Quando lo stato risorgimentale aveva paura di Don Bosco
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 8/18 del 19 gennaio 2018, San Mario
Quando lo stato risorgimentale aveva paura di Don Bosco
Nelle Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco, raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne, si parla di dieci perquisizioni fatte all’Oratorio di Don Bosco, sospettato dal governo italiano di eversione. Con le perquisizioni si sperava di trovare qualche documento compromettente e così avere un pretesto per chiudere la Casa.
“L’Opera dell’Oratorio — scrive Don Lemoyne —, che nel corso di 19 anni era costata tante sollecitudini, tante fatiche e sudori a Don Bosco e ai suoi collaboratori, correva pericolo di essere distrutta come da un turbine. Rumoreggiava la minaccia di imprigionare colui che provvedeva il pane a tanti ricoverati e loro procacciava un avvenire onorato… E i timori crescevano per la chiusura in quei giorni di varie case di educazione, e per la prigionia di onesti personaggi dell’uno e dell’altro clero. Don Bosco, però, senza turbarsi attendeva l’intervento della Madonna”.
Ed ecco che, tre giorni prima che avvenisse la perquisizione, Don Bosco, ancora ignaro della cosa, fece un sogno che gli tornò di grande vantaggio. Lo narra in questi termini: “Mi sembrò di vedere una schiera di malandrini entrare nella mia camera, impadronirsi della mia persona, rovistare nelle carte, in ogni forziere e mettere sossopra ogni scritto. In quel momento uno di loro con aspetto assai benevolo mi disse: ‘Perché non avete allontanato il tale e tal altro scritto? Sareste contento che si trovassero quelle lettere dell’Arcivescovo che potrebbero essere causa di male a voi e al lui? E quelle lettere di Roma, quasi dimenticate, che sono poste qui — e indicava i luoghi — e quelle altre là? Se le aveste tolte, vi sareste liberato da ogni molestia’. Fattosi giorno, scherzando ho raccontato il sogno come lavoro di fantasia; tuttavia ho messo in ordine parecchie cose, e alcuni scritti che potevano essere interpretati a mio danno li ho allontanati. Questi scritti erano alcune lettere confidenziali affatto estranee alla politica o a cose di governo. Poteva però essere considerata come delitto ogni istruzione ricevuta dal Papa o dall’Arcivescovo sul modo di regolarsi dei sacerdoti riguardo a certi dubbi di coscienza. Quando pertanto cominciarono le perquisizioni, io avevo trasportato altrove tutto ciò che poteva dare il minimo appiglio di relazioni o allusioni politiche nelle cose nostre” .
Segnaliamo un racconto sulle perquisizioni subite da Don Bosco, scritto in modo scherzoso, pubblicato sull’ultimo numero del “Bollettino Salesiano” (gennaio 2018, anno CXLII, n. 1).
La cassaforte di Valdocco
Ero una robusta cassetta di legno. Mi avevano passato una mano di vernice e fissato al coperchio una serratura di poche pretese. Stavo in un angolo vicino al tavolo nella stanza di don Bosco. Non mi chiudeva neanche a chiave. Metteva nel mio interno tanti foglietti scritti a mano. Li posava e sospirava.
Un giorno di maggio, un gran trambusto mi svegliò alle due del pomeriggio. Cinque poliziotti bloccarono don Bosco davanti alla porta della sua stanza mentre altri diciotto si spargevano per l’Oratorio per bloccare tutte le uscite. Don Bosco stava dicendo a una povera vedova in lacrime che accoglieva suo figlio: «Figlio mio, starai qui con me, mangiando il pane di don Bosco».
In un baleno si sparse la voce che volevano arrestare don Bosco. Tutto l’oratorio piombò nella costernazione. I giovani non volevano più rimanere nelle scuole e nei laboratori; e con le lacrime agli occhi domandavano di uscire per difendere don Bosco o andare in prigione con lui.
Tre guardie seguirono don Bosco nella camera e lo perquisirono. Gli svuotarono le tasche, rovesciarono il portamonete, tutti i cassetti, esaminarono gli orli dei vestiti, passarono minuziosamente tutto il contenuto del cestino dei rifiuti. Fecero a pezzi perfino il fiocco della berretta. Poi, uno vide me. «Che cosa c’è qui dentro?»
«Cose confidenziali, cose segrete. Non voglio che si sappiano» rispose maliziosamente don Bosco.
Io morivo di paura. Scardinarono la mia serratura, anche se non ce n’era bisogno, e afferrarono avidamente i foglietti che custodivo. Uno cominciò a leggere ad alta voce il contenuto dei fogli: «Pane consegnato a don Bosco dal panettiere Magra: debito, lire 7800. Cuoio consegnato al laboratorio dei calzolai di don Bosco: debito, lire 2150». Aprirono un terzo foglio, un quarto e via, e furono presi tutti dalla vergogna, accorgendosi che quelle carte erano fatture di olio, di riso, di pasta, e simili. Tutte ancora da pagare!
«Non volevo farvi sapere i tanti debiti che ho, adesso che li sapete se me ne pagaste qualcuno, fareste un’opera di carità». In quell’istante entrò il postino con un grosso fascio di lettere del giorno. Fu subito afferrato dalle guardie che incominciarono ad aprire le lettere. Caso volle che la prima fosse niente meno che del Ministro degli Interni che raccomandava un ragazzo a don Bosco. Pieni di confusione, cominciarono a scusarsi. Don Bosco, sorridendo, offrì loro un brindisi con l’ottimo vino delle sue parti.
La storia – Il 26 maggio 1860, don Bosco subì una delle tante perquisizioni da parte della polizia, che lo teneva costantemente d’occhio (Memorie Biografiche VI, 554 e ss.)
http://biesseonline.sdb.org/editoriale.aspx?a=2018&m=1&doc=9632