Le vittime del comunismo: il martirio di Stefano Sándor
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 86/13 del 21 ottobre 2013, San’Ilarione di Gaza
Martire in nome dei giovani. La passione di Stefano Sándor Salesiano
“Passammo l’infanzia insieme, crescendo in una famiglia felice e religiosa. Avevo dei genitori molto semplici. Mio padre che ci portava a Messa ogni domenica, ci diede un esempio per tutta la vita. La fede, l’amor patrio e l’amore per la famiglia furono i valori più importanti nella nostra famiglia». Così János, fratello di Stefano Sándor, ricorda quei tempi. Stefano nacque a Szolnok, in Ungheria, il 26 ottobre 1914 da Stefano e Maria Fekete, primo di tre fratelli. Il padre era impiegato presso le ferrovie dello stato, la madre invece era casalinga. Entrambi trasmisero ai propri figli una profonda religiosità. Stefano studiò nella sua città, ottenendo il diploma di tecnico metallurgico. Fin da ragazzo veniva stimato dai compagni, era allegro, serio e gentile. Aiutava i fratellini a studiare e a pregare, dandone per primo l’esempio. Fece con fervore la Cresima impegnandosi a imitare il suo santo protettore e san Pietro. Serviva ogni giorno la santa Messa dai Francescani, ricevendo l’Eucaristia. Testimonia ancora il fratello János: «La sua fede fu profonda e questo si manifestò già nella nostra infanzia. In casa pregavamo uniti, andavamo in Chiesa e ci accostavamo all’Eucaristia insieme. Conserviamo ancora il rosario che nostra madre sgranava in nostra compagnia». I suoi fratelli gli volevano molto bene. Finché erano piccoli Pista, come familiarmente veniva chiamato, li istruiva e li aiutava a fare i compiti. Non li trattava mai con durezza. Li guidava nella recita delle preghiere. Era per loro un vero angelo custode. Questo amore fraterno durerà tutta la vita.
Leggendo il Bollettino Salesiano conobbe don Bosco. Si sentì subito attratto dal carisma salesiano. Si confrontò con il suo direttore spirituale, esprimendogli il desiderio di entrare nella Congregazione salesiana. Ne parlò anche ai suoi genitori, che gli negarono il consenso. Tuttavia Stefano riuscì a convincerli e nel 1936 fu accettato al Clarisseum, casa salesiana in Budapest, dove in due anni fece l’aspirantato e frequentò nella tipografia “Don Bosco” i corsi di tecnico-stampatore. Questa casa salesiana ospitava, in quel tempo, la sede provinciale (Ispettorato), la Tipografia Don Bosco con l’editrice omonima, un convitto per studenti e apprendisti artigiani (tipografi e legatori), una chiesa pubblica. Qui i salesiani svolsero la loro attività dal 1925 al 1950, anno della soppressione degli Ordini religiosi. Qui si venne sviluppando la vita religiosa di István Sándor e maturò il suo spirito pronto al martirio.
