2024 Comunicati  25 / 10 / 2024

La Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 80/24 del 22 ottobre 2024, Santi Crisanto e Daria
La Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo
Domenica 27 ottobre 2024 la Chiesa festeggia Cristo Re, per i ricordare i diritti di Nostro Signore sulla società  negati dal laicismo e dal modernismo. Per preparare questa festa pubblichiamo l’ultima parte di una lettera pastorale di Mons. De Castro Mayer del 1976. Il documento fu pubblicato da un’associazione che nel frattempo ha abbandonato il combattimento inziale per abbracciare la libertà religiosa e gli altri errori conciliari.
V – RIASSUNTO E CONSIDERAZIONI PASTORALI
Per questo, amati figli, prima di valutare le conseguenze pastorali dell’insegnamento esposto, lo riassumiamo, perché si fissi meglio nelle vostre menti.
1) Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, in quanto mediatore tra il cielo e la terra e redentore del genere umano, è stato costituito dall’eterno Padre re universale nel pieno senso della parola. Attraverso l’instaurazione del suo Regno di Verità, di Giustizia e di Pace, si realizza la sua missione, rivolta alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime. Per quanto, in linea di diritto, Gesù sia anche re temporale, di fatto si è riservato soltanto la sovranità sulle cose che riguardano i rapporti dell’uomo con Dio e che si riferiscono alla salvezza eterna.
2) Siccome la instaurazione di questo regno sulla terra è la ragione di essere della Chiesa di Cristo, la Chiesa cattolica, apostolica, romana, la regalità di Gesù Cristo richiede, di per sé, che la società politica si costituisca in accordo con l’unica Chiesa di Cristo.
3) Tuttavia, la regalità di Gesù Cristo non deve essere imposta con la forza, con la violenza. Infatti l’uomo aderisce alla fede, ed entra nel regno di Cristo, soltanto attraverso un libero atto della volontà. Questa condizione – che cioè soltanto attraverso l’esercizio di un atto libero l’uomo entra nel regno di Cristo – non crea diritto alcuno alla pacifica esistenza nello Stato per l’errore o per il vizio; meno ancora alla loro propaganda e alla loro azione. Essendo, infatti, creato per la verità e per il bene, nulla conferisce all’uomo il diritto di aderire impunemente all’errore o di consentire al vizio.
4) Se non dà un diritto, giustifica tuttavia la tolleranza da parte dello Stato verso le confessioni religiose false, qualora la richiedano circostanze concrete, in vista di un grande bene da ottenere, o di una male che si deve evitare.
Quindi la tolleranza delle religioni false, come pure di certi comportamenti contrari alla norma della moralità, è sempre un male minore, che, di conseguenza, non può essere considerata una situazione definitiva. Sbaglierebbe chi pretendesse di vedere innalzata alla categoria di principio la condizione di mescolanza di bene e di male rappresentata nella parabola della zizzania e del grano. La parabola, infatti, presenta un fatto, non stabilisce un diritto. Presenta il fatto della situazione dei buoni nel mondo che, secondo i disegni della Provvidenza, avranno sempre intorno a sé persone cattive che li esercitino, secondo l’esegesi di Sant’Agostino, nella pratica della virtù e li rafforzino nella fede. La parabola non intende assolutamente insegnare il diritto alla esistenza dell’errore o del male, come se, per principio, la situazione normale dello Stato comportasse o esigesse la libertà di esistenza e di propaganda per tutti i credi religiosi.
5) D’altronde, lo Stato non può esimersi dai suoi doveri nei confronti della vera religione, con il pretesto che deve badare soltanto alle cose della terra; infatti, occupandosi del suo fine specifico, lo Stato non deve né può dimenticare la subordinazione dei beni terreni al destino ultimo, ultraterreno, dei suoi cittadini. Lo farà convenientemente soltanto se esso stesso si subordinerà alla vera religione, che è quella cattolica, apostolica, romana, dotata di caratteristiche chiaramente manifeste, cosicché, generalmente, nessuno può essere scusato per il fatto di non conoscerla o di non vivere secondo i suoi comandamenti.
