Recensione: “Gli Zuavi Pontifici e i loro nemici”
Centro studi Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 96/21 del 22 dicembre 2021, Santa Francesca Cabrini
Recensione: “Gli Zuavi Pontifici e i loro nemici”
Il nostro Istituto si distingue per il ricordo di tutti coloro che dal 1860 al 1870 si arruolarono nell’esercito di Pio IX per difendere il Papa e la Chiesa dall’attacco rivoluzionario orchestrato dalla massoneria. Lo dimostrano i convegni e conferenze organizzati sull’argomento, la ristampa del libro di Antonmaria Bonetti (“Il volontario di Pio IX”), la lapide per ricordare il 150° anniversario della battaglia di Castelfidardo e i fervorini di don Ricossa al relativo sacrario delle Crocette, gli interventi per il decoro delle tombe al cimitero Verano di Roma (come quella del gen. Kanzler) e altre iniziative.
Bisogna precisare che questo interesse non è molto diffuso. Eppure i settari non hanno dimenticato i loro presunti eroi, a cui hanno dedicato non solo logge e associazioni anticlericali, ma anche scuole, vie e piazze pubbliche. In ambito cattolico, invece, l’oblio ha colpito quasi del tutto i nomi di coloro che, in massima parte in età giovanile, combatterono e, in molti casi, morirono, per la causa papale. È un problema a cui non è estraneo il “tradizionalismo” cattolico, dove a volte delle scorie ideologiche indirizzano le simpatie a personaggi del tutto estranei alla controrivoluzione cattolica.
L’oblio generalizzato non ha favorito negli ultimi decenni lo studio e la pubblicazione di testi relativi all’esercito pontificio di Pio IX e al suo decennio cruciale. Fu una benemerita eccezione l’opera di Piero Raggi, “La nona crociata. I volontari di Pio IX in difesa di Roma 1860-1870” (prima ed. del 1992, seconda ampliata del 2002), autore più volte invitato dal Centro studi “Giuseppe Federici” di Rimini. Se non sbaglio l’archivio di Raggi (che ebbi modo di ammirare a casa dell’autore) permise poi una seconda pubblicazione, principalmente iconografica, “Per il Papa Re. Il Risorgimento italiano visto attraverso la storia del reggimento degli Zuavi Pontifici 1860/1870” di Lorenzo Innocenti (2004). Nel 2007 vi fu la ristampa del già citato testo di Antonmaria Bonetti, “Il volontario di Pio IX. Racconto storico di un volontario di Pio IX dal 1867 al 1870”, a cura del Centro Librario Sodalitium. Forse mi sfuggirà qualche altro testo, fatto sta che la scarsità di materiale obbligava le poche persone interessate all’argomento a procurarsi vecchi testi, peraltro difficili da reperire, per poter approfondire questa pagina storica (come “I Martiri di Castelfidardo” del Marchese de Ségur, “Olderico ovvero lo zuavo pontificio” di padre Bresciani, “La mano di Dio” di Paolo Mencacci, “Venticinque anni di Roma capitale” del Bonetti, “La fine dell’esercito pontificio” di Attilio Vigevano, “Mentana” di Roberto Di Nolli, “L’anno di Mentana” di Paolo della Torre).
La lacuna è stata finalmente colmata dal libro di Francesco Maurizio Di Giovine “Gli Zuavi Pontifici e i loro nemici”, edito dalla casa editrice Solfanelli di Chieti nel 2020, il classico testo che non dovrebbe mancare in libreria (e la libreria non dovrebbe mancare nelle case). Il libro è utile a tutti: sia a chi è digiuno sull’argomento, poiché permette di conoscerlo adeguatamente, sia a chi non è nuovo a questo genere di letture, perché permette di approfondire la tematica scoprendo numerosi episodi inediti, in molti casi grazie alle preziose memorie di Don Alfonso di Borbone, come vedremo in seguito.
