Nell’uovo di Pasqua l’immancabile bufala dell’archeologia israeliana
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 37/12 del 5 aprile 2012, San Vincenzo Ferreri
Nell’uovo di Pasqua l’immancabile bufala dell’archeologia israeliana
Il ritorno di Simcha
di Giorgio Bernardelli
Simcha Jacobovici colpisce ancora. Ricordate quando nel 2007 questo documentarista israelo-canadese sostenne di aver ritrovato nel quartiere di Talpiot, a Gerusalemme, la tomba di un certo «Gesù figlio di Giuseppe» che non sarebbe affatto risorto ma giacerebbe ancora lì sepolto? Per alcuni giorni fu sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ben presto, però, si capì che quella scoperta – cavalcata da Discovery Channel – non aveva nessuna attendibilità da un punto di vista archeologico. E così finì nel dimenticatoio. Salvo però fruttare a Jacobovici un Emmy Award, il più prestigioso tra i premi televisivi, per gli ascolti record ottenuti dal suo documentario.
Troppo bello per non riprovarci, vista anche la mole di soldi che negli Stati Uniti gira intorno all’archeologia spettacolo (archeologia biblica compresa). Così il 28 febbraio – puntuale per il battage pubblicitario in vista della Pasqua – è arrivato il nuovo libro che Simcha Jacobovici ha firmato insieme a James Tabor. Che sarà anche il direttore del dipartimento di studi religiosi dell’Università del Nord Carolina, ma ha al suo attivo una lunga collaborazione con Shimon Gibson, l’altra star incontrastata della «scoperta sensazionale destinata a rivoluzionare il nostro modo di leggere la Bibbia».
Di che cosa parla, allora, The Jesus Discovery, il libro di Jacobovici e Tabor pubblicato da Simon & Schuster e presto ovviamente destinato ad andare in onda in un’altra serata speciale su Discovery Channel? Di un altro sarcofago, ritrovato sempre a Talpiot, sul quale vi sarebbe incisa la più antica raffigurazione della risurrezione di Gesù, risalente a prima dell’anno 70 d.C., l’anno della distruzione del Tempio a Gerusalemme. Come si legge e si vede dalle foto dell’articolo di Haaretz che rilanciamo qui sotto, in una tomba che ha potuto indagare solo con una telecamera guidata da un piccolo robot (per via del divieto di scavo in un’antica area cimiteriale impostogli dagli ebrei ultraortodossi) Jacobovici ha individuato un graffito che lui interpreta come una raffigurazione di un uomo che esce dalla bocca di un grande pesce. Il riferimento al racconto biblico del profeta Giona appare chiaro. Ma – sostengono Jacobovici e Tabor – i primi cristiani avevano subito visto in quella storia una profezia della risurrezione di Gesù. E a riprova citano il ricorrere dell’immagine di Giona e del pesce nei dipinti delle catacombe a Roma (che però risalgono al terzo secolo, cioè molti anni dopo). Inoltre sostengono che sul sarcofago di Talpiot vi sia un graffito in cui al tetragramma sacro (le lettere ebraiche che esprimono il nome di Dio) è associata la parola «risorto». Solo che questa tomba si trova ad appena 60 metri da quella di cui Jacobovici aveva parlato nel 2007. Il che viene spacciato come una conferma dell’attendibilità della «tomba di Gesù». Il nuovo sepolcro conterrebbe dunque le spoglie di uno dei discepoli che volle essere sepolto vicino a Gesù prima che la risurrezione – da racconto mitico che era in origine – si trasformasse nella fede in un evento storico.
Non ci vuole molto a immaginare che questa tesi farà ancora discutere. La novità, però, è che stavolta il mondo dell’archeologia biblica ha preso le misure a Jacobovici. E così le obiezioni sono arrivate praticamente in tempo reale, come è possibile constatare andando sul blog Bible Places, uno dei punti di riferimento per gli appassionati di archeologia biblica. Intanto non tutti sono d’accordo sul fatto che la figura individuata sia davvero un uomo che esce dalla bocca di un pesce, il che smonterebbe il discorso fin dal principio. Poi comunque – come nel caso del 2007 – la tomba in questione non è affatto una nuova scoperta: la si conosce dal 1981. E come allora la scritta «Gesù figlio di Giuseppe» non aveva sollevato grandi attenzioni perché i due nomi erano piuttosto comuni duemila anni fa, così l’incisione sul secondo sarcofago (allora indagabile senza gingilli tecnologici visto che gli ultraortodossi a Talpiot non c’erano ancora) era apparsa agli altri archeologi priva di interesse. Resta poi l’obiezione principale: Jacobovici fa finta di non sapere che sul Santo Sepolcro esistono studi ben più accurati dei suoi che ne avvalorano l’autenticità. Se vuole davvero provare che a Talpiot c’è la vera tomba di Gesù deve anche spiegare perché tutti gli studi che identificano altrove il Sepolcro sono inattendibili.
Insomma: ci sono già tutte le ragioni per credere che si tratti dell’ennesima bufala. Ma non mancherà chi abboccherà, magari anche sui giornali italiani. Per questo, più che infervorarsi, vale la pena di sorridere un po’ sull’archeologia spettacolo guardando a un’altra notizia apparsa in questi giorni su Yediot Ahronot. Un gruppo di turisti israeliani in visita nel deserto del Marocco – nel cuore di un Paese musulmano – si è imbattuto infatti addirittura nel Terzo Tempio. Per di più non in rovina, ma perfettamente intatto. Dopo il primo stupore iniziale per quel profilo decisamente inconfondibile, l’equivoco si è presto chiarito. Senza saperlo si trovavano in un set cinematografico all’interno del quale il Tempio era stato ricostruito fedelmente. Così, tornati a casa a Gerusalemme, hanno potuto sfoggiare con gli amici delle foto decisamente particolari. Riconoscibili a prima vista e realizzate senza aver bisogno di costosissimi robot.
Fonte: Terra Santa