I NOSTRI DOVERI VERSO LA REGALITÀ DI GESÙ CRISTO
La instaurazione del regno di Gesù Cristo nella società è una meta apostolica di cui si devono occupare tutti i fedeli. Tuttavia, deve sempre essere perseguita in modo ordinato e pacifico, a imitazione di Gesù Cristo e degli Apostoli, che ubbidirono e comandarono di ubbidire ai poteri pubblici costituiti, tranne soltanto i casi in cui il potere andava contro le leggi oppure ordinava qualcosa di contrario alla volontà di Dio. Leone XIII afferma dei primi cristiani che erano «esempio di fedeltà verso i Principi, obbedienti all’impero delle leggi, quanto lo permettesse la coscienza, diffondevano dappertutto una meravigliosa luce di santità; si studiavano di venire in aiuto ai fratelli, di far proseliti, pronti d’altra parte a ritirarsi e morire da eroi, quante volte non avessero potuto, senza compromettere la coscienza, ritenere gli onori, le magistrature, i comandi militari» (1).
LA NOSTRA CONVERSIONE
L’obbligo, carissimi figli, che riguarda ciascuno di noi di operare per la instaurazione del regno di Gesù Cristo, comincia con la nostra conversione. Prima di ogni altra cosa, è necessario che Gesù Cristo regni nel nostro essere, attraverso la conformità della nostra volontà, dei nostri atti e del nostro comportamento con la volontà santissima di Dio, espressa nei suoi comandamenti e nell’orientamento della sua santa Chiesa e, soprattutto, attraverso l’assimilazione del suo spirito. Tale vassallaggio ci obbliga a fuggire le sollecitazioni del mondo.
Fu così che i primi cristiani riformarono completamente la società pagana, convertendola e costruendo sulle sue rovine la città di Dio, la civiltà cristiana. Ascoltiamo Leone XIII: «Per tal guisa fecero in pochissimo tempo penetrare il cristianesimo, non solo nelle famiglie, ma nella milizia, nel senato, e perfino nel palazzo imperiale […]; talmente che quando le leggi consentirono la pubblica confessione del Vangelo, non comparve la fede cristiana come bambina in culla, ma sí come adulta e ben robusta in gran numero di città» (2).
NELLE FAMIGLIE
L’azione personale si svolge nella famiglia. Quando nel seno della famiglia si trova l’austerità della vita cristiana e l’ambiente del focolare è impregnato di fede e invita alla pratica della virtù, le persone si sentono più facilitate a vincere gli allettamenti alla empietà e al vizio, suscitati dalle passioni, dal demonio e dallo spirito del mondo.
È qui importante sottolineare, amati figli, l’enorme responsabilità dei genitori nella formazione cattolica dei figli; infatti, dalla loro vigilanza e dalla loro positiva azione educatrice dipende lo spirito che animerà più tardi tutto il comportamento della loro prole. Senza un’azione decisiva dei genitori, è impossibile che si instauri nella società il regno di Gesù Cristo. Segnaliamo a questo punto, amati figli, la nefasta influenza che svolgono nell’ambiente familiare la televisione, i rotocalchi e i libri cattivi o semplicemente leggeri.
Sappiate, amati figli, che buone famiglie possono collegarsi in gruppi sociali maggiori, da cui è formata la società civile. Ed ecco come, con una azione ferma, benché paziente, possiamo contribuire al rinnovamento dello Stato, in modo da cristianizzarlo. Come ha predetto il divino Salvatore nella parabola del lievito (3), il fervore dei fedeli riconquisterà il mondo al vassallaggio del Re della Gloria attraverso una irradiazione continua del buon odore di Cristo Gesù.
NELLA VITA PUBBLICA
Ecco dunque, amati figli, la ragione per cui il demonio tesse insidie di ogni genere alla integrità della famiglia cristiana, tanto nella sua costituzione, come nei suoi doveri o nel normale tenore della sua vita.
Vedete perciò che, nonostante la sua importanza capitale e imprescindibile, il nostro impegno perché Gesù Cristo sia Signore sovrano della società non può limitarsi alle azioni private, personali o familiari. Dobbiamo anche agire nella vita pubblica, tanto in modo positivo, quanto per impedire che le famiglie vengano soffocate da disordini di ogni specie, tollerati per seguire la male intesa libertà moderna.