L’opera dell’Autore risponde a due domande fondamentali: chi furono i volontari di Pio IX? E perché decisero di arruolarsi in un esercito destinato a uscire sconfitto? La risposta sta nella fede cattolica che animava queste persone, una fede che, come tanti nelle prima fase della Rivoluzione (basti pensare all’insurrezione cattolica della Vandea e alle insorgenze cattoliche antigiacobine nella nostra Penisola) determinò delle scelte coraggiose, spesso eroiche. Il buon cattolico di quei tempi, grazie al magistero dei Sommi Pontefici, era consapevole della gravità dell’aggressione scatenata dai nemici di Cristo, organizzati nelle diverse sètte segrete. Ne è testimone Antonmaria Bonetti, giovane universitario di Bologna, volontario pontificio, che dopo aver partecipato il 20 settembre 1870 alla difesa di Roma e dopo aver subito la detenzione in un campo di prigionia italiano, fu il fondatore di una rivista antimassonica e collaboratore de L’Osservatore Romano.
Si trattò quindi di una schiera di giovani che, poiché cattolici, naturalmente combatteva la Rivoluzione: erano dunque dei controrivoluzionari, difensori dell’ordine religioso e sociale assicurato da secoli di Cristianità. Per una parte di essi, la controrivoluzione coincideva anche con una fedeltà dinastica, come i legittimisti francesi e i carlisti spagnoli (anche della Catalogna e dei Paesi Baschi). Per molti altri, invece, come i volontari dei Paesi Bassi (i più numerosi), dell’Irlanda e del lontano Québec, l’essere cattolici e antirivoluzionari era un tutt’uno, senza ulteriori motivi (seppur molti di essi fossero stati forgiati dai secolari scontri contro gli eretici britannici o olandesi). Nel libro si descrive bene la difficoltà iniziale di amalgamare tanti giovani (impetuosi di natura) provenienti da nazioni e persino continenti diversi, e di impedire che alcuni aspetti particolari (come il legittimismo borbonico dei francesi) prevalessero sul bene comune, rappresentato dalla difesa della Chiesa (che non potrà mai identificarsi con una dinastia o un partito politico), anche per il delicato equilibrio diplomatico con le cancellerie europee.
L’aspetto controrivoluzionario dell’esercito di Pio IX è giustamente sottolineato da Di Giovine, poiché è la chiave di lettura di quella che fu a tutti gli effetti, come scrisse Piero Raggi, una crociata, dove il turco di un tempo era sostituito dal massone, che mandava al macello gli idealisti sedotti dalle passioni politiche e soprattutto i tantissimi figli delle popolazioni cattoliche (anche piemontesi) ignari di quello che succedeva dietro le quinte. Del resto le rivoluzioni ottocentesche furono le prove generali della carneficina della prima guerra mondiale, una delle pagine più orribili della storia contemporanea.
L’odio anticattolico dei pretesi liberatori dello Stato Pontificio si manifestò nelle varie tappe dell’occupazione delle terre del Papa. Un fatto emblematico è legato all’arrivo dell’esercito invasore a Perugia, nel settembre 1860, che si macchiò della morte di un sacerdote innocente, don Baldassarre Sandri, fucilato malgrado le suppliche dell’arcivescovo Gioacchino Pecci, il futuro Leone XIII, come descrive dettagliatamente l’Autore.
L’esercito pontificio, nel decennio che trattiamo, si formò gradualmente: i primi contingenti di volontari arrivarono all’inizio del 1860, gli ultimi a ridosso del 1870, con una costante crescita prima e dopo la vittoriosa campagna militare del 1867. Abbiamo accennato come la mobilitazione di tanti giovani avesse la connotazione di una crociata: e come tale fu predicata da buona parte dell’episcopato, con l’organizzazione di comitati diocesani nelle varie nazioni, non solo quelle cattoliche, per promuovere l’arruolamento e rispondendo così all’appello del belga Mons. Frédéric-François-Xavier de Mérode, nominato da Pio IX Pro-Ministro delle Armi Pontificie. La mobilitazione generale però fu resa difficile a causa dei nuovi assetti politici che avevano colpito la professione della fede in tante nazioni (la chiamata alle armi sostenuta in Francia dallo scrittore e giornalista Louis Veuillot, gli costò il sequestro governativo del giornale L’Univers, mentre i giovani provenienti dall’Italia settentrionale, come il già citato bolognese Bonetti, dovettero ricorrere a diversi stratagemmi per poter raggiungere fisicamente la città di Roma). Sorsero anche dei comitati per raccogliere i fondi necessari a sostenere l’impresa che si stava delineando. La generosità dei cattolici non si fece quindi attendere: tanti giovani si arruolarono e tanti fedeli contribuirono alle spese, tutti spinti dall’amore per Pio IX e per la Chiesa.
