2015 Comunicati  19 / 03 / 2015

Protector sanctae Ecclesiae, ora pro nobis

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 27/15 del 19 marzo 2015, San Giuseppe

Editoriale di “Opportune Importune”, lettera d’informazioni della Casa San Pio X, n. 29, San Giuseppe 2015

opp_29È risaputo che per far capire certe cose, gli aneddoti sono più efficaci dei lunghi discorsi. Eccone uno: qualche mese fa, mentre stavo uscendo dall’oratorio di Rimini, una coppia di persone anziane, particolarmente distinte, stava leggendo gli orari della bacheca. Vedendomi, mi chiesero, in modo abbastanza sospettoso, se si trattasse di una chiesa cattolica. Alla mia risposta affermativa, se­guì un breve dialogo e il discorso scivolò su Boni­fa­cio VIII e il famoso “Extra Ecclesiam nulla sa­lus”. Il riferimento al papa di Anagni suscitò la disapprovazione della coppia (che frequenta le chiese cittadine) con un giudizio severissimo sul sommo pontefice e manifestando un certo scetticismo sulla necessità di appartenere unicamente alla Chiesa Cat­­tolica per potersi salvare.
Qual’è la morale della favola? Dopo 50 anni di Concilio, per molti “cattolici praticanti” la patente di cattolicità non proviene più dalla fede professata, bensì dalla “legalità”. Essi frequentano le parrocchie dove vengono insegnati degli errori dottrinali di ogni sorta, dove si ipotizzano le novità più clamorose, dove si celebrano riti che hanno ben poco di cattolico, eppure il “praticante” (sempre meno “credente”?) è rassicurato poiché è tutto “legale”, il celebrante è “in regola”, le attività parrocchiali rientrano nella “normalità” (anche se, come succede in alcune città nella “settimana per l’unità dei cristiani”, la “normalità” significa ascoltare la predica di una “pastora” in un tempio valdese).
Quando queste persone s’imbattono in uno dei nostri oratori, ecco scattare una serie di domande, comprensibili e condivisibili se fossero motivate dalla difesa dell’ortodossia cattolica: i sacramenti sono “validi” (cioè “legali”)? Il prete è “in regola”? Si fa “peccato” ad assistere a queste Messe? La coppia citata all’inizio dell’articolo è un esempio eloquente: persone che pur mostrando di­sagio per i Papi del passato e pur avendo idee poco chiare sulla necessità di appartenere alla Chiesa per salvarsi, volevano verificare il nostro legame con l’apparato ecclesiale “ufficiale” e “legale”.
C’è da chiedersi se questi “praticanti” conoscano le condizioni per la validità di un sacramento (materia, forma e ministro). I meno giovani tra di essi hanno assistito alla trasformazione dei riti, con la conseguente perdita non solo della sacralità, della devozione, del buon gusto, ma soprattutto delle condizioni indispensabili per la validità del rito stesso. Eppure la fatidica domanda: “ma questi sacramenti sono validi?” se la rivolgono solamente nei confronti dei riti officiati secondo i libri liturgici “preconciliari”.
Questi “praticanti” sanno che in ogni città nelle chiese cattoliche sono permessi i riti degli scismatici (che negano l’istituzione divina del Papato e la validità dei sacramenti della Chiesa Cattolica): proprio a Rimini, un’ex chiesa parrocchiale è stata consegnata ai greci scismatici. Tuttavia, generalmente non muovono obiezioni, poiché è tutto “legale”, è il “vescovo” che l’ha permesso. Subentrano poi gli argomenti assimilati dall’ecumenismo e dalla cultura dominante: essere tolleranti, aperti, “plurali” nei confronti degli altri. Però si dimenticano della tolleranza e dell’apertura ecumenica se gli “altri” sono dei sacerdoti, ad esempio, del nostro Istituto. In questi casi non c’è apertura o pluralità poiché non siamo “in regola” con l’apparato ecclesiastico ufficiale.
L’ultimo dei tanti esempi che si potrebbero fare riguarda il Papato: quante volte abbiamo sentito parlare male dei papi del passato (a dir la verità, in ambito cattolico, non solo da chi frequenta le parrocchie, basti pensare a certi giudizi inammissibili rivolti a Leone XIII o a Pio XI…) e nello stesso tempo elogiare Wojtyla, Ratzinger e ora Bergoglio? Anche in questo caso dovremmo porre la semplice domanda: “chi è il Papa”? Ma per il “praticante” la domanda è superflua, il catechismo è stato sostituito dalla prassi eterodossa degli ultimi 50 anni, le figure di san Pio X o di Pio XII sono ormai lontane e sbiadite dal tempo. Il “papa” per queste persone è un personaggio che si distingue per l’apertura, per l’atteggiamento benevolo verso ogni organizzazione religiosa, per la capacità di accettare cose un tempo proibite. La conseguenza pratica è l’insofferenza per i richiami al magistero del passato (l’esempio di Bonifacio VIII) e lo scandalizzarsi per le critiche che siamo costretti a muovere nei confronti degli “insegnamenti” di Bergoglio e dei suoi predecessori.
Probabilmente non sono stati i testi di teologia, scritti dai fautori del progressismo e del modernismo, ad attenuare, e in molti casi a spegnere, lo spirito di fede in queste persone. Il male è stato compiuto, domenica dopo domenica, anno dopo anno, a partire dal fatidico 30 novembre 1969, dall’assistenza al nuovo rito della messa. La “messa nuova”, oltre a non garantire la validità del rito, è un pericolo per la fede e, infatti, molti l’hanno persa, sostituendola col vago sentimento religioso soggettivista, tipico del modernismo.
Solo il Padre Eterno può giudicare le intenzioni e le responsabilità di questi “praticanti”, da parte nostra ci limitiamo alla semplice, forse banale, constatazione dei fatti. Certamente, agli occhi di Dio, sono maggiori le responsabilità di coloro che ingannano le anime tentando di presentare le nuove dottrine in perfetta continuità con la fede cattolica. Del resto anche per essi, seppur sotto un altro punto di vista, il discorso della “legalità” (e del conseguente inserimento nella “normalità” ecclesiale) è importantissimo: senza di essa perderebbero il potere e i benefici che si sono ritagliati all’interno della Chiesa. Non hanno (per il momento) perso un effimero potere, ma hanno perso la fede e la fanno perdere a coloro che li seguono, non solo tra i “praticanti” più o meno inconsapevoli di quello che sta succedendo, ma anche tra coloro che hanno una informazione sufficiente sulla crisi che colpisce la Chiesa.
Perseveriamo quindi nella preghiera a san Giuseppe, Patrono della Chiesa Uni­ver­sale, onorato in particolare nel mese di marzo, per crescere nell’amore della Fede e nel fermo rifiuto di ogni errore. Invochiamolo per evitare quello che può sembrare più rassicurante e più comodo, ma che non assicura la validità dei riti e l’ortodossia dell’insegnamento. Protector sanctae Ecclesiae, ora pro nobis!
don Ugo Carandino

Casa San Pio X
Sodalitium