Le stazioni quaresimali romane
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Le stazioni quaresimali romane
Placido Lugano, osb, “Le sacre stazioni romane nella Quaresima e l’ottava di Pasqua”, Centro Librario Sodalitium, pagg. 118, euro 10,00.
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Introduzione: Le stazioni quaresimali in Roma
Il sacro tempo della Quaresima, nella attuale disciplina della Chiesa e secondo lo spirito della sua liturgia, è un tempo di ritiro che ogni cristiano deve passare nella solitudine in unione col divin Redentore Gesù Cristo, attendendo alla penitenza ed alla mortificazione, segnatamente sotto la forma del digiuno, e a tutti gli esercizi della vita spirituale. Ha principio col mercoledì delle Ceneri, in cui la Chiesa invita i suoi figli a chinare la fronte sotto l’austera sentenza pronunziata nel paradiso da Dio contro l’uomo ribelle: Ricordati, o uomo, che sei polvere ed in polvere ritornerai; e termina con la Veglia pasquale, in cui la risurrezione del Redentore viene a rallegrare le anime che hanno sofferto le volontarie privazioni della penitenza. La Quaresima prepara il popolo credente a commemorare la Passione di Gesù e a celebrare con Lui l’Alleluia della vittoria.
Istituita, la Quaresima, in memoria dei quaranta giorni di digiuno del Redentore, è dedicata in modo particolare alla penitenza, all’istruzione e alla predicazione. Le preghiere liturgiche della Quaresima parlano prevalentemente di digiuno e di mortificazione; ma, dopo la quarta settimana entrano a far menzione della Passione : perché la sola mortificazione, fatta di penitenza e di astinenza, è degna preparazione a celebrare con animo purificato la memoria della Passione dell’Uomo-Dio, che caratterizza l’ultima quindicina della Quaresima. L’Epistola e il Vangelo contengono l’alimento spirituale per l’istruzione e la predicazione; le orazioni, implorando misericordia e perdono, muovono a far penitenza delle colpe commesse. Varie tracce restano tuttora nel Messale romano dell’antica disciplina relativa ai pubblici penitenti per la loro riconciliazione e di quella per i con-vertiti dal paganesimo (catecumeni), che si preparavano a ricevere la grazia del battesimo nella Veglia pasquale.
Il digiuno, una volta molto rigoroso nei giorni feriali della Quaresima, è ora assai mitigato dalla benignità della Chiesa. La legge del digiuno permette un solo pasto al giorno, ma non vieta di prendere un poco di cibo la mattina e la sera, osservando l’approvata consuetudine locale circa la qualità e la quantità dei cibi; come non vieta la promiscuità di carne e pesce nello stesso pasto e la commutazione della refezione della sera con il pranzo (Codice di diritto canonico, can. 1251, §§ 1-2). La legge dell’astinenza vieta l’uso delle carni e del brodo di carne, pur concedendo l’uso delle uova, dei latticini, del burro e di qualsivoglia condimento anche di grasso degli animali (can. 1250). Sono compresi nella legge del digiuno (salvo dispensa o legittimo impedimento) tutti i fedeli che hanno compiuto gli anni ventuno di età e non hanno principiato i sessanta; mentre sono tenuti alla legge dell’astinenza tutti quelli che hanno compiuto il settimo anno di età (can. 1254, §§ 1-2).
La rigida costumanza più antica, riguardo al digiuno, già incostante al tempo di sant’Agostino, trovava ancora frequente applicazione presso il popolo romano. Anzi in Roma, il digiuno quaresimale si accompagnava con le grandi ufficiature divine, che, per conseguenza, rivestivano in questo tempo un carattere austeramente penitenziale. Dall’antico linguaggio militare si prese il termine di stazione (statio), trasportandolo ad indicare l’adunanza dei fedeli in un luogo sacro determinato, dove il Papa, assistito dal suo clero, celebrava i divini misteri. Alla stazione militare andava congiunta la caserma (statio), dove si vigilava anche di notte, con un corpo di guardia per la vigilanza diurna. E alla stazione liturgica, specialmente quaresimale, s’accompagnò fin dall’origine il significato di vigilanza, di penitenza e di preghiera, fatta in comune. Tertulliano trovò giusto il paragone, perché i cristiani sono la milizia di Dio. E sant’Ambrogio, nel paragonare i nostri digiuni alle mansioni del popolo israelitico, riconosce che anche noi dobbiamo laboriosamente fare il cammino di quaranta giorni, e fortificarci con la devozione dei digiuni quasi in altrettante fortezze: perchè per noi sono fortezze i digiuni che ci difendono dall’oppugnazione diabolica; e conchiude col dire: « Si chiamano stazioni, perché, rinchiusi in esse, respingiamo le insidie dei nemici ».