A questo punto è necessario leggere le 360 pagine del libro dell’Autore per conoscere nei particolari la nascita e lo sviluppo delle forze armate papaline (in particolare il battaglione dei Tiragliatori pontifici che divenne poi il reggimento degli Zuavi pontifici), i nomi degli ufficiali e dei soldati che si distinsero nel servizio al Papa e le località che furono teatro degli avvenimenti bellici (in particolare relative alla cam-pagna militare nell’Agro romano del 1867). Alla narrazione storica il libro unisce con dovizia di particolari la descrizione delle uniformi, delle armi e delle strategie militari messe in campo.
Come sacerdote ho apprezzato molto il modo in cui l’Autore mette in rilievo il ruolo dei cappellani militari, a iniziare dal bretone Mons. Jules Daniel, che fu il primo padre spirituale delle truppe e in particolare dell’élite spirituale rappresentata dagli Zuavi, giustamente messa in risalto dallo stesso titolo del libro. Non si trattò di un ruolo marginale bensì, trattandosi di un esercito di cattolici impegnato in una causa cattolica, di un elemento indispensabile: fornire le armi spirituali a chi aveva impugnato quelle materiali per difendere la Chiesa. Segnalo un aneddoto riportato da Di Giovine, relativo alla recita delle orazioni della sera prevista nelle caserme. Uno zuavo bretone, in una lettera inviata alla famiglia, scriveva che dopo una preghiera propria al battaglione, composta da Mons. Daniel, seguivano “il Pater, l’Ave, il Credo, il Confiteor e il De profundis”. Lo scritto terminava con un commento: “Ed è tutto. È breve, ma buono”. Per chi scriveva, evidentemente, le orazioni in caserma erano ben poca cosa rispetto a quelle che era abituato a recitare in famiglia!
La galleria di personaggi che si susseguono nei diversi capitoli del libro (de Lamoricière, de Pimodan, Becdelièvre, Kanzler, de Charette, Allet, Azzanesi, Zappi, Berardini, e tanti altri) dovrebbe essere nota a tutti i buoni cattolici: la lettura del libro permette di colmare l’eventuale lacuna e spingere ad approfondire le singole personalità. Evidentemente un posto di primissimo piano spetta al gen. Hermann Kanzler (1822-1888), che il 29 ottobre 1865 fu nominato ProMinistro delle Armi e Comandante generale, in sostituzione di Mons. de Mérode. Sulla figura di Kanzler rimando il lettore al testo pubblicato sul n. 69 di Sodalitium, relativo alla scheda biografica tratta dal volume “Le carte Kanzler-Vannutelli dell’Archivio Vaticano”. Le sue capacità militari (fu esemplare il modo in cui preparò e condusse la campagna militare del 1867, coronata con la vittoria nella 46 battaglia di Mentana) erano unite alla più profonda dedizione al Papato. Quando i nuovi padroni di Roma gli proposero una pensione, benché anziano e con limitate disponibilità economiche, rispose con un fermo diniego.
Uno degli aspetti più interessanti del libro è rappresentato dalle memorie di Don Alfonso Carlos di Borbone (1849-1936), futuro pretendente carlista al trono di Spagna (il Carlismo prevede non solo la legittimità di sangue, ma anche la legittimità di esercizio, cioè la fedeltà ai principi cattolici), che nel 1868, all’età di 19 anni, volle arruolarsi come semplice soldato nell’esercito del Papa Re e partecipò alla difesa di Roma del 20 settembre. Il diario del principe consente al lettore di avere una testimonianza diretta degli avvenimenti, col racconto di tanti episodi inediti che permettono di cogliere maggiormente le vicende narrate e di caratterizzarle per quello che furono nella loro essenza più profonda: una vera e propria guerra di religione.
Vi sono altri due aspetti decisamente interessanti dell’opera di Francesco M. Di Giovine: il primo è rappresentato dalle numerose note corredate da schede biografiche di molti personaggi citati, che ci faranno conoscere meglio tanti protagonisti e collocarli nella società dell’epoca. L’altro aspetto sono gli elenchi dei combattenti e dei caduti che presero parte ai principali fatti d’arme, elenchi meticolosamente compilati. Ricostruire in modo soddisfacente l’elenco dei caduti di una campagna militare è particolarmente complesso, poiché ai morti in combattimento bisogna aggiungere quelli deceduti successivamente negli ospedali e nei campi di prigionia, oltre ai dispersi. Il libro è apprezzabile anche per questo lavoro certosino, che permette finalmente di avere tutti i nomi da ricordare e suffragare.
