Sancte Michael, ora pro nobis
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 77/17 del 29 settembre 2017, San Michele
Sancte Michael, ora pro nobis
In onore di San Michele Arcangelo segnaliamo la voce “Sacra di San Michele” dell’enciclopedia Treccani (del 1936), relativa al maestoso edificio consacrato al culto micaelitico presente in Val di Susa.
SAGRA di SAN MICHELE (o Sacra di San Michele). – Abbazia benedettina (detta anche San Michele della Chiusa) che sorge sul M. Pirchiriano (962 m.) nei pressi dell’abitato di Chiusa di San Michele in provincia di Torino, allo sbocco di Val di Susa.
Nel secolo X Giovanni Vincenzo di Ravenna, rinunciando alla sua sede episcopale nel territorio della provincia ravennate, si rifugiava sopra il monte Caprasio, dove stavano raccolti pochi eremiti di S. Romualdo; e qui egli contava di erigere un tempio all’arcangelo San Michele. Ma per ingiunzione dello stesso arcangelo la chiesa veniva fabbricata sul Pirchiriano, dove nella notte gli angeli avevano trasportato i legnami segati e piallati dall’eremita stesso sul Caprasio. Mentre il vescovo di Torino, Amizone, chiamato a consacrare la chiesetta, si avvia al monte, giunto ad Avigliana vede il Pirchiariano in fiamme e una schiera di angeli in forma umana e abiti pontificali dirigersi al tempietto; la miracolosa consacrazione ottiene al romitaggio la denominazione tuttora popolare di “Sagra di San Michele”.
Ma la storia della Sagra può ritrarsi più in là ancora nei secoli: pare probabile che S. Giovanni Vincenzo non facesse che ricostruire nel secolo X un tempietto già dedicato a S. Michele, da attribuirsi ai Longobardi devoti all’arcangelo. Una chiesetta a tre navate e tre absidi veniva poi eretta – forse tra il 983 e il 987 – da Ugo di Montboissier, nobile signore alverniate, reduce da un pellegrinaggio a Roma, in luogo frequentatissimo da romei di Francia, d’Inghilterra e di Spagna. A questa seconda epoca costruttiva successe nel secolo XII quell’ampliazione maestosa che domina la pianura padana e che contrassegna il periodo di maggior fiore dell’abbazia, ricca allora di possedimenti estesissimi.
I lavori sospesi poi per circa un secolo, anche per il declinare dell’abbazia, furono ripresi, forse al tempo di Guglielmo, figlio di Tommaso III di Savoia (abate dal 1310 al 1326). Ma furono interrotti; nel 1335 la Sagra era preda di un terribile incendio e nel 1368 veniva messa a sacco dalle milizie inglesi di Bosone.
Ridotta nel 1381 a commenda, l’abbazia s’era avviata a inesorabile rovina; nel 1622 Gregorio XV erigeva la collegiata di Giaveno trasferendovi i beni dell’abbazia, la quale quasi distrutta dai Francesi nel 1629 non risorse più. Carlo Felice la destinò a sepolcreto dei varî membri della Casa Savoia. Dal 1836 la Sagra è affidata in custodia ai padri rosminiani.
Nel suo aspetto attuale così caratteristico, edificata sopra alte sostrutture sul vertice a picco di un monte, la sagra offre l’impressione d’un blocco assai serrato e unitario. In realtà, essa consta di parti risalenti ad epoche e stili diversi, che riflettono la storia e le vicende dell’abbazia. La parte più antica è costituita dalla cripta, identificabile con la cappella che la tradizione vuole eretta da S. Giovanni arcivescovo di Ravenna. In essa è notevole l’altare originario. Della chiesa superiore, la parte più antica è costituita dalle absidi risalenti al secolo XII: quella mediana molto maggiore, trilobata, con galleria esterna, le laterali poco sviluppate; la restante basilica è in stile gotico, e attualmente si stanno demolendo i voltoni seicenteschi che la deturpavano e ne compromettevano con la loro spinta l’equilibrio, per ripristinare le originarie vòlte a costoloni, di cui rimangono tuttora gli attacchi. Nella demolizione di questi voltoni sono stati rinvenuti, fra il materiale usatovi, frammenti di lapidi romane, che attendono d’essere studiati. Interessantissime sono le sostrutture della chiesa e, in esse, lo “Scalone dei morti” che si svolge sotto l’abside e la porzione orientale della basilica. I capitelli scolpiti che l’ornano sono varî di motivi decorativi; notevoli in particolar modo le sculture della “Porta dello zodiaco” così detta, perché, frammezzo a varî ornati: sirene, aquile, tralci d’acanto, ecc., vi sono raffigurati i segni dello zodiaco. A questa porta è connessa una questione attributiva di notevole interesse per la storia della scultura romanica. Siccome uno stile affine, un’uguale erudizione astronomica, il nome di “Nicholaus”, e persino la stessa scritta che si legge sulla porta destra del duomo di Piacenza: “Hoc opus intendat quisquis bonus exit et intrat”, ricorrono anche in questa porta della Sagra, sorge la domanda se autore delle sculture non sia lo stesso Nicolò, ben noto, che lasciò opere nelle cattedrali di Piacenza, Ferrara, Verona e in S. Zeno di Verona.
All’epoca romanica risale anche il cosiddetto “Sepolcro dei monaci” che sorge poco discosto dalla chiesa, ora in rovina: una costruzione a pianta centrale, che doveva un tempo essere coperta da vòlta. Gli altri fabbricati irregolari che formavano il monastero, raggruppati intorno alla chiesa, contengono interessanti avanzi di costruzioni antiche; ma, allo stato attuale, il loro valore monumentale rimane celato. Deve ricordarsi tuttavia che la sagra è uno dei più cospicui esempî di monasteri fortificati: una tappa intermedia fra le due celebri abbazie di S. Michele al Gargano e di Mont-Saint-Michel sull’Oceano.
http://www.treccani.it/enciclopedia/sagra-di-san-michele_%28Enciclopedia-Italiana%29/