2015 Comunicati  27 / 10 / 2015

L’antimodernismo in Liguria

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 85/15 del 27 ottobre 2015, San Fiorenzo

216px-Cardinale_Tommaso_Pio_boggianiSegnaliamo un articolo molto interessante sulle vicende dell’antimodernismo in Liguria all’epoca di San Pio X, che permette anche di avere un giudizio più realista sulla figura del card. Siri.
Sull’argomento: Card. Tommaso Pio Boggiani, Un Vescovo contro la Democrazia Cristiana, pagg. 36, euro 5,00

L’INTERDETTO SU GENOVA DEL 1912: una pagina pressoché sconosciuta di fedeltà e tradimenti, di Raimondo Gatto

Questo breve studio si basa principalmente su ricerche svolte negli anni ‘80 da chi scrive; e poi dalle testimonianze e conversazioni raccolte dall’autore a colloquio con l’indimenticato Monsignor Francesco Repetto, Segretario del Cardinale Pietro Boetto. Utili alla conoscenza dei fatti, si sono rivelati altresì molti incontri avuti dallo scrivente con Monsignor Alberto Boldorini, ex barnabita e già direttore della rivista Renovatio, nonché uno dei postulatori della causa di beatificazione di Padre Semeria, oltre che collaboratore del Cardinale Siri.
Il 29 novembre 1912, un avvenimento di gravità inaudita veniva adottato dal Papa San Pio X; l’Arcidiocesi di Genova veniva colpita dall’interdetto papale, che comportava il divieto di ogni funzione pontificale, la sospensione nell’amministrazione delle Cresime e delle ordinazioni.
Ricapitoliamo la successione degli eventi.

Modernismo e anti-modernismo a Genova
Con l’Enciclica Pascendi del 1907, San Pio X metteva fine ad una disputa che aveva lacerato il clero, dichiarando che le tesi di Loisy, Tyrrell, Bonaiuti ecc. erano contrarie alla dottrina della Chiesa, in particolare la pretesa che le Sacre Scritture dovessero essere rilette in senso naturalista, minimizzando o addirittura negando gli elementi soprannaturali (Resurrezione e miracoli).
Purtroppo l’errore modernista era dilagato, sicché l’Enciclica giungeva tardi; esso contava tra i suoi sostenitori già un discreto numero di Vescovi, nonché alcuni influenti Cardinali, sia in Italia, che all’estero.
L’Arcidiocesi di Genova, assai importante nella storia della Chiesa, non era stata risparmiata dal contagio progressista, e contava personalità di spicco del modernismo come il Padre barnabita Giovanni Semeria, molto vicino a Casa Savoia.
Padre Semeria era stato nominato nel 1900 Vice-Rettore dell’Istituto Vittorino da Feltre, fondato nel 1878 dal Marchese Gerolamo da Passano, noto massone. L’Istituto era frequentato dal fior fiore della borghesia genovese, compiacente verso il Semeria; in esso il religioso teneva le sue conferenze, tramite le quali il Padre diffondeva quelle idee che sarebbero poi state stroncate da San Pio X.
A spalleggiare la setta modernista era soprattutto la stampa cittadina, rappresentata dai quotidiani Il Secolo XIX, Il Lavoro ed il Caffaro. Per contro esistevano due fogli cattolici: il curiale Il Cittadino, che lasciava trapelare “neutralità” in materia filosofica e morale, e la battagliera La Liguria del Popolo, diretta da Don Fedele Boccardo, dichiaratamente anti-modernista, in perfetto accordo con Monsignor Benigni e con le direttive pontificie.
Il principale collaboratore de La Liguria del Popolo era il filippino Don Arturo Colletti, che godeva notoriamente della fiducia e dell’appoggio del Segretario di Stato di San Pio X, il Venerabile Cardinale Rafael Merry del Val.
Già insegnante di filosofia nel seminario di Spoleto, il Colletti, storico di prim’ordine, era il più acceso avversario del Padre Semeria, di cui contrastava il disegno modernista volto a “spurgare” le Sacre Scritture da ogni riferimento soprannaturale. Affiancava il Colletti, il Padre Luigi Persoglio, collaboratore di Monsignor Caron, ed a cui dobbiamo la memoria delle Insorgenze antigiacobine in Liguria del 1797.
Sul Semeria, il Colletti aveva visto giusto; ma fu solo negli anni 20, che 88 proposizioni del Padre furono formalmente condannate dal Sant’Uffizio.

