Le vittorie che interessano ai cattolici
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 85/18 del 5 novembre 2018, San Zaccaria
Le vittorie che interessano ai cattolici
Dopo il comunicato del 3/11/2018 https://www.centrostudifederici.org/1867-lanno-vittoria-pontificia/ celebriamo ancora la vittoria pontificia di Mentana con altri brani tratti dall’opera di Paolo Della Torre: “L’anno di Mentana. Contributo ad una storia dello Stato Pontificio nel 1867”. Sono queste le vittorie che interessano ai cattolici che si riconoscono nel programma del Sodalitium Pianum di Mons. Umberto Benigni, che condannava il nazionalismo pagano in nome del patriottismo cristiano.
Feste e uffici funebri
L’armata rivoluzionaria non esisteva più. Sbalorditive conseguenze ottenute senza troppo forti sacrifici. Non famigliari da lungo tempo al successo, i fedeli del Pontefice riprendevano coraggio; i nemici aggiornavano cervellotiche speranze. La dolorosa constatazione dei vandalismi perpetrati dalle bande non poteva non contristare ogni anima serena e buona. Dai punti invasi giunsero calorosi, leali indirizzi di devozione. Gli abitanti rialzavano triregni e chiavi, preparavano rustiche feste, grate funzioni, accendevano sui colli gioiosi falò, correvano incontro alle milizie, costretti a rintanarsi od a fuggire quei pochi novatori. Al coro entusiastico risonante in tutte le chiese del mondo, ai raddoppiati appoggi, al largo flusso continuo di reclute, rispondevano nuovi e chiari segni di alto attaccamento. Paliano, priva per lunghi giorni di soldati, guardò da sola mura ed ergastolo senza minimo segno di moto; e non fu certo unico esempio. Esultanza sincera, liberamente espressa a Viterbo, a Valentano, a Tivoli, a Palestrina, a Valmontone, a Casamari, a Velletri, a Veroli, a Frosinone, a Monterotondo, a Ferentino, a Mentana, ed in cento altri luoghi. Fu veramente, come osservava l’Armand, «… le dernier rayon de soleil du pouvoir pontifical».
Zappi mosse alle 8 antimeridiane del 7 col reggimento di linea, ed in breve tra grandi plausi rioccupò le principali città e borgate del Viterbese. Bagnorea ebbe un intero battaglione. Montefiascone presidio francese. Entrò in Viterbo a fianco del generale Pothier. S’alternavano nella marziale sfilata corpi militari romani ed imperiali (8 novembre). Ricevimento caloroso. Del resto anche qui «… il vero popolo, … da sé aveva ristorato al debito onore gli stemmi del Santo Padre, e mantenuto l’ordine pubblico, con quattro compagnie di cittadini in armi, sotto gli ordini del patrio municipio e del gonfaloniere, conte Vincenzo Fani Ciotti. Questi ripresero il comando appena cessata l’oppressione delle prevalenti orde garibaldine, e lo rimisero a suo tempo nelle mani dei comandanti pontifici». A sud cacciatori, legionari, gendarmi, dragoni, sotto Giorgi, lasciate forze in Albano, Genzano, Velletri, procedevano rapidi verso quel capoluogo, e v’entravano felice mente nelle ore pomeridiane del giorno, «ricevuti a qualche distanza … dalla Magistratura e dalla popolazione … con bandiere … e con incredibili dimostrazioni di gioia, che la sera avevano compimento con una splendida luminaria». Poco dopo telegrafavasi: «In tutta la provincia regna la più perfetta tranquillità, essendo stato ripristinato ovunque il Governo pontificio».
Roma non rimase indietro. Ricorderemo il solenne ricevimento offerto da Marcantonio Borghese agli ufficiali. Due elegantissime feste presso il circolo militare in piazza Colonna, ove rifulse l’occasionale fratellanza d’armi francoromana. Gli onori tributati all’eroico presidio di Monterotondo nel corso di un gran banchetto tenuto a palazzo Barberini. La smagliante serata che le dame dell’aristocrazia vollero organizzare per i combattenti. Kanzler ne ebbe ore di viva popolarità, tanto più giusta, quando si pensi alle notevoli forze, alle cautelose istruzioni, che, proprio sulla scorta dei fatti di quell’anno, il Governo italiano mobilitò ed impartì iniziando la campagna del ’70. I cattolici nei congressi di Malines e di Innsbruck, nelle grandi adunate di Dublino, di Londra, di Colonia, di Magonza, di Coblenza, ed altrove, riaffermarono in plebiscitari ordini del giorno il loro punto di vista nei riguardi del potere temporale. Sullo stesso problema parlarono a lungo tutti i vescovi. L’obolo di San Pietro crebbe di molto per merito specialmente francese. Derelitti e poveri tennero a compiere magnifici gesti d’omaggio, privandosi spesso dell’unico avere, e magari sacrificandosi in voti elevatissimi. Pio IX accolse gli ufficiali del corpo di De Failly, e da Padre li benedisse con le espressioni più sentite di affetto e di gratitudine per la generosa cooperazione da essi prestata al suo governo in un momento così periglioso e supremo.