Come avverte Leone XIII quando sottolinea questo obbligo dei fedeli, l’azione nella vita pubblica deve svolgersi in modo ordinato e pacifico. Senza provocare lotte di classe, senza eccitare gli spiriti contro l’ordine stabilito. Ma agendo, oltre che con il buon esempio, arma assolutamente indispensabile, con tutti i mezzi legali – scritti, manifesti, manifestazioni collettive, ecc. – allo scopo di impedire l’approvazione di leggi o di costumi contrari alla fede e alla morale cristiane, come il divorzio, l’aborto procurato con qualsiasi pretesto, il permesso di vendere anticoncezionali, il loro uso in ospedali e maternità, l’educazione sessuale nelle scuole, la licenziosità pubblica, la diffusione della pornografia, la liberalizzazione di spettacoli cinematografici che ingiuriano Gesù Cristo, che offendono il dogma, che disgregano la famiglia, ecc.
Un’attività identica va svolta in senso positivo, con l’obiettivo di conseguire un ordine pubblico ispirato dallo spirito cristiano, che prepari le anime dei cittadini ad aderire alla vera fede in Gesù Cristo, quale la proclama la sua Chiesa, quella cattolica, apostolica e romana.
LA SCUOLA
Fa parte di questo apostolato, amati figli, e dei diritti dei genitori, un’azione organizzata contro il monopolio scolastico, che, sotto il pretesto della efficienza educativa, si va delineando nella nostra patria.
Innanzitutto perchè, nella situazione concreta in cui verrà a trovarsi il popolo brasiliano, l’insegnamento ufficiale sarà laico. Ora, in una scuola in cui l’insegnamento ufficiale è laico, non è possibile dare agli alunni una formazione cattolica, Essa richiede, infatti, che tutte le discipline siano considerate come un tutto armonico, in modo che si integrino, animate dal medesimo spirito, lo spirito di nostro Signore Gesù Cristo, la Sapienza di Dio, alla cui gloria tutte le scienze devono orientarsi. Il rimpianto Carlo de Laet diceva a giusto titolo che l’insegnamento laico è di sua natura fazioso; e forniva l’esempio della calligrafia, materia apparentemente indifferente, insegnando la quale il professore perde necessariamente la sua neutralità, dovendo, per esempio, spiegare perché Dio si scrive con la lettera maiuscola.
A tale male non si rimedia con l’insegnamento religioso negli istituti ufficiali. Innanzitutto perché la condizione più che altro di tolleranza dell’insegnamento religioso in tali istituti, o in qualche caso la sua presenza all’interno di una concezione che non lo colloca nel luogo che a esso compete, di per sé deforma lo svilupparsi della mentalità cattolica. Inoltre, come osserva Pio XI, una istruzione religiosa nell’ambiente di una scuola in cui le altre discipline ignorano od operano contro la religione, è assolutamente insufficiente per dare una formazione cattolica a chiunque.
Accettando, poi, la introduzione dell’insegnamento religioso nel curriculum delle materie scolastiche come affermazione di un principio – che l’educazione non può prescindere dalla religione -, i genitori cattolici devono interessarsi diligentemente della formazione religiosa dei loro figli fuori della scuola, in modo tale che essa corregga i mali a cui precedentemente abbiamo fatto allusione. Devono poi impegnarsi in modo speciale contro il monopolio scolastico, affinché siano veramente riconosciuti e rispettati in tutta la loro pienezza i loro diritti alla educazione dei figli, richiedendo che sia favorita e aiutata la scuola privata, di cui possono assumere il controllo, o sulle cui attività almeno possono influire.
È qui opportuno ricordare le osservazioni che faceva Pio XI ai genitori a proposito delle scuole nazional-socialiste: «I genitori coscienziosi e consapevoli della loro missione educativa, hanno prima di ogni altro il diritto essenziale all’educazione dei figli, loro donati da Dio, secondo lo spirito della vera fede e in accordo con i suoi principi e le sue prescrizioni. Leggi, o altre simili disposizioni, le quali non tengono conto nella questione scolastica della volontà dei genitori o la rendono inefficace colle minacce o colla violenza sono in contraddizione col diritto naturale e nella intima essenza immorali. […]: Nessuna potestà terrena può sciogliervi dal vincolo di responsabilità voluto da Dio, che unisce voi con i vostri figli. Nessuno […] potrà rispondere per voi al Giudice eterno, quando Egli vi rivolgerà la domanda: dove sono coloro che io vi ho dati? Possa ciascuno di voi essere in grado di rispondere: non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato (1 Gv. 18, 9)» (4).
