Se questo è un uomo
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 102/15 dell’11 dicembre 2015, San Damaso
Il caso dell’uomo transage che crede di essere una bambina
L’uomo transgender e transage: ha 52 anni ma vive come una bambina di sei anni
Se finora conoscevate solo i transgender, come Vladimir Luxuria o Efe Bal, e i transracial (dall’inglese transraziale) come Rachel Dolezal, forse non siete così aggiornati: infatti, la nuova frontiera dei “trans” sono i transage, letteralmente “transetà”.
Ormai neanche i più progressisti riescono a tenere il passo con questa modernità incalzante, che ogni giorno sembra infrangere un nuovo tabù.
In un’intervista rilasciata al sito The Daily Xtra, Stefonknee Wolscht (precedentemente Paul) racconta la sua difficile esperienza come persona transgender, nel passaggio da uomo a donna. Fin qui, direte, non c’è nulla di nuovo o di scandaloso per gli standard “progressive” a cui siamo abituati. Tuttavia, durante l’intervista, emerge un altro dato quanto meno singolare: Wolscht, infatti, non solo si sente una donna nel corpo di un uomo, ma si sente una bambina nel corpo di un 50enne.
L’uomo, o forse sarebbe più preciso dire la bambina, è venuto allo scoperto all’età di 46 anni, quando ha svelato la sua “vera vita” alla moglie e al figlio di sette anni.
“Ci sono giorni nei quali dimentico il mio passato”, ha spiegato Wolscht. “Non posso negare di essere stato sposato. Non posso negare di avere un bambino”, ha ammesso. “Ma adesso sono andato oltre e sono tornato ad essere un bambino. Non voglio essere un adulto in questo momento e così vivo la mia vita nel modo in cui avrei voluto viverla quando andavo a scuola”.
A molti verrebbe da pensare che non c’è nulla di strano, sono in tanti ad essere affetti dalla famosa sindrome di “peter pan” e a sentirsi ancora bambini dentro. Ma qui è diverso: Wolscht non parla in astratto. Lui vuole realmente essere un bambino.
“Io ho una mamma e un papà. Una mamma e un papà che si sentono sereni con la mia scelta di essere una bambina”. “Mi diverto molto con la loro nipotina. Coloriamo, e ci divertiamo facendo cose da bambini. Si chiama terapia del gioco. Nessuna medicina, nessun pensiero suicida. E così penso solo a giocare”, ha aggiunto Wolscht.
Sembrerebbe che un nuovo confine è stato varcato. Rimane da vedere se il fenomeno si diffonderà oppure se quello di Wolscht rimarrà un caso più unico che raro.
Il caso di Wolscht è stato raccontato in un documentario realizzato dal Transgender Project.