Ma l’angelico Pontefice, pur in mezzo alla riconquistata pace, aveva l’animo pieno di nera tristezza, e, costretto a far uso delle armi per difendere evidenti diritti, non riusciva quasi a rassegnarsi per tante sofferenze. Rimpianti dolcemente ammirativi circondavano le giovani e valorose vittime cadute «pro Petri Sede». «Avec émotion, on se redisait les noms humbles et glorieux qui bientot se répéteraint dans tout le monde catholique»: Urbano de Quélen, Arturo Guillemin, Bernardo De Quatrebarbes, i fratelli Dufournel; poi il belga Valeriano D’Erp, giunto solo per morire; l’inglese Watts Russel, tolto alla luce nei suoi 17 anni, e molti, molti altri, tutti spenti in luminoso anelito di sacrificio e di premio. Così Alfredo Collingridge, Giuseppe Mercier, Domenico Massei, Enrico Maria De Foucault des Bigottières, Antonio Huggen, Giovanni Leton, Arturo De Veaux, Edmondo Rialan; il tromba Perilli, figlio di una misera lavandaia di Trastevere; e Carlo Bernardini, tipico gentiluomo, che Maria Teresa di Savoia aveva retto al fonte. E Carlo D’Alcantara, e Giovanni Moeller, Leone Bracke, e i francesi Henquenet, Pascal, Chevalier; i tedeschi Sauer ed Haburg; l’olandese Von Bambost. Infine il peruviano Giuseppe Sevilla, che cinque volte ferito pur aveva continuato a lottare segnandosi ed invocando la Vergine.
A questi ricordi Pio IX si commoveva; provava l’atroce dolore delle madri, che solo visioni radiose di martirio potevano forse placare. E pianse lungamente, e lasciò a mezzo l’estrema preghiera, tra indicibile sgomento della folla, celebrando maestosi funerali alla Sistina. Volle si pregasse ovunque per tutti i caduti d’ambo le parti; e devoti uffici si tennero anche in San Giovanni in Laterano e nelle terre più lontane. Il 14 novembre istituivasi la medaglia commemorativa della vittoria: argentea «in forma di ottagona croce nelle cui estremità (era) scritto PIUS PP. IX. AN. MDCCCLXVII – nel mezzo poi (uno scudo) avente nel diritto le insegne della Pontificia dignità con l’iscrizione FIDEI ET VIRTUTI – nel rovescio poi una crocetta con la iscrizione: HINC VICTORIA… segno (da portarsi) alla sinistra del petto, appeso ad un nastro di seta in cinque linee distinte di ceruleo e bianco colore». Doveva accordarsi alle milizie imperiali e romane, ai volontari indigeni ed esteri, agli infermieri, a quanti, insomma, comunque avevano offerto generosamente e caritatevolmente l’opera loro. Il breve a firma del Cardinal Paracciani Garelli riassume passionatamente le dure vicende dell’autunno, e conclude: «Da ultimo acciocché i fortissimi campioni, che, in difendendo i Nostri diritti e in respingendo da Roma il furore degli empì, perdettero il sangue e la vita loro, s’abbiano da Noi solenne testimonianza di virtù e di lode, con queste Lettere pubblicamente facciamo sapere e dichiariamo ch’essi furono benemeriti di Noi, dell’Apostolica Sede e della causa Cattolica; del qual encomio nulla può dirsi certamente di più onorifico, di più glorioso, di più illustre per la immortalità del nome».
Da: Paolo Della Torre, L’anno di Mentana. Contributo ad una storia dello Stato Pontificio nel 1867, Aldo Martello Editore, Milano 1968, pagg. 328-331.