Siria – Aleppo è troppo cristiana: sia crocifissa
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 41/13 del 26 aprile 2013, Madonna del Buon Consiglio
Siria – Aleppo è troppo cristiana: sia crocifissa
Aleppo è la terza maggiore città cristiana del mondo arabo. Una presenza troppo scomoda nel Vicino Oriente controllato da chi odia Cristo e la sua Chiesa. Segnaliamo due articoli sulla drammatica situazione dei cristiani di Aleppo.
Nonostante il silenzio stampa, Aleppo è sempre in guerra
Meno si parla di un paese in guerra, più è necessaria una maggiore vigilanza. Cosa succede, allora, ad Aleppo? Una tregua? Una Pace? Niente affatto.
Nelle zone cristiane, la minaccia continua a pesare fortemente. I cecchini di stanza sulla “collina della Vergine”, anche chiamato quartiere di Sheikh el-Maksoud, non abbassano la guardia.
L’esercito arabo siriano avrebbe ripreso più di un terzo della collina, ma non ha potuto evitare i furti dalle proprietà private da parte dei ribelli delle ASL e Forsat Al-Nosra (il movimento vassallo di Al-Qaeda) che li hanno poi venduti a buon mercato alle bande di ladri che a loro volta rivendono al “Souk al-haramiyyeh” (souk dei ladri) .
Così per le auto rubate, che vengono subito portate nelle città di Afrin e Azaz situate a 30 km da Aleppo, o meglio sono esportate in Turchia.
I rapimenti continuano; un commerciante cristiano J. Malek ha potuto essere rilasciato a fronte di un grande riscatto, mentre la voce circa i due sacerdoti rapiti diverse settimane fa, è molto preoccupante. Sarebbero stati ammazzati?
Si dice che l’esercito arabo siriano aprirà da qui a pochi giorni l’aeroporto di Aleppo. Il recupero di Sfireh e delle periferie di Aleppo Est, gli permetterebbe un ritorno in questa zona.
Sembra sia in corso l’attuazione dell’assedio della città di Aleppo, da parte dell’esercito arabo siriano, soprattutto della città vecchia dove sono concentrate le bande di miliziani con le loro armi.
Il nostro quotidiano è po’ migliorato. Benchè i cristiani seppelliscano sempre i loro morti in un terreno temporaneo, offerto dal governatore e situato vicino al convento delle carmelitane (i ribelli controllano i cimiteri cristiani), ora riceviamo elettricità sei ore il giorno e l’acqua viene erogata per tre ore al giorno.
Grazie ad una iniziativa dei Padri Gesuiti e con il patrocinio della città di Aleppo, molti movimenti laici, scout, la Mezzaluna rossa, l’unione degli studenti (al-chabibet Thawrat) e altri volontari si mobilitano per la pulizia della città allo scopo di rimuovere tonnellate di rifiuti ivi accatastati. Senza questo lavoro, le epidemie minacciano, soprattutto con l’avvicinarsi dell’estate.
Un altro segno che può essere percepito in modo positivo sta nel fatto che molti profughi partiti per Turchia, Libano e Giordania, cercano di tornare indietro per scappare dagli scandali che hanno dovuto subire nel paese ospitante: ragazze vendute per matrimoni forzati , trattamenti inumani, la mancanza di cibo e di medicine.
L’economia siriana è ancora una economia di guerra. Il dollaro supera 123 lire siriane, mentre l’euro è al cambio di 155 lire siriane. Il grammo di oro ha raggiunto £ 5200.
Con questa “molto relativa calma,” cominciamo a vedere quali potrebbero essere i problemi del dopoguerra. Come fare senza tribunale, senza registri personali e di negozi, senza documentazione di pensione, con centinaia di migliaia di bambini che hanno perso la scuola? Ma dalla guerra non siamo ancora fuori. Bombe e cecchini continuano. Gli universitari non vanno più all’Università a causa di questi.
