La società cristiana: regalità di Cristo o teocrazia?
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 92/24 del 10 dicembre 2024, Madonna di Loreto
La società cristiana: regalità di Cristo o teocrazia?
Dal sito della rivista Sodalitium: L’intervista di Aldo Maria Valli a don Francesco Ricossa sulla Regalità di Cristo https://www.sodalitium.biz/intervista-a-don-ricossa-sulla-regalita-di-cristo-e-i-100-anni-della-quas-primas/ ha provocato l’interesse e le domande dei lettori del blog “Duc in album”, in particolare un intervento sul rapporto tra la dottrina della regalità sociale di Cristo e una possibile teocrazia nella società cristiana. Don Ricossa ha risposto alla domanda che è stata pubblicata sul blog in questione.
Ecco perché la Chiesa parla di regalità sociale di Cristo e non di teocrazia
Caro Valli,
il suo lettore e, da quel che vedo, assiduo collaboratore, solleva il problema del rapporto tra “regalità sociale di Cristo” e “teocrazia”.
Il magistero della Chiesa parla di regalità di Cristo mentre, mi pare, non utilizza mai il termine teocrazia. Il motivo c’è.
Stato e Chiesa (o come si diceva Sacerdozio e Impero) sono due società perfette (aventi cioè tutti i mezzi per realizzare i loro fini rispettivi) distinte tra loro, avendo finalità distinte: il bene comune temporale per quanto riguarda lo Stato, il bene comune sovrannaturale (gloria di Dio, salvezza delle anime) per quanto riguarda la Chiesa. Anche quando, di fatto, il capo dello Stato e quello della Chiesa coincidono – com’è il caso ad esempio del papa nello Stato ecclesiastico – i due poteri sono distinti tra loro e distinta è la legislazione civile da quella ecclesiastica, e distinta è pure dalla legge umana la legge positiva divina. La cosa è facilmente comprensibile, non solo perché, come detto, le finalità rispettive sono distinte, ma anche perché mentre la legge umana (civile o ecclesiastica) giudica solo degli atti esterni ma non di quelli interni, quella divina giudica principalmente degli atti interni, che Dio solo può conoscere. La Cristianità, quindi, non conosceva una legislazione di origine divina che guidasse anche la società temporale, come nel mosaismo veterotestamentario, ma ammetteva la distinzione tra potere civile ed ecclesiastico, legislazione civile, ecclesiastica e divina positiva.
Tuttavia, se la Chiesa ha sempre ammesso la distinzione dei poteri, non ne ha mai ammesso la separazione, anzi l’ha condannata. La separazione tra Stato e Chiesa o, come dicono i laicisti, tra lo Stato e le chiese, è il “dogma” delle moderne società, sia quando questa separazione pretende lasciare piena libertà alle chiese (e così non è) sia quando invece perseguita o tiranneggia la Chiesa. Stato e Chiesa – almeno in una società cristiana – hanno i medesimi sudditi, hanno materie miste ovvero comuni (come ad esempio il matrimonio e la famiglia), hanno il medesimo fine ultimo, che non può essere che uno solo. Se, infatti, il fine prossimo dello Stato è il bene comune temporale, quest’ultimo però è ulteriormente finalizzato, quale mezzo, al fine ultimo che è Dio. Anche solo dal punto di vista del diritto naturale, lo Stato deve riconoscere Dio e la Religione a fondamento della vita pubblica (né mai esistette Stato agnostico o peggio ateo prima della rivoluzione francese e poi di quella bolscevica) ma solo la Rivelazione, di cui la Chiesa è custode, ci assicura di chi sia il vero Dio e quale sia la vera religione, e come gli si debba pubblicamente rendere culto.
Se Chiesa e Stato non sono separabili, se potere spirituale e temporale, pur distinti, non devono essere separati, allora il rapporto tra le due società, ognuna perfetta nel proprio ordine, deve ammettere una subordinazione. Subordinazione che non può essere quella della Chiesa allo Stato (il cesaro-papismo orientale, prima greco poi russo, il ghibellinismo medioevale, l’anglicanesimo o gallicanesimo ecc., che ripetono nella Cristianità il modello pagano) nella quale il clero è cappellano di corte, ma al contrario dello Stato nei confronti della Chiesa, la quale ha pertanto un potere diretto o indiretto sulle cose temporali quando siano legate a quelle spirituali. Tale rapporto è descritto come quello che intercorre tra l’anima e il corpo o, nei medioevali, tra il sole e la luna. Se “teocrazia” o “ierocrazia” significasse questo, allora, sì, sarebbero ammissibili.
Ovviamente, stiamo parlando della costituzione ideale della società, dalla quale siamo ben lontani attualmente; anzi ne siamo agli antipodi. La crisi che viviamo coinvolge sia la Chiesa sia lo Stato, e pertanto tutta la società, e le battaglie che realisticamente si possono fare attualmente sono battaglie di retroguardia, a difesa dei principi più evidenti del solo diritto naturale. Anche il principio, seppur disatteso nella pratica, della “religione cattolica religione di Stato”, ancora proclamato non solo dallo Statuto albertino (che pure era liberale) ma anche dal vecchio concordato (che era garantito dalla Costituzione), sembra ormai lontano anni luce, e nessun partito politico, di destra, sinistra o centro, ha più nel proprio programma non solo la difesa della vera Religione, ma neppure del diritto naturale, e l’unica differenza è quella che passa tra un “più” e un “meno” nella violazione di detto diritto naturale di per sé alla portata della semplice ragione. Se poi i caporioni dei partiti politici più ostili alla Chiesa vengono lodati dall’occupante della Sede Apostolica e trattati da amici, chiunque potrà constatare la gravità della crisi che stiamo vivendo.
Gesù Cristo quindi regna più coi suoi castighi che coi suoi benefici, dato che il Mondo ha sempre più ripudiato il suo vero Re per preferirgli il “principe di questo mondo”. E di questo paghiamo ogni giorno le conseguenze. Che Dio ci aiuti, e la Sua santissima Madre, Maria Regina.
don Francesco Ricossa