RILASSAMENTO DELLA FEDE
Mentre facciamo con voi, amati figli, queste considerazioni, ci si stringe il cuore di fronte alla indifferenza con cui molti cattolici affrontano il problema della educazione delle nuove generazioni. Una buona parte di loro si limita, ed è già molto, a cercare un collegio che abbia l’etichetta cattolica. Evitano di assumere informazioni più esatte e si esimono da qualsiasi altra responsabilità nella faccenda. Donde proviene tanta mancanza di fede?
In buona parte essa deriva dal «comodismo», da cui sono stati contaminati, attraverso il liberalismo della civiltà moderna, impostata sul godimento smodato proprio della società dei consumi. Ma essa procede anche dalla sfiducia nella grazia, in un certo senso più grave.
In realtà, molti di noi pensano che la grazia di Dio si sia rivelata insufficiente a vincere la malizia in cui oggi si trova immerso il mondo. Anche se non lo enunciamo chiaramente, di fatto pensiamo che l’apostasia della società, e conseguentemente degli Stati, sia tanto profonda che ormai non è più possibile parlare del regno sociale di nostro Signore. Sarebbe necessario accontentarci di un modus vivendi, in cui si cerchi di salvare il maggiore numero possibile di anime, cessando tuttavia dal propugnare, anche a lunga scadenza, uno Stato cattolico. Donde l’adattamento di molti, che fanno professione di fede cattolica, alla crescente paganizzazione della società. Il naturalismo li ha condotti a confidare nelle loro forze e a diffidare della grazia. Si preoccupano di dovere tutto realizzare e, constatando la loro incapacità nel vincere il mostro del laicismo, credono che l’unica strada percorribile sia quella delle concessioni.
Il ragionamento che converrebbe loro fare dovrebbe essere un altro. Sentendo da parte loro debolezza e impossibilità di vincere lo spirito moderno, tali persone dovrebbero ritornare alla grazia, certi della sua onnipotenza contro tutti i nemici di Dio.
In occasione del 13º centenario della morte di san Gregorio Magno, san Pio X rilevò che il suo mirabile predecessore si era segnalato specialmente per il suo misconoscimento della prudenza della carne, «sia nella predicazione del Vangelo, sia nelle tante e sí mirabili opere da lui intraprese in sollevamento delle miserie altrui. Egli continuò costantemente quel medesimo che avevano fatto gli Apostoli, i quali, allorché si lanciarono la prima volta nel mondo a portarvi il nome di Cristo, ripetevano il detto: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo pe’ Giudei, stoltezza pe’ Gentili”. Se v’era tempo in cui la prudenza umana, pareva unico spediente ad ottener qualche cosa in un mondo del tutto impreparato a ricevere dottrine, sí nuove, sí ripugnanti alle umane passioni, sí opposte alla civiltà, allora ancor floridissima, dei Greci e dei Romani, certo era quello della prima predicazione della fede» (5).
Amati figli, questa sfiducia nella efficacia della grazia, e l’eccessiva fiducia nelle proprie capacità si presentava già al tempo del divino Maestro. Che cosa altro indica, infatti, l’atteggiamento dei discepoli del Salvatore che giudicarono dure le sue parole e impossibili da seguire? «Durus est hic sermo et quis potest eum audire?» (6). Cosa pretendevano questi discepoli, se non un messaggio cristiano che essi fossero capaci di attuare da soli? Cosa rifiutavano, se non una grazia tanto potente da fare loro superare le loro miserie?
In fondo, quindi, si trattava di trovare un compromesso tra l’austerità del Vangelo predicato da Gesù Cristo e le massime del mondo; insomma, una religione che «comprendesse» le condizioni umane e si «adattasse» alle loro debolezze.
Tuttavia, questi discepoli non ebbero sempre imitatori in tutti i loro atteggiamenti. Non desiderando allinearsi alle norme tracciate dal Salvatore, lo abbandonarono. In futuro, non tutti quelli che avrebbero partecipato del loro orgoglio e della conseguente sfiducia nella grazia, li avrebbero imitati in questo chiaro abbandono. Molti sarebbero rimasti nel seno della Chiesa, per deformarla e creare una Nuova Chiesa, più vicina al mondo, più accessibile alle passioni e perciò stesso inautentica, falsa. Così sono comparse le eresie.
COME NASCONO LE ERESIE
In effetti, secondo un processo normale per la psicologia umana, l’uomo cerca una ragione che legittimi il suo modo di comportarsi. Per mancanza di fiducia nella grazia e a causa dell’intiepidimento della fede, si adatta a una convivenza normale e pacifica con l’errore e il male esistenti nella società, e cerca un principio che giustifichi il suo comportamento e conferisca a esso una specie di coerenza tra quanto fa e quanto pensa.