Accaniti fin dall’inizio del confronto, i ribelli non sanno più come distruggere la Siria: hanno trovato una nuova arma, la droga che danno ai giovani. Addirittura avrebbero diffuso un prodotto eccitante che dà allucinazioni ai suoi consumatori per incoraggiarli ad aderire al movimento di “ribellione”.
Infine, vorremmo poter dispensare il lettore da questo rosario di disgrazie di cui soffre il nostro paese e a sua società, ma ahimè, possiamo ancora aggiungere l’immissione sul mercato di prodotti alimentari intossicati di origine turca: diversi decessi sono stati riportati a causa del consumo di olio di arachidi, di araq o di latte in polvere contraffatto, venduto con il nome di “Nestle”.
E come in ogni guerra, il traffico di organi diventa un fatto banale.
Speriamo che il prossimo scritto dia conto di un miglioramento più significativo. Nel frattempo, abbiamo ancora bisogno del vostro sostegno .
Le Veilleur de Ninive
Ora Pro Siria
Il diario di un curato di… Aleppo
Una nuova escalation nella tensione già insostenibile del dramma siriano è stata raggiunta con il rapimento dei due vescovi: Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, metropolita di Aleppo per i “siro-ortodossi”, e di Mar Boulos el-Yazji, metropolita “ortodosso” di Aleppo. Un carico nuovo di paure e di incertezze è stato riversato nei cuori già tribolati dei cristiani siriani.
Cosa accadrà dopo questo rapimento? Zenit lo ha chiesto a un sacerdote che persevera la missione nella sua terra e nella sua parrocchia ad Aleppo. Per tutelare la sua sicurezza, quella dei suoi familiari e quella della sua comunità abbiamo preferito non rivelare le sue generalità. Egli stesso ci ha confessato: “non è importante il mio nome. L’importante è che la voce, la testimonianza, la sofferenza e la speranza dei cristiani vengano conosciute e annunciate”. Abbiamo voluto ascoltare da questo sacerdote gli echi della vita quotidiana all’ombra dell’ignoto, di ciò che ha definito: il “disordine organizzato”. Ciò che ci ha sorpreso è stata la constatazione che malgrado la nuvole cupe e nere che si addensano sulla Siria vi è comunque un barlume di speranza che non scaturisce da un ottimismo ingenuo, ma da uno sguardo di fede radicato nelle parole – ormai divenute esperienza – di san Paolo: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati”.
La guerra ha imposto un “calendario di emergenza”. Qual è il suo programma quotidiano come sacerdote?
– Nella situazione attuale, il lavoro pastorale come l’abbiamo sempre vissuto è sospeso. Si è trasformato in un lavoro di aiuto umanitario. Le visite pastorali e le varie attività hanno preso un taglio diverso proprio per rispondere alla situazione di emergenza attuale. (…) Per quanto riguarda le opere di carità e di sollievo del dolore, collaboriamo strettamente come parrocchia con la Croce Rossa e con la Caritas. Continuiamo comunque a celebrare la messa quotidiana nelle zone ancora abitate e notiamo un aumento di frequenza quotidiana dei fedeli. I cristiani hanno iniziato a cercare di più la speranza che viene dal Cristo risorto dai morti! Mi urge sottolineare anche che tantissimi sacerdoti sono impegnati in modo stabile accanto ai laici nel servizio di sostegno materiale nelle parrocchie e nelle diocesi.
Avete ricevuto qualche minaccia come parrocchia?
– È risaputo come purtroppo tante chiese – anche chiese antichissime che sono patrimonio di tutta l’umanità – sono saltate in aria. Grazie a Dio, la nostra chiesa non ha ricevuto ancora minacce dirette. Purtroppo, però, tanti nostri parrocchiani sono stati minacciati e hanno dovuto lasciare il paese o almeno hanno dovuto spostarsi verso zone meno tribolate. Ciò nonostante, e soprattutto in prossimità delle grandi feste, sono state trovate delle macchine con bombe in prossimità delle chiese. La provvidenza divina ha permesso che i nostri concittadini si accorgessero del pericolo e quindi le bombe sono state disattivate prima che potessero esplodere.
