Repetita iuvant
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 18/15 del 20 febbraio 2015, Sant’Eleuterio
LA RINUNCIA DI JOSEPH RATZINGER. COMUNICATO DELL’ISTITUTO MATER BONI CONSILII
La mattina di questo 11 febbraio 2013, durante il Concistoro, Benedetto XVI ha annunciato la sua “rinuncia al ministero di Vescovo di Roma, successore di San Pietro”, precisando che la Sede sarà effettivamente vacante a partire dal 28 febbraio, alle ore 20.
Unica motivazione data per questa decisione: l’ingravescentem aetatem, ovverosia l’età avanzata (e non è dato sapere dell’esistenza di altri motivi).
La rinuncia al Sommo Pontificato è prevista – come possibilità – dal canone 221 del codice di diritto canonico promulgato da Benedetto XV, per cui, di per sé, una decisione di questo genere non altera la divina costituzione della Chiesa, pur ponendo delle gravissime difficoltà di ordine pratico. E’ ben noto perciò che le rare rinunzie del passato avvennero in circostanze di particolare gravità nella storia della Chiesa, per cui il gesto compiuto oggi da Benedetto XVI non può essere paragonato a quelli del passato.
Si tratta invece – come lo suggeriscono le parole stesse adoperate, ingravescentem aetatem – della volontà di applicare anche all’ufficio papale quanto già il Vaticano II (col decreto Christus Dominus) e Paolo VI (Motu proprio Ecclesiae Sanctae del 6 agosto 1966; Motu proprio Ingravescentem aetatem del 21 novembre 1970) avevano deciso per i Parroci, i Vescovi e i Cardinali (dimissioni al compimento dei 75 anni; esclusione dal Conclave al compimento degli ottant’anni per i Cardinali).
Quelle decisioni conciliari e montiniane non avevano solo lo scopo pastorale dichiarato di evitare di avere pastori inabili al ministero per l’età avanzata (e quello non dichiarato di allontanare eventuali oppositori alle riforme), ma quello di trasformare – almeno di fatto e agli occhi del mondo – una sacra gerarchia in un amministrazione burocratica simile alle amministrazioni di governo dei moderni stati democratici, o ai ministeri pastorali sinodali delle sette protestanti. Oggi Joseph Ratzinger porta a compimento la riforma conciliare applicando anche alla sacra dignità del Sommo Pontificato le moderne categorie mondane e secolari di cui sopra, equiparando anche in ciò il Papato Romano all’episcopato subalterno. E’ molto probabile che l’odierna decisione, infatti, diventi come moralmente obbligatoria per i successori, facendo del Papato un incarico “a tempo” e provvisorio di presidente del collegio episcopale o, perché no, del concilio ecumenico delle chiese.
All’inizio del suo “pontificato”, Benedetto XVI insistette infatti sull’aspetto collegiale dell’autorità della Chiesa: il Vescovo di Roma è il presidente del collegio episcopale, un Vescovo tra i Vescovi; al termine del suo “governo”, Joseph Ratzinger ha voluto presentare – come un qualsiasi vescovo conciliare – le sue dimissioni.
Ma il 19 aprile 2005, quando Joseph Ratzinger fu eletto al Sommo Pontificato dal Conclave, accettò veramente, e non solo esteriormente, l’elezione? Secondo la tesi teologica messa a punto da Padre M.L. Guérard des Lauriers o.p. (nei confronti di Paolo VI e dei suoi successori) questa accettazione non poté che essere esteriore e non reale ed efficace, in quanto l’eletto ha dimostrato di non avere avuto, né allora, né in seguito, l’intenzione oggettiva e abituale di provvedere al bene della Chiesa e di procurare la realizzazione del suo fine. Da quel giorno, Joseph Ratzinger fu sì l’eletto del conclave, ma non formalmente il Sommo Pontefice che governa la Chiesa “con” il suo Capo invisibile, Nostro Signore Gesù Cristo. Con la decisione odierna, in sintonia con la dottrina e la disciplina conciliare e col vivo sentimento antipapale ereditato in lui dal protestantesimo tedesco e dal modernismo agnostico del quale è stato e resta massimo esponente, Joseph Ratzinger ha solo reso esplicito e manifestato il suo rifiuto di governare veramente la Chiesa, e cessa così di essere – giuridicamente – non il Papa, che non è mai stato, ma l’eletto del conclave e l’occupante materiale della Sede Apostolica.
Nella già drammatica situazione della Chiesa, il gesto odierno indebolisce ancora di più la barca apostolica scossa dalla tempesta. E’ vero infatti che questo gesto riconosce l’incapacità e la non volontà di Ratzinger di governare la Chiesa, ma è vero anche che porta a compimento, come detto, la disciplina conciliare di discredito della gerarchia ecclesiastica. Solo l’elezione di un vero Successore di Pietro potrebbe porre fine a questa crisi di autorità, ma la composizione del corpo elettorale lascia presagire – a vista umana – che la notte sarà ancora più fonda, e l’alba ancora lontana. Che Dio ci assista, con l’intercessione di Maria Santissima, e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Verrua Savoia, 11 febbraio 2013
Sodalitium
COMUNICATO DELL’ISTITUTO MATER BONI CONSILII IN MERITO ALL’ELEZIONE DI JORGE M. BERGOGLIO
Il comunicato del nostro Istituto dell’11 febbraio, terminava con queste parole: “Solo l’elezione di un vero Successore di Pietro potrebbe porre fine a questa crisi di autorità, ma la composizione del corpo elettorale lascia presagire – a vista umana – che la notte sarà ancora più fonda, e l’alba ancora lontana”. Purtroppo la realtà – con l’elezione del 13 marzo scorso – è andata al di là delle più fosche previsioni. Se il Grande Oriente d’Italia, e ancor più quella particolare organizzazione massonica che è il B’nai B’rith (Figli dell’Alleanza) si sono vivamente rallegrati della scelta fatta della persona di Jorge Mario Bergoglio, il mondo cattolico al contrario piange non solo per essere ancora privo di un vero, autentico e legittimo Successore di Pietro e Vicario di Cristo, ma anche perché occupa la sede Apostolica – in castigo dei nostri peccati e per altri imperscrutabili motivi – un vero nemico interno della Chiesa Cattolica.