Questi elenchi consentono anche di sfatare un luogo comune alimentato dalla fazione risorgimentalista, secondo il quale i soldati del Papa Re erano tutti stranieri (i famigerati “mercenari” del Papa, come amano descriverli i mercenari delle logge). L’affermazione è falsa, poiché vi erano militari delle provincepontificie (laziali, umbri, marchigiani, romagnoli), militari dell’ex Regno delle Due Sicilie e volontari provenienti dagli altri ex stati preunitari, in particolare dal Ducato di Modena. Gli italiani dell’epoca, quindi, malgrado il nuovo assetto politico della Penisola, non furono completamente assenti come si vuol far credere. Il problema è che, mentre all’estero si è conservata la memoria storica degli Zuavi e degli altri reparti (basti pensare alle associazioni di discendenti e ai musei presenti in Francia, in Olanda e in Canada), in Italia questo non è accaduto. Il libro potrebbe essere l’occasione per incoraggiare qualche lettore ad approfondire le figure trovate nel libro, legate alla propria città o addirittura alla propria famiglia (nei siti di genealogia francesi e olandesi non è raro trovare l’indicazione, espressa con fierezza, che un avo aveva indossato l’uniforme dell’esercito pontificio).
Prima di terminare vorrei ricordare la figura di Mary Katerine Stone Bidulphe, una signora inglese che raggiunse Roma e si prodigò nell’assistenza ai feriti pontifici in particolare nella campagna del 1867: anche per questo personaggio il libro fornisce delle interessanti notizie. In quei frangenti, invece, tra i garibaldini si aggirava la tenebrosa figura di Helena Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica e amica del massone Garibaldi. Del resto in quella guerra di religione che fu il “risorgimento”, tra le file dei nemici del Papato si sprecavano i personaggi legati all’occultismo, alle logge e alle sette protestanti: la stregona russo-statunitense si trovava quindi nel suo habitat naturale.
Gli Zuavi Pontifici e gli altri militari papalini presero parte a questa guerra di religione per la difesa della Religione stessa e della Cattedra di Pietro. Il 20 settembre i più convinti, ed erano la maggioranza, erano pronti a morire sugli spalti di Roma per testimoniare l’amore incondizionato per la sacra persona di Pio IX. Fu proprio il Papa a evitare questo bagno di sangue e far innalzare la bandiera bianca (l’Autore si sofferma anche sui tempi e i modi in cui l’ordine fu dato e fu eseguito). I lettori del 47 libro possono vivere in prima persona le ultime ore dello Stato della Chiesa attraverso i capitoli che concludono l’opera e che seguono passo dopo passo gli avvenimenti militari e diplomatici sino alla resa e all’arrivo nella Città di Pietro delle truppe nemiche. Dietro ai bersaglieri si accalcarono pastori protestanti e prostitute, vagabondi e teppaglia di vario genere, mentre iniziava nei vicoli della città la caccia allo zuavo, col linciaggio di alcuni di essi, come narrano le memorie di Don Alfonso.
Congratulazioni dunque a Francesco Maurizio Di Giovine (che ho conosciuto alla fine degli anni ’70 e che contribuì, con i suoi “Quaderni della Controrivoluzione”, a interessarmi alla militanza cattolica antirivoluzionaria) per aver ricordato degnamente la crociata degli Zuavi Pontifici. L’auspicio è che le pagine del libro infervorino i lettori e che il ricordo del passato possa determinare, nell’ora presente, scelte coerenti e coraggiose, degne dei soldati del Papa Re, che non furono mai in comunione coi nemici della Chiesa. La storia sia dunque, anche per la vita sacramentale, maestra di vita.
don Ugo Carandino
Francesco Maurizio Di Giovine, Gli zuavi pontifici e i loro nemici, Ed. Solfanelli, Chieti 2019, pagg. 368, € 25,00.
https://www.sodalitium.biz/sodalitium_pdf/72.pdf pagg. 43-47.