Tale fenomeno, che sta alla base delle eresie del passato, si trova anche oggi in vari movimenti sorti nel seno della Chiesa, in apparenza generosi, in quanto votati alla conversione di quanti stanno fuori dall’ovile di Cristo. La loro generosità, però, è infetta da «comodismo». Per spianare la strada, ricorrono a una presentazione della morale e della dottrina rivelate, meno spigolosa, se così ci possiamo esprimere, e, perciò, più accessibile agli spiriti abituati a vivere più o meno secondo il gusto delle massime del mondo. In realtà, tali movimenti privano la Rivelazione della chiarezza dei suoi dogmi, e, così facendo, la falsificano: infatti, nella parola di nostro Signore, il sì deve essere sì e il no deve essere no. Quanto diluisce tale precisione viene dal maligno (7).
IMMORTIFICAZIONE
Questi movimenti sono conosciuti proprio per l’azione apostolica che svolgono attraverso il compromesso, che attenua l’austerità tradizionale. In questo modo, indeboliscono i precetti della morale, evitando di insistere su di una vita normalmente seria e austera, e permettendosi libertà che colpiscono le anime, abituate alla immagine del fedele, docile seguace della Scrittura e della Tradizione. Immagine fatta, senza dubbio, di fiducia, ma anche di santo e riverente timore di Dio.
Più per il loro modo di fare che attraverso chiari insegnamenti, tali movimenti inculcano un cristianesimo in cui siano considerate assolutamente normali e senza importanza rilevante la leggerezza dei costumi e la libertà di linguaggio, comuni al mondo paganizzato di oggi. Abbiamo avuto l’opportunità di mettervi in guardia, amati figli, contro le «parolacce», il livellamento sociale, la volgarità dei modi, la irriverenza del tratto verso nostro Signore, che si danno negli ambienti creati dalla ideologia o dallo spirito derivanti dalla letteratura dei Cursillos de Cristiandad (8). Ci risulta che altri movimenti simili soffrono i medesimi difetti.
Tali movimenti sarebbero il ponte tra il cristianesimo e la vita secondo il gusto della sensualità, la capitolazione di fronte alle cattive tendenze della natura ereditate dal peccato originale. Sarebbe l’introduzione di una Chiesa nuova che, nello stesso tempo, non confida nella onnipotenza della grazia – che può fare cadere e rialzare un san Paolo – e svilisce la sublimità della religione di Cristo, per metterla allo stesso livello delle manchevolezze umane.
AUTONOMIA
Una seconda caratteristica di questi movimenti, legata all’orgoglio – l’altra tendenza fondamentale della natura decaduta -, è lo spirito di indipendenza dalla Tradizione. I corifei dei movimenti citati non nascondono la loro tendenza verso un cristianesimo rinnovato; cercano, tuttavia, di convincere i loro simili che alla fine scopriranno sicuramente la vera sostanza del messaggio cristiano, che le esagerazioni tradizionali avrebbero occultato. Sono per ciò stesso contumaci. Infatti, sono loro a possedere il segreto della applicazione della parola del Vangelo ai tempi attuali.
Una identica autonomia mantengono nei confronti della Gerarchia. Molto rispettosi esternamente, cercano – com’era cosa comune sentir dire anni fa – assistenti ecclesiastici che li «capiscano», cioè che accettino la loro posizione.
Assolutamente convinti di possedere una mentalità genuinamente cristiana, non rispondono agli argomenti che vengono loro opposti sulla base della sacra Scrittura e della Tradizione. E… continuano a restare attaccati alle loro idee e al loro proselitismo. Siccome si accorgono che sono ascoltati soltanto se conservano un legame con la Chiesa, fanno appello a qualche approvazione ecclesiastica, di cui non sempre documentano l’esistenza e di cui, quando esiste, si guardano bene dall’approfondire il tenore. Alcuni, come i cosiddetti pentecostali «cattolici», vanno più oltre: confidano in una influenza diretta, più o meno sensibile, dello «Spirito», senza interferenza della Gerarchia.
