2013 Comunicati  26 / 02 / 2013

Siria: la democrazia rende liberi

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 21/13 del 25 febbraio 2013, San Mattia

Siria: la democrazia rende liberi

Mideast Israel Syria Druse

Pubblichiamo alcuni passi del messaggio di Quaresima di Gregorio III Laham, patriarca cattolico dei melchiti, e una lettera delle monache trappiste di Azeir. Le drammatice testimonianze della Chiesa mostrano come i nemici della Siria e della cristianità siriana, in nome della democrazia, siano riusciti a esportare morte e distruzione.

Messaggio di Quaresima di Gregorios III: è in gioco il futuro dei cristiani
Nelle eparchie di Homs, Latakia, Safita e Marmarita (Valle dei cristiani con 143 villaggi), di Houran, Aleppo e Damasco, la situazione della popolazione, in generale, e nostri fedeli, in particolare, è catastrofica. Circa 20 chiese sono state distrutte, danneggiate, devastate, abbandonate. Non vi è più è celebrata la Divina Liturgia. I fedeli se ne sono andati e i sacerdoti anche. Si ipotizza un numero superiore a 2 milioni di sfollati.
Le regioni e le comunità dove i nostri chiese e istituzioni sono particolarmente colpite sono:
Nell’Eparchia di Homs: il Vescovado, la maggior parte delle chiese e istituzioni ecclesiali della città di Homs, Kousair, Dmeineh Charquieh, Rableh, il Santuario di Sant’ Elia, Jousi, Yabroud, Krak des Chevaliers, la Valle dei cristiani.
Nell’Eparchia di Aleppo: il Vescovado, chiese, istituzioni e il quartere Salebi (Cristiano).
Damasco e dei suoi dintorni: Zabadani, Harasta, Daraya (mia città natale), Douma, Ayn Terma, Kassaa…
Molti dei nostri fedeli sono stati rapiti e coloro che sono stati restituiti alle loro famiglie lo sono stati dietro il pagamento di un riscatto enorme. Oltre ai feriti, si stima che oltre 1.000 cristiani sono stati uccisi tra cui un centinaio di cattolici greco-melchiti.
«La situazione degli sfollati all’interno è tragica. Gli affitti nelle zone di rifugio sono esorbitanti, mentre in cambio non c’è più possibilità di salario. Questi rifugiati dopo aver perso la loro case, il loro lavoro e spesso i loro strumenti di lavoro, solo molto raramente trovano un impiego. Essi sono spesso senza alcuna risorsa. Non dimentichiamo coloro che hanno ancora la possibilità di restare nei loro villaggi, nelle loro case, ma che sono anche i nuovi poveri. Dei poveri nella crisi economica che ha colpito tutto il Paese: prezzi più alti e ricavi inferiori. E ci sono i profughi che ci hanno lasciato per i Paesi limitrofi come il Libano, in Europa o altrove.
Ovunque incontriamo le stesse tragedie e disperazione anche con il dolore della perdita di cari, un marito, un figlio, un fratello… morto, rapito o scomparso. Ovunque dubbio, paura e sospetto… Ma tutto questo è solo una immagine assai pallida della triste realtà della vita quotidiana dei nostri fedeli in Siria. Un’immagine a cui dovremmo aggiungere che la maggior parte delle nostre istituzioni – quando non sono state distrutte o impedite di lavorare normalmente – hanno dovuto imparare ad adattarsi alla situazione. Questo è stato, per esempio, il caso delle nostre scuole. Molte sono stati chiuse , così gli studenti sono stati spostati in zone più sicure ma spesso inadatte all’insegnamento, come i 2.200 studenti nella nostra nuova scuola di Mleiha (aeroporto di Damasco) che hanno trovato posto nell’ex sede del Collegio patriarcale nel cortile della cattedrale.
Tutte le chiese della Siria si sono riunite per portare aiuto e sollievo a tutti coloro, cristiani e musulmani, che hanno chiesto e che continuano ogni giorno a domandare. Ma noi bussiamo ad ogni porta. In Siria, in Libano, nelle nostre eparchie della diaspora come a quelle delle organizzazioni e istituzioni internazionali… Vorremmo ringraziare ed esprimere la nostra gratitudine a tutti coloro che ci hanno aiutato, che hanno risposto alle nostre richieste. Ma come faremmo senza di loro per continuare a sovvenire ai bisogni urgenti di alimenti, farmaci, alloggio e riscaldamento ?… A Natale già abbiamo lanciato un appello per una solidarietà attiva. La solidarietà è un atto di fede. (…) La domanda a cui noi dobbiamo rispondere, noi qui in Oriente, è esistenziale: TO BE OR NOT TO BE… Essere o non essere! È in gioco il futuro dei cristiani in Oriente.
Per supportare e organizzare questa solidarietà chiediamo a tutte le nostre eparchie di costituire dei comitati di solidarietà. La nostra solidarietà è ovunque la vera cura contro il pessimismo, la paura, lo scoraggiamento, la frustrazione, la disperazione, il dubbio… Facciamo appello ai musulmani per sostenere i nostri sforzi e per preservare la presenza cristiana con loro e per loro. Essi sanno come la presenza cristiana è stata ed è ancora così importante – ed efficace – nella storia del mondo arabo su tutti i piani. Sanno come le nostre istituzioni culturali, sanitarie, educative, sociali, intellettuali e religiose sono al servizio di tutti i cittadini senza distinzione. Tutto, tutto, è in pericolo se la presenza cristiana dovesse sparire.
Prima di concludere, chiamiamo tutti i nostri fedeli a rispettare la pratica del digiuno, dell’astinenza e mortificazioni, delle preghiere proprie della Quaresima, senza mai dimenticare la virtù, la misericordia, il perdono e la carità.
Ora Pro Siria