In questo momento storico, e in attesa di atti oggettivi che possano confermare o – lo volesse Iddio -smentire quanto appena scritto, nella nostra veste di semplici battezzati, cresimati o sacerdoti della Chiesa Cattolica, intendiamo professare la nostra fede, fare alcune considerazioni, e rivolgere un appello.
Innanzitutto, i membri dell’Istituto intendono qui rinnovare pubblicamente la propria professione di fede cattolica del Concilio di Trento e Vaticano primo (DH 1862-1870) ed il giuramento antimodernista (DH 3537-3550), ed in particolare la propria fede “in ordine al primato ed al magistero infallibile del Romano Pontefice, Vicario di Cristo e Successore di Pietro, al quale Cristo ha affidato le chiavi del Regno dei Cieli, il compito di confermare i suoi fratelli nella fede, e di pascere il Suo gregge”. Primato che Cristo ha affidato al solo Pietro, e non stabilmente all’intero collegio apostolico e ancor meno al “collegio episcopale”.
Gli avvenimenti recenti (rinuncia di Joseph Ratzinger, elezione di Jorge M. Bertoglio) hanno poi ricordato il ruolo di Dio e quello degli uomini durante la vacanza della Sede e l’elezione del nuovo Pontefice. Durante la vacanza della Sede, l’Autorità permane sempre in Cristo, Capo invisibile della Chiesa e solo “in radice” nel corpo morale che può designare il nuovo Pontefice.
Questo corpo morale elegge un candidato con degli atti umani propri a ognuno degli elettori; la persona eletta deve poi accettare, non solo a parole, ma nella realtà, il Sommo Pontificato, il che include la volontà oggettiva ed abituale di realizzare il fine stesso del Papato e il bene della Chiesa. Anche questa accettazione ed intenzione sono degli atti umani, sottomessi a tutte le infermità di un altro atto umano. Questi atti umani – degli elettori e dell’eletto – costituiscono l’aspetto materiale del papato; papato che però non viene dagli uomini, ma da Cristo stesso che governa, santifica, insegna la Chiesa, abitualmente, “con” il suo vicario: “sarò con voi…” (Matt. 28, 20). Cristo comunica quindi a chi è stato canonicamente eletto ed ha realmente accettato l’Autorità che lo costituisce formalmente il Sommo Pontefice.
È con un semplice atto di rinuncia della sua volontà che Joseph Ratzinger ha rifiutato l’elezione che era stata fatta della sua persona, rendendo così totalmente vacante la Sede; ha così reso esplicito quel suo non volere veramente governare la Chiesa “assieme a Cristo” che gli impediva, fin dall’inizio, di essere Papa. È con un atto della sua volontà, analogicamente, che Jorge M. Bergoglio non ha oggettivamente l’intenzione di governare la Chiesa accettando il Sommo Pontificato, al punto che la sera dell’elezione si è lui stesso presentato non come il Papa, ma solo come il “vescovo di Roma”, secondo la nuova dottrina della collegialità episcopale. Tutti gli atti di Jorge M. Bergoglio nella sua sede di Buenos Aires attestano, senza ombra di dubbio, che egli intende il suo ruolo in ordine al dialogo interreligioso, specialmente col giudaismo e all’ecumenismo (giungendo al punto di farsi benedire e imporre le mani dagli eretici), in fraterna unione con tutti i nemici della Chiesa e di Cristo, e nel più totale disprezzo della Tradizione dogmatica, liturgica e disciplinare della Chiesa Cattolica. Una simile pubblica, abituale intenzione è incompatibile con l’essere Papa, cioè con l’essere “una cum” il Capo invisibile della Chiesa, Gesù Cristo Nostro Signore. È questa l’analisi che ci sembra dover fare per comprendere l’attuale situazione dell’autorità nella Chiesa.
Rivolgiamo quindi la nostra preghiera a Cristo Signore: “Domine, salva nos, perimus”! (Matt. 8, 23) Solo il Signore, nella mediazione di Maria, può salvare e salverà la Sua Chiesa.
Ci appelliamo poi ai cattolici che ancora si sentono legati alla tradizione della Chiesa, affinché aprano gli occhi e rompano coraggiosamente la comunione con chi non può rappresentare Gesù Cristo e la Sua Sposa, la Chiesa Cattolica.
Preghiamo infine i Santi Apostoli Pietro e Paolo affinché proteggano la Chiesa Romana, e i Santi Pontefici San Pio V e San Pio X affinché sostengano con la loro intercessione tutti i difensori della Chiesa dai suoi nemici interni ed esterni.
Verrua Savoia, 15 marzo 2013
Sodalitium