Tutti questi movimenti, senza giudicare le intenzioni dei loro fautori, si ispirano, di fatto, alla mentalità modernista, le cui norme di azione erano le seguenti: restare dentro la Chiesa, per rinnovarla nel suo interno; nella Chiesa, superare i limiti della Gerarchia per cogliere l’essenza del cristianesimo, che esiste nel subconscio di ogni uomo. Adoperavano la tattica del silenzio sulle pubblicazioni e sugli argomenti a loro contrari, e tentavano di screditare i loro oppositori (9).
L’ANTIDOTO: VIVERE DI FEDE
Vedete, amati figli, come, con simile mentalità, è inammissibile darsi pensiero per la instaurazione della regalità del divino Crocifisso. Essa si rivolta contro l’ambiente sociale, prodotto dal predominio delle passioni suscitate dal peccato originale. La mentalità descritta è tutta impegnata in un compromesso sulla fede, senza rompere con le «conquiste» dell’uomo, in virtù della autonomia che indirettamente gli avrebbe procurato l’assenza della grazia, quando il peccato lo ha ridotto alle sue condizioni naturali.
Come difesa contro l’assimilazione di uno spirito tanto nefasto, diffuso da movimenti di questo tipo, è necessario, amati figli, che ravviviate lo spirito di fede.
Stabilite, anzitutto, nelle vostre intelligenze, il concetto esatto della fede indispensabile alla salvezza, quella senza la quale, dice san Paolo, «non è possibile piacere a Dio» (10). Questa fede è una virtù soprannaturale, infusa da Dio, il cui oggetto sono le verità rivelate. Così la concepisce il Concilio Vaticano I: « Questa fede, che è l’inizio della salvezza umana, la Chiesa la definisce come una virtù soprannaturale con la quale, ispirati e aiutati dalla grazia di Dio, crediamo che sono vere le cose da Lui rivelate, non in virtù della intrinseca evidenza percepita con il lume della ragione naturale, ma in virtù dell’autorità di Dio rivelante, che non può né ingannarsi, né ingannare» (11).
Così, la condizione fondamentale per appartenere al gregge di Cristo, consiste nell’accettare le verità rivelate, nella loro esatta concezione, come ce le propone la santa Chiesa. Pensare in altro modo, ridurre la fede a un atto di fiducia o a puro sentimento, significa cadere in eresia. Cosicchè ogni movimento, associazione o nucleo di fedeli che intenda essere cattolico, specialmente se indirizzato all’apostolato, alla irradiazione dello spirito di Gesù Cristo nell’ambiente sociale in cui si trova, deve, prima di tutto, mirare a una adesione ferma e meticolosa alla dottrina rivelata; inoltre, deve accettare con umiltà e gratitudine le verità che la bontà divina si è degnata di manifestare all’uomo, come le espone la santa Chiesa, unica Maestra infallibile a cui Dio nostro Signore ha affidato il deposito della sua Rivelazione.
Senza una docile sottomissione della intelligenza a questa verità rivelata, che si curi soprattutto di non deformare in alcun modo quanto Dio si è degnato di manifestare attraverso la sua Chiesa, non vi è cattolicesimo autentico. Vi è soltanto un’apparenza, che può illudere il prossimo e che, per ciò stesso, presenta il pericolo di farlo deviare verso una concezione ugualmente erronea della fede.
Tale atteggiamento, ripetiamo, fondamentale per il cattolico, comporta la sottomissione della persona a una duplice autorità esterna: la verità che è proposta dalla Rivelazione, e la Chiesa che la trasmette.
Per questo, poiché esige la confessione della nostra inferiorità, della nostra limitazione, lo spirito moderno si ribella contro di esso, in nome della ragione e dei diritti dell’uomo. Tale spirito di ribellione anima – benché talvolta in modo subcosciente – i movimenti che abbiamo ricordato. L’antidoto contro la contaminazione di questo spirito si trova nella ubbidienza umile e amorosa al Magistero autentico, con l’accettazione del dogma rivelato, nel senso in cui la Chiesa lo ha sempre insegnato. Senza questa fede, pura, senza riserve, non si è immunizzati contro il virus dell’adattamento al mondo, condannato da san Paolo.
LA VITA SECONDO LA FEDE
Con la stessa docilità, senza avvolgerla nelle sinuosità del nostro amor proprio, dobbiamo intendere e praticare le norme presentate dal divino Maestro, perché regni in noi, e perché siamo elementi efficaci della diffusione del suo regno nelle anime.
«Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua» (12). Questa è la regola aurea, insostituibile. Senza il «rinneghi se stesso», senza l’abnegazione del proprio egoismo, dei nostri gusti, dei nostri desideri, per fare soltanto la volontà di Dio, la santificazione è illusoria, l’apostolato, in realtà, sterile ed esposto al pericolo di fuorviarsi nel senso di un compromesso con il mondo.
Tale rinuncia richiede la mortificazione di tutti i giorni, poiché dobbiamo prendere quotidianamente la croce che nostro Signore ci manda, la croce del compimento esatto dei nostri doveri di stato, della pazienza verso il prossimo e del dominio del rispetto umano.
Questo precetto, compreso nella dimensione della sua verità oggettiva, è incompatibile con le massime del mondo. Soltanto uno spirito di fede, che vive della speranza delle realtà future, che saranno rivelate solo nella eternità, è capace di accettarlo e di proporsi lealmente di viverlo. Ben assimilato, ci mostra come tutti i movimenti che aspirano a instaurare una Nuova Chiesa, più aggiornata ai modi di essere e di comportarsi della società moderna, segnano una pericolosa deviazione dal cammino che conduce alla gloria di Dio e alla salvezza eterna.
LO SPIRITO DEL MONDO
Conveniamo, amati figli, che la tentazione di cercare un accordo tra la dottrina della salvezza e lo spirito del secolo è allettante. A essa ci spinge, oltre la tendenza propria della nostra natura peccaminosa, una falsa carità, frutto di una considerazione naturalistica della esistenza.
Per ciò stesso, il divino Maestro non si stanca di mettere in guardia i suoi discepoli contro una vita secondo i precetti del mondo. Dopo l’ultima cena, nella grande preghiera sacerdotale, Gesù chiede al Padre eterno, in modo speciale, che preservi i suoi dal contagio del secolo (13). E la ragione di questa richiesta sta nel fatto che il mondo è tutto posto sotto l’influsso del maligno (14), dal momento che è costituito dalle attrattive della sensualità, della vanità e dell’orgoglio (15). Nello stesso senso, san Paolo insiste nell’esortarci a fuggire la sollecitazione di conformarci allo spirito di questo secolo (16).
Se, aiutati dalla preghiera confidente e fervorosa, ci manterremo fedeli a questa vigilanza che qui abbiamo sottolineato, Dio nostro Signore avrà pietà di noi e ci concederà la grazia di non irretirci nelle maglie di un apparente, ma falso apostolato. Azione apostolica che, se non rinuncia semplicemente al regno sociale di Gesù Cristo nel mondo di oggi, si conforma a un semi-cristianesimo, concepito come un connubio tra due spiriti opposti: l’austerità cristiana e i vaneggiamenti della vita moderna. Il risultato di un simile amalgama potrà essere soltanto la nausea di cui parla l’Apocalisse (17) e che provoca la riprovazione del Signore.
Amati figli, nell’enciclica Immortale Dei Leone XIII fa eco agli ammonimenti di Gesù Cristo, richiamando l’attenzione di coloro che si dedicano all’apostolato della diffusione del regno di Dio nella società su due pericoli che li circondano: la connivenza con le opinioni false e una resistenza meno energica di quella richiesta dalla verità.
Evitiamo, quindi, amati figli, che la nostra carità degeneri in appoggio all’errore o al vizio. E la nostra pazienza non sia mai un incentivo alla perseveranza nel male.
PREGHIERA
«Sine me nihil potestis facere», «Senza di me non potete far nulla» (18). L’unione con Gesù Cristo, amati figli, affinché regni in noi e noi siamo crociati al servizio della sua regalità, è assolutamente necessaria.
Questo vincolo con il Redentore dell’umanità, frutto della grazia, è alimentato e intensificato dal ricevere i santi sacramenti e dall’esercizio delle virtù cristiane, specialmente da quello della carità, che ci induce a evitare, nella nostra vita, tutto quanto sia sgradito a Dio nostro Signore, e ravviva in noi il reale interesse per il nostro prossimo, soprattutto per la sua santificazione.
Mezzo indispensabile per conservare l’unione con Gesù Cristo e lo zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, come pure l’efficacia del nostro apostolato, è la preghiera, strumento sovrano che il Salvatore divino ci ha lasciato per ottenere tutti i favori del cielo.