La morte dell’Arcivescovo Pulciano e la designazione del suo successore

Nel dicembre del 1911 moriva l’Arcivescovo di Genova Monsignor Edoardo Pulciano. San Pio X conosceva le difficoltà dell’Arcidiocesi, dove il Padre Semeria, indubbiamente molto colto, aveva piegato taluni ambienti assai doviziosi ad una specie di “sottomissione psicologica e culturale” al modernismo; pur se gli affari erano e restavano sempre il vero interesse di coloro che frequentavano questi ambienti “bene”. Il tutto, senza che mai l’Arcivescovo avesse osato ufficialmente redarguire il barnabita. L’Enciclica Pascendi era rimasta insomma lettera morta ed era ormai datata.
Morto l’Arcivescovo, il Papa non ebbe esitazioni e il 24 aprile chiamò a sostituirlo sulla Cattedra di San Siro, con il Vescovo di Ceneda (poi Vittorio Veneto) Monsignor Andrea Caron.
In forza della cosiddetta legge delle guarentigie, emanata nel 1871, lo Stato Italiano sottoponeva l’insediamento di un Vescovo al benestare del Governo liberal-massonico (che dava alla nomina il cosiddetto exequatur, ossia il suo nulla osta).
Il neo-eletto inoltrò al Governo regolare domanda per ottenere il regio exequatur, tramite il Ministero di Grazia, Giustizia e Culti, Camillo Finocchiaro Aprile, fissando la data del suo ingresso nell’Arcidiocesi e dell’insediamento in essa al 31 maggio 1912. Ma le logge erano al lavoro.
Appena conosciuto il nome di Monsignor Caron, i giornali imbastirono una feroce campagna di stampa, allo scopo d’indisporre il Governo e d’indurlo a bloccare l’ingresso in città del nuovo Arcivescovo. Lo scopo era quello di far credere che i genovesi, sacerdoti e fedeli laici tutti, fossero ostili a Monsignor Caron. E che, perciò, il suo insediamento avrebbe potuto creare turbamenti nell’ordine pubblico.
Alla metà di settembre di quell’anno 1911, il Padre Semeria lasciava Genova per Bruxelles, nota centrale modernista; la sua partenza fu per la stampa una rinnovata occasione per lanciare insulti ed accuse contro il nuovo Arcivescovo e contro il Papa: si condannava il trattamento ricevuto dal barnabita “esiliato”; si accusava il Caron, che attendeva a Montecassino l’arrivo dell’exequatur regio, di essere uno “scottoniano” (i fratelli Scotton[1], erano infatti i capofila dell’antimodernismo nel Nord Italia); di essere anti-italiano ecc. e si domandava il ritorno del Semeria da Bruxelles[2].
Firme, petizioni, comizi furono organizzati a questo scopo; alla testa della ciurma massonica si pose il quotidiano socialista Il Lavoro. Su ordine di Giolitti, il Prefetto seguiva attentamente la vicenda, che travalicava ormai anche all’estero. Una nuova categoria politica faceva la sua comparsa: quella dei “clericoliberali”, come li designava Padre Colletti (oggi si direbbero catto-comunisti) il quale annunciava per maggio l’uscita del suo ultimo volume contro le pubblicazioni del Semeria, volume che egli aveva dedicato emblematicamente a Monsignor Caron.