Interessante una lettera, scritta ai genitori nel 1938 durante il tempo del noviziato, nella quale Stefano esprime un profondo senso di gratitudine verso il papà per il consenso dato e per il sacrificio fatto nel permettergli di poter iniziare il suo cammino vocazionale tra i salesiani: «Purtroppo devo anche comunicare una mia mancanza. Forse sembrava che avessi dimenticato il compleanno del mio caro babbo. Non l’ho affatto dimenticato nelle mie preghiere e nella santa Comunione; ritengo che ciò valga più di un dono costoso. Il mio spirito ha fatto il volo alla nostra casa accogliente ed ho dato sfogo all’affetto che mi colmava il cuore, ringraziandolo per tutto il bene che mi ha prodigato; infatti, ripensando alla mia vita passata a casa, devo dire che mio padre mi ha amato come se fossi il suo unico figlio e non avesse nessuno all’infuori di me. E, quando una mattina di Avvento, firmò il suo consenso paterno, era evidente nel suo cuore di padre il dolore della separazione, ma era pronto a quel sacrificio per il bene che mi voleva e per vedere felice il figlio. Ora il babbo forse avrà già dimenticato quel giorno, ma a me viene spesso in mente, e so che leggendo ora questa lettera sentirà penetrargli nel cuore amorevole un segreto dolore; ma deve consolarsi, perché più è doloroso questo sacrificio, più è caro a Dio. Direi quasi che egli avesse obbligato Dio per avergli dato qualcosa di così grande e con un tale spirito di abnegazione, quale pochi genitori sarebbero capaci di fare: di offrire cioè al Signore Gesù quel che hanno di più caro. Il sacrificio di mio padre è simile a quello di Abramo, al quale Dio ha domandato la prova di sacrificare la vita del figlio per la sua gloria. Ma quello di mio padre è più meritevole, in quanto ad Abramo Dio non concesse di compierlo: gli mandò infatti un angelo per dirgli di sacrificare invece il montone trovato in un cespuglio. E se dovesse ancora provare qualche dolore dovrà offrirlo per me, perché più sarà intenso e più mi migliorerà come religioso. Copro di tanti baci le mani del babbo sciupate dal lavoro e auguro che Dio lo faccia vivere seguendo la sua volontà, onde possiamo pervenire insieme alla beatitudine del cielo e adorarlo nell’eternità così l’attuale separazione non darà più dolore, ma porterà una felicità ineffabile per l’eternità che io possa diventare un religioso gradito a Dio e devoto al suo Sacro Cuore».
Sotto il vessillo di don Bosco
Nel 1938 iniziò il noviziato, ma dovette interromperlo per la chiamata alle armi. Nel 1939 giunse il congedo definitivo e, dopo l’anno di noviziato, emise la sua prima professione l’8 settembre 1940, come salesiano coadiutore. Fin da questo periodo rivelò una spiccata personalità e una grandezza spirituale, radicate nell’amore all’Eucaristia e a Maria Ausiliatrice, diventando per i suoi compagni non solo amico, ma modello di vita soprattutto nell’umiltà e nell’obbedienza. Destinato al Clarisseum, si impegnò attivamente nella formazione dei giovani apprendisti. Ebbe anche l’incarico dell’assistenza all’oratorio, che condusse con entusiasmo e competenza. Fu promotore della Gioventù Operaia Cattolica. Il suo gruppo fu riconosciuto come il migliore del movimento. Sull’esempio di don Bosco si mostrò un educatore modello.
Nel 1942 fu chiamato al fronte e guadagnò una medaglia d’argento al valore militare. La trincea era per lui un oratorio che animava salesianamente, rincuorando i compagni di leva. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale si impegnò nella ricostruzione materiale e morale della società, dedicandosi in particolare ai giovani più poveri.
Il 24 luglio 1946 emise la professione perpetua come coadiutore salesiano, mentre nel 1948 conseguì il titolo di maestro-stampatore, svolgendo il compito di dirigente della tipografia salesiana, ed esercitando contemporaneamente il compito di educatore dei giovani e degli apprendisti. Alla fine degli studi gli allievi di Stefano venivano assunti nelle migliori tipografie della capitale e della nazione. Stefano Sándor era incaricato della direzione, dell’addestramento pratico e specifico degli apprendisti. La tipografia ‘Don Bosco’ godeva in tutto il paese di grande prestigio. Nel servizio della gioventù egli era pure responsabile dell’educazione collegiale dei giovani. Era indispensabile disciplinare i giovani, in fase di sviluppo vigoroso, con fermezza affettuosa. Stefano si distinse per una forte personalità: possedeva un’eccellente istruzione specifica, accompagnata dalla disciplina, dalla competenza e dallo spirito comunitario. Si assunse anche il compito di sagrestano della piccola chiesa del Clarisseum e si prese cura nella direzione del ‘Piccolo Clero’.