Testimonianza dalla Siria lacerata dal conflitto. Crudele ipocrisia delle sanzioni: la guerra che voi state facendo
​Ancora un bollettino di guerra. Ma stavolta non quella che stanno combattendo esercito e ribelli, una guerra che è diretta da grandi potenze e da grandi interessi, e che ci supera, noi e voi che leggete. Vi imploriamo di riflettere su una guerra a cui si dà il consenso in nome di una sedicente prassi democratica. Stiamo parlando delle sanzioni internazionali, e della strage quotidiana che provocano. 
Ci commuoviamo e ci indigniamo (giustamente) alla notizia che in un bombardamento sono morti bambini e donne. Perché non ci sconvolge il fatto che ci siano intere famiglie ridotte alla fame a causa nostra? Pensate sia più duro morire improvvisamente sotto le bombe, o morire di inedia, un giorno dopo l’altro? È più crudele raccogliere il corpo dei propri figli sotto le macerie, o vederli lamentarsi e soffrire per giorni per la mancanza di medicine? Le sanzioni stanno uccidendo molto più delle bombe. Uccidono i corpi; uccidono la speranza. Uomini che da mesi non hanno lavoro, e non hanno prospettive di trovarne : nella sola zona di Aleppo, 1.500 officine, laboratori, piccole industrie distrutte. I macchinari rubati, e trasportati in Turchia. Una vera razzia. Con cosa si lavora, se manca tutto ?
In città ci si inventa qualcosa, si vende di tutto pur di guadagnare almeno il pane. Si affitta un’auto, ci si improvvisa trasportatori verso destinazioni pericolose, dove nessuno accetta di andare. Come George, padre di tre figli, che pur di lavorare è morto in questo modo ai confini della Turchia, ucciso da cecchini, “liberatori della Siria”. In molte campagne i contadini non osano seminare: troppo pericoloso. Manca il gasolio, senza gasolio non vanno le pompe dell’acqua, con cosa si irriga ? E i trattamenti e i concimi, molti dei quali importati, soprattutto dopo che sono state bruciate fabbriche chimiche e magazzini, sono costosissimi e, anche se si dispone di denaro, spesso introvabili. I più poveri, che hanno solo qualche mucca, la stanno vendendo: tra mangimi e foraggi il costo degli alimenti è al minimo 60-70 lire siriane al chilo, quando un litro di latte si vende a 25. I rapimenti, in tragica crescita, e la delinquenza, sono un’altra conseguenza delle sanzioni. Certo, direte : che ingenuità! Le sanzioni sono fatte apposta per esasperare un Paese, e un Paese esasperato significa pressione sui suoi politici e quindi un intervento democratico efficace. È ciò che vogliono i vostri politici. Ma la nostra domanda è : lo volete anche voi? Volete davvero questo? Volete avere responsabilità sulla sofferenza e la morte di tante persone innocenti, in nome di un “intervento” che loro non vi hanno chiesto? Sì, il popolo siriano vuole la sua libertà e i suoi diritti, ma non così, non in questo modo. Così si uccide la speranza, la dignità, e anche la vita fisica di un popolo.
Siete convinti che bisogna pur pagare un prezzo per ottenere libertà e democrazia? Allora digiunate, voi, nelle piazze europee, a favore della Siria. E lasciate che qui ognuno scelga se e come dare la vita per ciò in cui crede. Costringere un popolo alla fame, alla rabbia, alla disperazione, perché si ribelli, è forse metterlo in grado di esercitare una scelta democratica? Che razza di idea di democrazia e di libertà è mai questa? Il lavoro è una grande forza per un popolo, dà dignità, crea prospettive, educa alla libertà vera. Uccidere il lavoro è un altro modo di uccidere vite. Le sanzioni internazionali sono uno strumento iniquo, perché ipocrita : lascia l’illusione di non sporcarsi le mani con il sangue altrui.
La Siria stava crescendo, lentamente, anche contradditoriamente, ma con continuità. È tornata cinquant’anni indietro. E adesso si raccolgono milioni di dollari di aiuti umanitari, con spese enormi di invio, di distribuzione. Per dare cibo là dove si è lasciato bruciare il grano, per dare coperte là dove si sono lasciati distruggere i magazzini. Che senso ha? Certo, deve esserci un guadagno per qualcuno, altrimenti che interesse avrebbe il mondo politico internazionale a dirigere le cose in questo modo? Ma , alla fine, la nostra domanda è ancora: voi volete davvero questo? Volete combattere questa guerra contro un intero popolo? Se la vostra risposta è “no”, fate qualcosa. Ve lo chiediamo con tutte le nostre forze e la nostra preghiera, a nome di tanti siriani .
Raccogliete firme, fate petizioni a livello europeo, promuovete incontri per sensibilizzare la gente, create associazioni di persone e di imprenditori che facciano pressione per riaprire il commercio con la Siria. Pensate voi agli strumenti, ma fate qualcosa. E in fretta. C’è gente che muore, tanta. E tanta che se ne va, per sempre.
Le sorelle trappiste in Siria
Avvenire