Qatar 2022
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 53/15 del 3 giugno 2015, Santa Clotilde
Le prime pagine dei giornali hanno parlato degli scandali che hanno coinvolto i vertici della FIFA, su iniziativa del ministro della giustizia Usa. A suo tempo la Casa Bianca aveva già pesantemente criticato la FIFA per l’assegnazione dei mondiali di calcio del 2018 alla Russia di Putin. Si parla molto meno, invece, della scandalosa assegnazione dei mondiali di calcio del 2022 al Qatar, paese da più parti indicato come sostenitore del terrorismo nel Vicino Oriente; paese dove le condizioni degli operai sono vicine allo schiavismo; paese dove sono già morti oltre 400 operai impegnati nella costruzione degli stadi per il 2022; paese… alleato degli Usa.
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«Mi erano stati promessi 370 dollari ma una volta qui mi hanno detto che avrei guadagnato la metà e finora non ho ricevuto nulla. Non ho contratto né documenti, mi alzo ogni giorno alle 4, faccio colazione e doccia e poi lascio l’area industriale dove vivo in una stanza con 7 uomini per essere in cantiere a Doha alle 6». Ranjith ha 28 anni, è arrivato pochi mesi fa dallo Sri Lanka dopo aver chiesto un prestito di mille dollari a un tasso del 36% per sgobbare nei cantieri dei Mondiali 2022. La sua storia è una delle tante denunciate dall’ultimo rapporto di Amnesty International sull’abuso del milione e mezzo di lavoratori immigrati in Qatar. Ranjith, come gli altri, non può mollare perché il sistema feudale della «kafala» assegna al padrone ogni diritto, compreso quello sul suo passaporto.
Da un anno e mezzo le organizzazioni umanitarie denunciano il sangue versato negli stadi in costruzione nel piccolo e ambizioso Paese del Golfo. Nel solo 2014 le morti bianche sono state 441 (i turni sono di almeno 12 ore al giorno a temperature di oltre 50° all’ombra): una cifra in aumento che, secondo il «Guardian», continuando di questo passo ci porterebbe al fischio d’inizio con 62 vittime per ogni partita in calendario. Quando pochi giorni fa Doha ha negato agli operai nepalesi (un quarto del totale) il permesso di partecipare ai funerali dei parenti uccisi dal terremoto del 25 aprile, il governo di Kathmandou ha per la prima volta protestato ufficialmente.
Pressione internazionale
«La crescente pressione internazionale è positiva, da 10 anni mi occupo di migranti nel Golfo e le condizioni sono sempre state pessime quanto ignorate» spiega Nick McGheehan, ricercatore di Human Rights Watch. In realtà le promesse fatte un anno fa da Doha sotto il j’accuse dell’International Labour Organization sono rimaste pressoché lettera morta: «I lavoratori continuano a guadagnare 300 dollari quando guadagnano qualcosa, e la confisca dei passaporti resta la norma».
Interpellati per email il ministero degli affari sociali e quello degli esteri non hanno (ancora) risposto. Ma l’emirato sede dell’emittente al Jazeera che ha esteso la sua influenza in Europa comprando squadre di calcio, brand di lusso, banche, deve ora curarsi della sua immagine al punto da ingaggiare i guru della Portland Communications. Così, quando alcuni giorni fa la polizia ha arrestato una troupe della Bbc che voleva filmare i cantieri, una catena di telefonate politiche ha sbrogliato la matassa liberando i giornalisti e ammettendoli alla conferenza stampa del team Mondiale. Ma per un migrante come l’operaio Ganga Prasad, il fermo degli agenti significherebbe carcere senza appello.
La Stampa