György Érseki, che lo conobbe, ci offre una testimonianza dalla quale emergono la ricchezza spirituale e la capacità educativa di Stefano Sándor: «Rimase sempre giovanile, dimostrando grande comprensione verso i giovani. Afferrando i loro problemi, trasmetteva dei messaggi positivi, sapendoli consigliare sia sul piano personale, sia su quello religioso. La sua personalità rivelava una grande tenacia e resistenza nel lavoro, anche nelle situazioni più difficili, rimanendo fedele ai suoi ideali e a se stesso… Fin dal primo momento della nostra conoscenza, Stefano Sándor rappresentò lo spirito che caratterizzava i membri della Società Salesiana: senso del dovere, purezza, religiosità, praticità e fedeltà integerrima ai principi cristiani».
All’esterno della Congregazione salesiana era noto come membro e organizzatore dell’Associazione Nazionale dei Giovani Cattolici, di cui fu l’anima infuocata ed instancabile. Il suo gruppo era uno dei migliori, il gruppo-modello. Il coadiutore Sándor aveva portato l’atmosfera e l’attività dei circoli giovanili salesiani: lo spirito sacramentale ed educativo di don Bosco, catechismi ragionati, conferenze apologetiche e sociali, ore di adorazione, novene, escursioni-pellegrinaggi, occupazioni amene e sportive, santa allegria. I giovani aderivano con entusiasmo e non se ne allontanarono più, neanche quando il loro grande amico fu richiamato sotto le armi.
Praticò con tutti e ovunque il Sistema Preventivo di san Giovanni Bosco, offrendo ai giovani il Vangelo della gioia attraverso la pedagogia della bontà. La sua fede aveva carattere pratico, mirava all’evangelizzazione e alla catechesi, dimensione fondamentale della missione salesiana, animandole con vero spirito oratoriano. Il costante lavoro svolto in mezzo ai giovani dell’Oratorio, del Piccolo Clero e quello di “maestro di tipografia”, dimostrò che la sua autorevolezza di educatore si nutriva di una profonda fede.
L’Ungheria dopo la Seconda Guerra Mondiale
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Ungheria fu sottoposta, come gli altri Paesi dell’Europa Orientale, all’influsso politico e militare dell’Unione Sovietica, la quale iniziò ad introdurre il modello politico-sociale comunista. La peculiarità dell’attività del nuovo regime era la politica confessionale che mirava all’ateizzazione della società ungherese. Il primo nemico del sistema comunista, che ostacolava l’introduzione del nuovo ordine, era la Chiesa Cattolica.
La nuova polizia di sicurezza (ÁVH) nel febbraio 1947 iniziò ad arrestare i capi del Partito dei Piccoli Proprietari e del Partito Nazionale degli Agricoltori, mentre altri importanti esponenti fuggirono all’estero. Il Partito Ungherese dei Lavoratori ebbe la maggioranza nelle elezioni del 1947 e i comunisti ottennero poteri di governo sempre maggiori.
Il capo del Partito Social Democratico e altri capi dell’opposizione furono imprigionati o esiliati. Il 18 agosto 1949 il Parlamento approvò la nuova costituzione dell’Ungheria sul modello di quella sovietica del 1936. Il nome della nazione divenne “Repubblica Popolare Ungherese”. Il socialismo fu dichiarato principale obiettivo dello Stato. Dal 1949 al 1956 si ebbe l’epoca stalinista. Il segretario del partito comunista Rákosi chiese la completa obbedienza eliminando gli oppositori anche all’interno del suo partito e cercò di imporre un governo autoritario: circa 2000 persone furono giustiziate, più di 100000 imprigionate e 200000 espulse. Rákosi sviluppò un sistema educativo con la diffusione dell’ideologia comunista nelle scuole e nelle università. Nello sforzo di separare la Chiesa dallo Stato, l’istruzione religiosa fu bandita come propagandistica.
