Il sionismo usurpatore della Terra Santa
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 52/20 del 28 maggio 2020, Sant’Agostino di Canterbury
Il sionismo usurpatore della Terra Santa
Dopo la caduta dell’impero ottomano nel 1918, la Chiesa sperava di rafforzare la sua presenza in Palestina. Con il sionismo si passò invece dalla padella alla brace e, come temevano i rappresentanti della Chiesa a Gerusalemme (il Patriarcato latino e la Custodia di Terra Santa) la situazione per i cattolici peggiorò sensibilmente. Infatti le comunità cattoliche che avevano resistito nei secoli alla presenza e alle persecuzioni dell’Islam, furono decimante dal sionismo, prima con la fase terroristica e poi con quella istituzionale.
Ora il governo di Netanyahu, con l’appoggio degli Usa, ha annunciato l’annessione dei territori della Cisgiordania dove da anni si moltiplicano gli insediamenti dei coloni, responsabili di atti di vandalismo nei confronti delle chiese e dei conventi cattolici. L’annessione potrebbe innescare una nuova stagione di violenze e l’ulteriore esodo delle famiglie cristiane. La Terra Santa diventerebbe così un museo cristiano senza cristiani.
Dall’annessione de facto a quella formale
Tra le tematiche elencate dall’articolo di Ynet, (sul processo a Netanyahu per corruzione, frode e abuso di potere, ndr) quella di più bruciante attualità è certo l’annessione della Cisgiordania, che dovrebbe essere messa ai voti alla Knesset (il parlamento israeliano) a giugno.
Hagai El-Ad, direttore di B’Tselem, su Haaretz sostiene che tale passo è solo la formalizzazione di quanto è già nei fatti. Infatti, “Israele ha già il pieno controllo di tutto il territorio (palestinese); centinaia di migliaia di coloni ebrei godono degli stessi diritti civili dei cittadini ebrei che vivono all’interno della Linea Verde; infine, Israele può contare sull’Autorità palestinese, che gli risparmia la necessità di gestire direttamente molti aspetti della vita dei palestinesi che Israele preferirebbe non affrontare, sicuramente non certo destinando a tale scopo parte del proprio bilancio”.
“Gli israeliani – prosegue El-Ad – non hanno bisogno dell’annessione per continuare a sviluppare con successo, e a costo zero, il proprio progetto sulle spalle dei palestinesi. Né i palestinesi hanno bisogno di un’annessione formale per capire l’intenzione a lungo termine di Israele: Israele ha già fatto ciò che gli è piaciuto di loro e delle loro terre senza alcuna annessione formale, e i palestinesi hanno già capito che Israele non ha intenzione di andarsene né ha intenzione di dare loro diritti o libertà o autodeterminazione o uguaglianza civile”.
Tale situazione è stata a lungo accettata dalla maggior parte degli israeliani, non solo di destra, ma anche di centrosinistra, secondo El-Ad, dato che quest’ultima ha evitato di contestare veramente le colonie, limitandosi a evidenziare la loro natura “temporanea” in attesa di un futuro Stato palestinese.
Tale negazione, sempre secondo il direttore di B’Tselem, ha garantito un’annessione a “costo zero”, che ha permesso di presentare Israele come uno stato “democratico” e di evitare reazioni internazionali.
Data la situazione, El-Ad si interroga sul perché il premier voglia compiere tale passo. Egli, secondo il direttore di B’Tselem, cercherebbe semplicemente di dare all’annessione de-facto il crisma dell’ufficialità, ponendo fine al dibattito interno e internazionale sul tema. In una parola, vuole quel “consenso” sull’annessione che oggi manca.
Reprimenda dura e forse estrema quella di El-Ad, anche contro la sinistra israeliana, che però interpella su un passaggio che ad oggi appare inevitabile, dato che non si comprende chi possa impedirlo.
Se è vero che l’iniziativa non gode di consenso internazionale, difficilmente incontrerà una reazione che non sia meramente verbale e sostenibile nel breve, contando il premier su un suo attutimento nel futuro (in ogni caso il futuro non sarà un problema suo: egli opera per sé stesso, non per la storia).
Eppure l’iniziativa avrà sicuramente un effetto lacerante sulla sinistra israeliana e soprattutto sulla comunità ebraica statunitense, l’unica avversione che Netanyahu teme perché potrebbe costargli l’America. Per questo ha cercato e ottenuto appoggio degli evangelical (Haaretz), sostenitori ai quali peraltro Trump non può rinunciare.