Il governo nega l’exequatur e San Pio x scaglia l’interdetto papale contro l’Arcidiocesi di Genova
La campagna di stampa fomentata contro l’Arcivescovo designato centrò il suo obiettivo; il 27 novembre 1911 il Governo Giolitti deliberò di negare l’exequatur a Monsignor Caron: la stampa massonica esultava. Così scriveva il giornale Il Lavoro: “Il Governo non poteva infliggere ad una città patriottica e liberale come la nostra, un Arcivescovo sanfedista”[3].
Il Capitolo Metropolitano protestò vivacemente; si riaccesero le antiche polemiche, mai sopite, fra i diritti dello Stato e quelli della Chiesa. Ma il giorno 30 arrivò una lettera indirizzata al Vicario Capitolare, Monsignor De Amicis, scritta di pugno dal Cardinale Gaetano De Lai, Segretario del Concistoro, e così formulata: “Per ordine del Santo Padre indi innanzi e fino a nuova disposizione, ogni funzione pontificale, compresa l’amministrazione della Sana Confermazione [Cresime], era sospesa nella città e Diocesi di Genova, sospesa del pari ogni ordinazione”[4].
Cos’era successo di tanto grave da indurre il Pontefice ad applicare una sanzione che suonava come una vergogna sull’intera città?
Si è fatta molta confusione in proposito e la verità è stata sussurrata e quasi taciuta per motivi d’interesse o puramente campanilistici.
Nella campagna di stampa “pro Semeria”, che suonava pure come un avvertimento a Monsignor Caron (e, perché no?, anche contro il Papa) era stata promossa una petizione, che contava tra i suoi firmatari anche un discreto numero di sacerdoti[5]. Questa petizione, indirizzata ai Ministeri competenti ed allo stesso Giolitti, allora Presidente del Consiglio, era stata da questi “girata” al Vaticano, perché il Governo non voleva assumersi da solo e per intero la responsabilità del negato exequatur; e voleva anzi scaricarla sui cattolici. Il Papa lesse la petizione e vi trovò i nomi dei sacerdoti filo-modernisti.
San Pio X non aveva dunque altra scelta che confermare la nomina del Caron, per reagire contro le prepotenze del Governo.
Il 2 dicembre si tenne il Concistoro, dove si annunziava la provvista di Chiese. Quando arrivò alla Chiesa di Genova, il Santo Padre fece una breve pausa e poi, con voce volutamente più marcata, pronunciò il nome di Monsignor Caron.

Le reazioni a Genova

L’interdetto scatenò una lunga serie di polemiche in città[6]; in seguito al provvedimento, i genovesi, per ricevere le Cresime, dovevano recarsi nella Diocesi di Chiavari, istituita da Leone XIII nel 1892; sospese erano altresì le funzioni pontificali in San Lorenzo.
I modernisti ne addossarono la colpa al giornale degl’intransigenti, ovvero a La Liguria del Popolo ed al Padre Colletti; gli scritti del Padre filippino furono sottoposti a censura; Colletti morirà nel 1953, trasferito dal Cardinale Siri alla parrocchia di San Quirico e, da questa, a quella di Mignanego, paesino dell’entroterra genovese dov’ è stato sepolto. Dopo qualche anno fu soppressa anche La Liguria del Popolo.
Gli anti-modernisti invece, indicarono nel Semeria stesso l’autore della manovra.
Il Padre Semeria durante la Grande Guerra fu nominato cappellano del Regio Esercito e mori nel 1932; non scrisse più di filosofia e si dedicò ad opere di carità; ora è in corso la sua causa di beatificazione, voluta dai neomodernisti vaticanosecondisti.
Nell’aprile del 1914 la Santa Sede nominò l’Arcivescovo di Edessa, Monsignor Tommaso Pio Boggiani, Amministratore Apostolico dell’Arcidiocesi di Genova. Ma il 29 agosto di quell’anno moriva San Pio X. Proprio a Monsignor Boggiani si deve una celebre lettera di condanna del nascente Partito Popolare Italiano, espressione in politica del modernismo religioso.
Finalmente nell’agosto del 1915, L’Osservatore Romano pubblicava una dichiarazione del Ministero dell’Interno, che reintegrava Monsignor Caron e dava accoglimento alla richiesta di exequatur. Ma l’Arcivescovo, stanco e malato, scrisse e inviò una lettera di rinunzia all’incarico; al suo posto era stato nominato nel frattempo Monsignor Luigi Gavotti, Vescovo di Casale Monferrato.