Nel gennaio 1948 il Partito Comunista proclamò la lotta alla “reazione clericale” seguì la fondazione di un Consiglio ecclesiastico denominato “Chiesa cattolica indipendente” e fu avviata la statalizzazione delle scuole private e in particolare di quelle religiose. Il cardinale József Mindszenty, già oppositore della Germania nazista e dei fascisti ungheresi durante la Seconda Guerra Mondiale, fu arrestato nel dicembre 1948 e accusato di tradimento. Dopo cinque settimane di arresto e forse di tortura, confessò tutto ciò di cui era accusato e fu condannato all’ergastolo. Il nuovo regime militare organizzò processi pubblici per eliminare ciò che restava del nazismo e dei “sabotatori imperialisti”. Diversi ufficiali furono condannati a morte e giustiziati nel 1951. Il numero delle vittime divenne noto solo con la caduta del comunismo.
Verso il martirio
Il caso di Stefano Sándor si situa nella lotta contro la Chiesa e gli Ordini e le Congregazioni religiose, e in particolare contro la Società salesiana, che faceva dell’educazione cristiana della gioventù il primo dei propri scopi. Anch’egli fu costretto a lasciare la casa religiosa salesiana e a trovarsi un lavoro in una tipografia di Szolnok, finché fu inviato dalle autorità statali a Budapest come istruttore per l’avviamento al lavoro dei ragazzi orfani e dei giovani apprendisti. In questa seconda attività, più che comportarsi secondo i postulati ateistici del regime, Sándor continuò con prudente attività catechistica a instillare nell’animo dei giovani i principi religiosi e la fedeltà alla Chiesa cattolica. Ma tutto questo non era gradito al regime, il quale cominciò a farlo spiare. Don László Ádám, Ispettore di quel tempo, decise di mandarlo all’estero per fargli proseguire la sua vita da religioso, ma egli non si avvalse di questa opportunità, affermando che avrebbe dedicato la vita a salvare la gioventù ungherese, anche a costo del martirio. Il suo sacrificio esprimeva la consapevolezza che la fedeltà a Dio e alla vocazione salesiana, lo spingevano a voler realizzare il grande ideale nel luogo che la Provvidenza gli aveva assegnato. In seguito, sotto altro nome, riuscì a farsi assumere in una fabbrica di detersivi della capitale, continuando impavido e clandestinamente il suo apostolato, pur sapendo che era un’attività rigorosamente proibita. Si incontrava regolarmente con i suoi exalunni ed alcuni loro amici, occupandosi dei loro problemi spirituali ed educativi. Si preparavano a resistere alla propaganda anticlericale del regime ed aiutavano anche altri a restare saldi nella fede.
Scoperto in seguito ad intercettazione della corrispondenza, fu tratto in arresto il 28 luglio 1952. Secondo i sistemi da tempo collaudati, fu sottoposto a disumani interrogatori, a feroci torture e ai tipici lavaggi del cervello, fino a riconoscersi pienamente nelle assurde e false accuse formulate contro di lui, che riguardavano la partecipazione a complotti contro l’ordine democratico, alto tradimento, attività contro lo Stato e altri reati: tutte accuse che prevedevano la pena di morte. Anche in carcere Stefano Sándor mantenne ferma la sua spiritualità, pregando e recitando il rosario. Inoltre, malgrado egli sapesse di dover essere prossimo all’esecuzione della condanna a morte, con rara serenità era apportatore di consolazione per i suoi compagni. La condanna a morte fu ufficialmente sentenziata il 12 marzo 1953 e attuata, tramite impiccagione, l’8 giugno dello stesso anno. Aveva trentanove anni.
Preghiera di offerta della giornata
Questa preghiera di offerta della giornata, composta e recitata quotidianamente da Stefano Sándor, riassume lo spirito e lo stile della sua vita.
Signore Gesù, offro a Te ogni preghiera, ogni lavoro, gioia, delusione e pena di questo giorno. Concedi a me e a tutti i miei fratelli lavoratori la grazia di poter pensare come Te, di pregare, lavorare e vivere con Te. Dammi la grazia di poterTi amare di tutto cuore e di servirTi dovunque e con tutte le mie forze. Venga il Tuo regno tra noi, nelle fabbriche e nelle famiglie. Che Tu sia conosciuto e amato dovunque e sempre. Salvaci da tutti i mali e da tutti i peccati. Che la Tua grazia assista i pericolanti. Che i morti sul lavoro riposino in pace. Così sia.