La « stazione » faceva di ogni feria quaresimale una grande dimostrazione religiosa. A Roma, la liturgia offre il medesimo carattere di movimento e lo stesso colore locale, che assumevano i divini uffici celebrati a Gerusalemme, d’ordinario, di chiesa in chiesa. Le stazioni erano l’espressione dell’unità della liturgia, raggruppandosi clero e popolo, intorno alla persona del Pontefice, che celebrava i divini misteri e faceva spesso la predica. Col pellegrinare alle diverse chiese si mantennero vive le memorie del culto ai martiri nei singoli luoghi. In questo andare del servizio liturgico da uno in altro luogo, è da ravvisare un’analogia con le usanze di Gerusalemme, donde derivarono, come in germe, molte delle prescrizioni liturgiche romane. Al tempo di san Gregorio Magno la stazione importava la processione con le litanie e la Messa. Tutto il popolo romano vi era convocato, laici e sacerdoti. Lo stesso Pontefice, col suo corteo, vi interveniva. All’ora fissata, si raccoglievano tutti in una chiesa stabilita per l’adunata (colletta). Qui il Pontefice recitava l’orazione ad collectam, cioè l’orazione sul popolo adunato, faceva muovere la processione, preceduta dalla Croce stazionale, al canto delle litanie. Giunta alla chiesa designata per la stazione, il Pontefice celebrava solennemente la Messa, assistito dai suoi diaconi e suddiaconi e dai preti delle varie parrocchie (tituli) della città. D’ordinario, dopo la Messa, s’annunziava il luogo della stazione pel giorno seguente.
Ecco la nota delle Collette e delle Stazioni, ove in carattere neretto sono indicate le stazioni del gruppo più antico della liturgia quaresimale (le basiliche più venerate e di proporzioni più vaste); in carattere corsivo sono indicate le stazioni del secondo gruppo, aggiunte verso il secolo v, tra san Leone (+ 461) e san Gregorio (+ 604) (le chiese parrocchiali); e in carattere romano, le chiese stazionali del terzo gruppo, aggiunte nel secolo VIII da Gregorio II (+ 731) (le sette chiese designate per i giovedì che erano rimasti fino a quel tempo senza liturgia).
Il pio pellegrinaggio processionale percorreva litaniando le vie dell’Urbe facendo risuonare l’aria della voce implorante la misericordia e l’intercessione dei Santi. Nel tempio, le voci supplichevoli si stringevano intorno all’altare, sul quale il divin Redentore, sacerdote e vittima, rinnovava, nella persona del Pontefice, il sacrificio del Calvario, e sotto il quale giacevano venerate le reliquie dei martiri, testimoni invitti della fede e della verità cristiana. Chè, le palme dei martiri rappresentano propria-mente i trionfi del nostro principe Cristo, ed i martiri di Cristo, secondo la bella espressione ambrosiana, sono il vero tesoro della Chiesa.
Uno dei caratteri assunti dalle stazioni fu quello del trionfo della venerazione di chi aveva dato la vita per Cristo: anzi il culto degli eroi della fede, dei santi e dei martiri, ebbe notevole incremento dalle visite stazionali. Onde a ben comprendere la liturgia della Quaresima occorre tener presenti anche le ragioni agiografiche e non dimenticare le ragioni topografiche. E le indicazioni del Messale, che, fuori di Roma, possono sembrare soltanto un vestigio archeologico di usanze di tempi tramontati, furono in Roma, e lo sono tuttora, una realtà vivente. Le basiliche e le chiese, mèta del pellegrinaggio stazionale, sono sempre i trofei dei martiri più venerati. La moderna disciplina non è che la continuazione dell’antica. «E’ cosa buona e utile invocare supplichevolmente i servi di Dio, regnanti insieme con Cristo, e venerarne le reliquie e le immagini: ma prima di ogni altro tutti i fedeli onorino con filiale devozione la beatissima Vergine Maria» (can. 1276). E la visita stazionale reca il tributo dell’onore e l’incenso dell’amore filiale alla Madre di Dio nelle dorate basiliche della sua glorificazione, e il profumo della venerazione alle reliquie dei Martiri e dei Santi che impreziosiscono per l’immortalità le nostre chiese romane.
Il clero e il popolo, anche ai nostri tempi, rivivono le usanze antiche, benché alquanto modificate. Alti dignitari della Chiesa e personalità del laicato, monaci e popolo minuto si confondono insieme in un medesimo spirito di espiazione, di penitenza e di preghiera. E, rinnovando con devozione ogni anno queste sante osservanze, confidano di riuscire graditi a Dio e col corpo e con la mente.