Conclusione
Sulla vicenda calò il silenzio. Finché nel 1966 (un anno dopo la fine del Concilio Vaticano II) comparve un libro, a firma di Antonio Durante, munito della prefazione del Cardinale Giuseppe Siri. In esso l’intera vicenda è ripercorsa secondo la ricostruzione dei modernisti, che avevano nello storico Don Lorenzo Bedeschi la loro fonte ed il loro riferimento ideologico.
Gli scritti del prete Bedeschi, morto nel 2006, continuano ad essere citati dagli autori che vogliono approfondire la questione modernista, non esistendo purtroppo nessun’altro studio di parte contraria.
Il libro prefato dal Cardinale Siri, stando a quanto scrive il suo autore, fu commissionato al Durante dallo stesso porporato[7] e in esso si ripete il solito cliché progressista.
Queste le tesi del libro di Durante: il Padre Semeria sarebbe stato ingiustamente accusato, ma poi alla fine sarebbe stato esaltato come profeta del Concilio Vaticano II; gli anti-modernisti sarebbero stati pochi fanatici, esagerati e calunniatori; il Sodalitium Pianum, la struttura voluta da San Pio X per stanare i modernisti annidati nei seminari e nelle Curie, sarebbe stato una pericolosa associazione, inventata da Monsignor Benigni, per dare la caccia agli eretici, utilizzando sistemi poco caritatevoli; i preti modernisti sarebbero stati sì un po’ incauti, ma sostanzialmente cattolici; le firme inviate al Governo avrebbero potuto essere false ecc. … Insomma, il tutto sarebbe stato frutto di equivoci e malintesi.
Ancora: il Sommo Pontefice sarebbe stato un credulone nelle mani degli integristi e delle loro spie; dal che si deduce che avrebbe fulminato l’interdetto con una certa leggerezza.
Ma, ad anni di distanza, noi sappiamo che San Pio X, purtroppo, aveva mille ragioni dalla sua.
Si stenterebbe a credere che il Cardinale Siri possa aver prefato un simile lavoro, dato che una leggenda prevalente negli ambiente conservatori e dura a morire, lo descrive quale “strenuo difensore dell’ortodossia”[8]; la lettura di questo testo (a mio giudizio dettato proprio dal porporato) potrà sconcertare più di un vero fedele della Tradizione; senza dire, inoltre, che il testo è molto confuso e reticente e mette in ombra la verità, cioè quale fu il vero motivo dell’interdetto papale contro Genova.
Il grande storico francese Cretinau Joly, quando si accingeva, nel 1848, a pubblicare il suo volume Clemente XIV e i Gesuiti, ricevette pressioni perché il lavoro non fosse pubblicato, giacché avrebbe nuociuto — così dicevano alcuni — alla Chiesa. Ma egli giustamente soleva rispondere che la “Chiesa non deve mai aver paura della verità”. E lo diede alle stampe.
Ciò che sta accadendo ora nella Chiesa è visibile a tutti: i modernisti trionfanti e protervi, cantano vittoria. Almeno per ora. Tutto ciò non sarebbe mai accaduto, se si fosse dato retta a San Pio X e a quei Vescovi, che ebbero il coraggio di contrastare apertamente l’eresia.

[1] I tre fratelli Scotton (Gottardo, Jacopo e Andrea) sacerdoti vicentini, tutti insigniti del titolo di Monsignore, erano tra i campioni dell’intransigentismo cattolico nel Nord Italia e amici del Papa San Pio X, cfr. https://forum.termometropolitico.it/1167-i-fratelli-monsignori-scotton-i-martelli-contro-il-modernismo.html
[2] L’Università di Lovanio era stato il centro del cattolicesimo liberale; in quegli anni era altresì divenuta una centrale di diffusione del modernismo.
[3] Il Lavoro, 26 novembre 1912.
[4] DURANTE Antonio, Monsignor Andrea Caron e un periodo critico della storia genovese. Scuola Grafica Don Bosco. Sampierdarena (Ge) 1966, pp. 64-65.
[5] Erano 450 firme, raccolte fra le personalità più influenti.
[6] Massobrio Alessandro, Storia della Chiesa a Genova. De Ferrari editore. Genova 1999, pp. 125-142.
[7] Lo dà ad intendere lo stesso Cardinale nella prefazione al testo del Durante.
[8] Se questa diceria o luogo comune su Siri tradizionalista fosse vera, non si capisce allora chi abbia insediato nelle parrocchie genovesi personaggi come don Andrea Gallo o chi abbia ordinato, nel 1967, don Farinella.

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