Il panettone di Don Bosco
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 100/18 del 21 dicembre 2018, San Tommaso
Il panettone di Don Bosco
Nacqui dalle mani esperte di un abile panettiere che si vantava di sfornare i migliori panettoni di tutta la città di Torino. Ricordo ancora molto bene quella fredda notte d’inverno: era la vigilia del Santo Natale. Si aprì la porta della panetteria ed entrò un giovane prete di bassa statura. I suoi capelli ricci brillavano per qualche fiocco di neve.
Dopo qualche minuto il giovane sacerdote lasciava la panetteria stringendo un sacchetto di carta marrone con all’interno proprio due di noi panettoni.
Un’ora dopo eravamo su un tavolo rozzo in una piccola stanzetta dell’Ospedaletto di Santa Filomena, luogo per ragazze abbandonate, dove quel giovane sacerdote lavorava come cappellano. Mi guardai intorno e rabbrividii: mi trovavo in un magazzino pieno zeppo di roba. C’erano corde, cerchi di ferro, trampoli, bocce. Il mio nobile e morbido cuore di panettone era desolato. Non era certo quello il Natale che avevo sognato.
Giunta la sera, quella stanzetta a mano a mano iniziò a riempirsi di ragazzini. Arrivavano muratori, spazzacamini, tutti orfani o lontani da casa, che venivano lì per passare insieme la vigilia del Santo Natale.
Ma c’era preoccupazione nell’aria: “Dove ci troveremo domenica prossima?”. L’inverno stringeva tutti nella sua morsa gelida. Sognavano una casa. Don Bosco non possedeva nulla; poteva offrire loro solo la propria persona e tutto il suo amore. Ma non bastava.
Ma, all’improvviso, don Bosco balzò in piedi. Soffocando le preoccupazioni, iniziò a raccontare a quei ragazzi le meraviglie di una casa che li avrebbe ben presto accolti. La descriveva nei dettagli, sebbene per il momento esistesse solo nella sua mente e nei suoi sogni. I giovani si rinfrancarono e in loro tornò a germogliare il seme della speranza.
A un cenno di don Bosco, tutti quei ragazzi si misero a correre verso quell’oscuro angolo della stanza in cui mi trovavo avvolto in quella grande borsa marrone. Non ci potevo credere: stavo diventando molto più di un semplice dolce di Natale. Ero diventato il segno vero e proprio di un futuro di felicità promesso a quei giovani da don Bosco.
Don Bosco iniziò a dividermi in tante belle fette, una per ogni ragazzo. Mi sentivo accarezzato da quelle mani ruvide e piene di calli per il duro lavoro. E gli occhi? Quelli brillavano di vera gioia. Fu in quel momento che capii che stavo finalmente portando a termine la missione per cui ero venuto al mondo: portare sorrisi e felicità proprio il giorno in cui il Bambino Gesù era venuto al mondo.
La storia
22 dicembre 1845. Il comune di Torino proibisce a don Bosco di continuare a riunirsi, con i suoi ragazzi, presso i Mulini della Dora. Don Bosco, stracarico di preoccupazioni, festeggia quindi il Natale insieme ai suoi giovani. In questo momento di grande difficoltà, affidandosi alla Divina Provvidenza, descrive ai suoi giovani amici come sarà il futuro Oratorio: una casa che accoglie tutti i giovani (Memorie Biografiche, volume II, 260-261)
http://biesseonline.sdb.org/editoriale.aspx?a=2016&m=12&doc=9414