Cosa si aspettano i cristiani di Aleppo dalla Chiesa?
– La gente rivolge a noi domande quotidiane, ma credo che tutte convergono su questo punto: dobbiamo lasciare il paese o rimanere e conservare la presenza cristiana nel Levante? – Io, e lo dico con sincerità, consiglio a chi può di allontanarsi, seppure momentaneamente. È certo che dobbiamo testimoniare Cristo dinanzi alla situazione di caos quotidiano che viviamo. Ma questa risposta non voglio che sia idealista e astratta. La realtà quotidiana è drammatica e viviamo un grande disordine. Non sappiamo se uscendo la mattina dalle nostre case vi faremo ritorno la sera. Per questo, la mia risposta alla gente è questa: Ognuno deve mettersi dinanzi alla propria coscienza e vagliare le proprie scelte, in considerazione della situazione della propria famiglia. Bisogna fare la scelta dettata dal discernimento della volontà di Dio.
Guardiamo con realismo alle cose: cosa può offrire la Chiesa concretamente ai cristiani siriani ora? (…) Ma la verità rimane che una cesta di aiuti alimentari non è sufficiente. I cristiani di Aleppo e della Siria cercano sicurezza, prospettive, speranza. Tramite gli aiuti, se non veniamo uccisi possiamo vivere una settimana, un mese, magari anche un anno… e poi? Per questo la risposta ognuno se la deve dare da solo secondo la propria coscienza e le proprie possibilità.
E lei, perché non lascia la Siria?
– Primo, perché la Siria è il mio paese. E io come cristiano appartengo a questa nazione. Secondo, e più importante, per la mia missione sacerdotale. Malgrado tutte le certezze e le possibilità che ho per poter lasciare il paese (come il permesso di soggiorno di uno stato estero, e la possibilità di avere un visto), l’appello di Cristo rimane per me come sacerdote quello di offrire il sorriso di speranza: non il mio personale e neppure quello dell’istituzione ecclesiastica, ma quello di Cristo stesso! Soltanto quando non ci saranno più cristiani qua, io sarò pronto a lasciare il paese. Se io dovessi lasciare il paese, dentro il mio cuore porterò un rimorso più amaro della morte, ed è quello di aver lasciato degli amici e dei figli con cui ho vissuto i tempi buoni e che ora, nei tempi della tempesta, avrò abbandonato.
I due vescovi sono stati liberati, ma il fatto stesso del rapimento rimane una questione grave. Che peso ha avuto sul suo animo e su quello dei suoi parrocchiani?
– È stato un enorme shock. Ci ha lasciato con un forte senso di sgomento e angoscia. La domanda che ci poniamo è questa: se hanno violato queste sacralità, quale sarà il passo successivo? Poi, la domanda grave è questa: che senso ha questo rapimento? Che senso ha rapire due vescovi qaundo è risaputo che non si sono risparmiati minimamente nel cercare di condurre le diverse parti al tavolo del dialogo? Che senso ha rapire due persone che hanno come obiettivo la concordia e la pace? Il loro rapimento è un attentato al dialogo e alla pace. Ecco il controsenso. Ecco il dramma. È un gesto stupido e arrogante che non incarna nessuna sapienza né politica, né sociale né religiosa.
Di fronte ad una miscela di orrore, paura, coraggio, resistenza e resa, qual è la parola che risuona più forte?
– La parola più forte che posso dare è questa: dimorare in Cristo. Questo dimorare non si fonda sulla debolezza dinanzi alla forza dell’aggressore, ma è costruita sulla messa quotidiana in cui ogni giorno ci conformiamo a Cristo crocifisso nella speranza della risurrezione. Lui è il nostro cibo quotidiano e il nostro baluardo in questa tempesta. Dinanzi a questa disperazione, gridiamo: Cristo è la nostra speranza.
Zenit.org