“L’inutile strage”: l’impegno delle religiose salesiane
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 40/17 del 21 aprile 2017, Sant’Anselmo
“L’inutile strage”: l’impegno delle religiose salesiane
Le Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia durante la Grande Guerra
Le Figlie di Maria Ausiliatrice furono eroicamente infermiere, mamme degli orfani e dei profughi, prodigio di donazione generosa e disinteressata.
La prima guerra mondiale in Italia non sconvolse solo la vita dei Salesiani, come abbiamo già visto, ma anche quella delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che in numero di 2300 erano raccolte in 102 comunità, la metà delle quali in Lombardia (40) e Veneto (9), vale a dire in zone di guerra o comunque non lontane dal fronte austriaco. Anche le FMA, come moltissime altre religiose, diedero un loro specifico contributo al Paese in guerra.
Infermiere negli ospedali militari
Il primo ambito di lavoro “patriottico” fu quello del servizio ospedaliero, richiesto dal Governo ed accolto dalle superiore pur con qualche iniziale incertezza per la consapevolezza di non avere suore con una preparazione specifica, ossia, infermieristica. Potevano però contare sul personale disponibile a seguito della chiusura, per motivi bellici, dei convitti per operaie e della flessione del numero delle allieve negli educandati. Inoltre potevano immettere le novizie del secondo anno al posto di quelle che si fossero prestate negli ospedali. Molte religiose, interpellate, si offrirono di andare “al fronte”.
Così nella sola Torino 50 FMA vennero impegnate nel principale ospedale militare “Regina Margherita” dal 1915. Nello stesso anno entrarono in ospedali ad Alessandria, Asti, Treviglio, Tortona, Casale Monferrato ed Acqui Terme. Nel 1916 si aggiunse un secondo ospedale ad Acqui e poi quello di Montebelluna (TV) e Catania; nel 1917 quello di Caravaggio (BG), Retorbido (PV) nel 1918 ancora a Casale Monferrato, Castelnuovo Scrivia (AL), a S. Giorgio Lomellina (PV). Complessivamente centinaia di suore infermiere operarono in 30 ospedali.
Nel 1917, soprattutto nelle case di Lombardia e Piemonte, risultavano 29 Reparti militari di riserva e nei primi mesi del 1918 altre FMA accettarono di assistere i prigionieri malati di etisia, di cui le Dame crocerossine temevano il contagio. Il rischio di fatto costò la vita a tre FMA.
Basti al riguardo la lettera che il soldato Ulrico Chierici scrisse a suor Maria Valfré il 12 dicembre 1916: “Come si scrive a una suora? Madre, sorella, reverenda? Io sarei tentato di scrivere carissima, perché infatti è cara al mio ricordo, ma per non essere sconveniente faccio finta di non averlo detto e non scrivo niente nell’intestazione. Ed ora? Saluti, ringraziamenti. Di più, un sentimento intimo di commozione e di tenerezza. E con Lei saluto e ringrazio le sorelle tutte che con tanto amore e abnegazione compiono l’opera santa…
Suor Luigina (e le sue polpette) saranno sempre presenti al mio cuore. La mamma, mia moglie, mia sorella, parlano ora di suor Maria, ringraziano delle medaglie, dei saluti, … ricambiano con affetto e sono un pochino gelose perché parlo sempre di Lei. Ma come fare diversamente? Chi può dimenticare la pietà, il carattere spiritoso e allegro, le sgridatine amorevoli, i buoni consigli? Resti così e farà sempre dei felici e riconoscenti”.
Ovviamente da parte delle FMA non mancò mai lo sforzo di svolgere il proprio apostolato educativo con l’avvicinare con discrezione i soldati ai sacramenti, opponendosi al turpiloquio e alla stampa oscena. La qualità del loro servizio, distintosi ancora nel 1919 in occasione dell’epidemia di febbre “spagnola”, fu in effetti riconosciuta anche dai responsabili.
Educatrici in case e opere per figli di richiamati e orfani
Durante il conflitto le FMA prestarono un altro tipo di servizio alla patria, non meno importante: supplirono infatti le figure parentali, sempre più assenti, specie tra le fasce popolari. Sentirono questo compito come consono alla loro missione educativa, specie per l’alto numero di bambine e fanciulle sbandate, di ragazze che dovevano rapidamente qualificarsi per assumere impieghi, di orfani affidati alla beneficenza pubblica e privata, che richiedevano risposte urgenti e soprattutto dedizione prolungata.
Così vennero loro affidati diversi orfanotrofi. Anche per i figli e le figlie dei richiamati le FMA spalancarono le porte dei giardini d’infanzia, dei laboratori, dei doposcuola, delle scuole serali, dei convitti. Nei collegi accolsero pure un certo numero. In tal modo accanto ad opere ad hoc sorte per iniziativa autonoma delle FMA, o sostenute economicamente da comitati o enti pubblici, si potenziò e si cambiò in senso assistenziale l’attività nelle case già attive, in cui si prolungò l’orario o si articolarono varie proposte a vantaggio delle minori più esposte, spesso in collaborazione con ex-allieve.
La geografia di tali opere di assistenza fu ampia e raggiunse praticamente tutte le regioni d’Italia, con diversa intensità. Nelle loro scuole le FMA prolungarono spontaneamente l’assistenza, anche estiva, per compensare la mancata sorveglianza familiare; videro sconvolti contatti, orari, ritmi di lavoro, di preghiera e vita comunitaria e dovettero adattarsi ad una maggior povertà di vita religiosa, a restrizioni, mentre sollecitavano la solidarietà economica delle case non in guerra e delle stesse allieve.
Accoglienza di militari
Numerosi soldati furono pure accolti in vari istituti delle FMA, parzialmente o totalmente requisiti, tra cui la stessa casa madre di Nizza Monferrato. Per ovviare agli inconvenienti che sarebbero derivati dalla vicinanza di militari con allieve, le FMA moltiplicarono nelle loro case le opere a favore dei figli dei richiamati o degli orfani, al fine, non ultimo, di dimostrare l’utilità dell’opera in rapporto alle emergenze belliche ed evitare così la requisizione totale o parziale. Esattamente come fecero i Salesiani.
http://biesseonline.sdb.org/editoriale.aspx?a=2017&m=4&doc=9508