco e Homs. Abbiamo ricevuto molte chiamate da siriani dall’estero che volevano inviare fondi e attrezzature. Questa solidarietà senza pari fa da contraltare alla mancanza di umanità e generosità dell’Occidente.
Quali sono le condizioni di vita della popolazione della Siria dopo 12 anni di guerra?
L’intero paese deve essere ricostruito. Era già distrutto dalla guerra, ma con il terremoto l’economia, già moribonda, è ferma. L’inflazione è terribile: l’euro, che era a 60 sterline siriane, è salito a 7.000 sterline siriane all’apice del conflitto [oltre 2.600, lunedì 20 febbraio, ndR]. Secondo i dati Onu, il 90% delle persone vive al di sotto della soglia di povertà, il 60% è insicuro dal punto di vista alimentare, la gente non riesce ad arrivare a fine mese. Dopo la guerra, l’80% delle persone sopravvive grazie alla generosità delle associazioni che, come noi, forniscono cesti alimentari mensili, assistenza medica e istruzione. Appena il 5% della popolazione è in grado di pagarsi cibo e alloggio. Il paese si è immiserito. Abbiamo bisogno che le sanzioni vengano revocate, in modo che ci siano investimenti stranieri per consentire la ricostruzione. Tutte le transazioni finanziarie sono vietate.
Qual è lo stato d’animo dei siriani oggi?
Soffrono, sono spossati. Dodici anni di guerra, poi il Covid, poi un’epidemia di colera e ora i terremoti… La gente non ce la fa più. La gente sogna di lasciare il paese, che è già stato svuotato della sua élite. Ci dicono che si viveva meglio durante la guerra che adesso. È ora di porre fine a questa sofferenza, revocando le sanzioni per consentire gli investimenti. Le sanzioni non servono assolutamente a nulla. Sono state imposte a Cuba per 60 anni e non hanno cambiato il governo. Sono state imposte alla Corea del Nord e non hanno cambiato il governo. Sono inefficaci. Fanno soffrire il popolo. È il popolo a pagare il prezzo di queste sanzioni. Non incoraggiano i negoziati di pace, il rispetto dei diritti umani o la lotta alla corruzione. È tempo di una politica più umana e realistica.
Fonte: https://oraprosiria.blogspot.com/2023/02/di-fronte-allassenza-di-aiuto.html