Vi esortiamo, quindi, amati figli, a impiegare sempre quest’arma efficacissima per la instaurazione del regno di Gesù Cristo sulla terra, prima in voi stessi, poi nella società in cui vivete. «Domandate e riceverete» (19), ha detto la Parola infallibile, che può compiere e compie quanto promette. Se il nostro Pater, tuttavia, non è integralmente cattolico come dovrebbe essere, la colpa, in gran parte, è nostra. Se pregassimo con fede e con fiducia, certamente ci saremmo santificati e saremmo stati ascoltati. Pregate, quindi, amati figli, pregate con una volontà ardente di ricevere quanto chiedete.
La preghiera è tanto necessaria, che Gesù stesso ci ha insegnato a pregare. Ha composto per noi la più bella e la più completa delle orazioni: il Padre nostro. È la preghiera che dobbiamo dire tutti i giorni. Infatti in essa chiediamo precisamente la grazia che venga per noi il regno di Dio. Che cosa altro supplichiamo, in effetti, nella seconda petizione del Padre nostro, se non che venga per noi il regno di Dio, «venga il tuo regno» (20)? Suvvia, recitiamo il Padre nostro con fervore, pensando bene a quanto chiediamo, e implorando con volontà ardente di vederne la realizzazione: «venga il tuo regno!». Ci possono mancare tutti gli altri mezzi per diffondere il regno di Gesù Cristo: scienza, salute, attrattiva personale, capacità di trascinare le moltitudini, tutto insomma; ma il mezzo della preghiera non ci manca mai. Ed è quello indispensabile: gli altri, senza di esso, sono inefficaci. Inoltre, per mezzo della preghiera, otteniamo anche la capacità di svolgere l’apostolato che, secondo i disegni della Provvidenza, ci spetta realizzare. Ora, la preghiera si trova alla nostra portata: utilizziamola con il desiderio ardente di essere esauditi. Dio tiene in grande considerazione il fervore dei nostro desiderio, quando gli chiediamo qualche grazia. Chiediamo, quindi, con tutte le forze della nostra anima e la otterremo.
Specialmente se interporremo l’intercessione di colei che è la Mediatrice di tutte le grazie, la Regina del cielo e della terra, Maria santissima, nostra Signora. Affidiamo alle sue cure le nostre ansie e le nostre preoccupazioni. Ed ella, contro ogni speranza umana, «in spe contra spem» (21), farà regnare il suo divino Figlio nel mondo di oggi, compiendo l’amabile e soave promessa, che ha proclamato a Fátima: «Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà!».
Con la nostra cordiale benedizione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, chiediamo alla Vergine santissima, Madre di Dio, che conceda ai nostri carissimi collaboratori e amati figli la perseveranza nell’amore di Gesù Cristo per la gloria di Dio e il bene delle anime.
Data e pubblicata nella nostra città episcopale di Campos, addì 8 dicembre 1976, solennità della Immacolata Concezione della beatissima Vergine Maria.
† ANTONIO, vescovo di Campos
DISPOSIZIONE
Nomine Domini invocato,
comandiamo che questa nostra lettera pastorale sia letta e spiegata ai fedeli, e che un esemplare della medesima sia conservato nell’archivio della parrocchia.
Campos, 8 dicembre 1976
† ANTONIO, vescovo di Campos
NOTE
(1) LEONE XIII, Enciclica Immortale Dei, cit.
(2) Ibidem.
(3) Mt. 13, 33 ss.
(4) PIO XI, Enciclica Mit brennender Sorge, del 4-3-1937.
(5) SAN PIO X, Enciclica Jucunda sane, cit.
(6) «Questo linguaggio è duro, e chi mai può ascoltarlo?», (Gv. 6, 61).
(7) Cfr. Mt. 5, 37.
(8) Cfr. la nostra Carta Pastoral sobre Cursilhos de Cristiandade, 3ª ed., Editôra Vera Cruz, San Paolo 1973.
(9) Cfr. ANTONIO FOGAZZARO, Il santo, e SAN PIO X, Enciclica Pascendi dominici gregis, dell’8-9-1907.
(10) Ebr. 11, 6.
(11) CONCILIO VATICANO I, sess. III, cap. III.
(12) Lc. 9, 23.
(13) Cfr. Gv. 17, 9-15.
(14) Cfr. 1 Gv. 5, 19.
(15) Ibid., 2, 16.
(16) Cfr. Rom. 12, 2.
(17) Cfr. Ap. 3, 16.
(18) Gv. 15, 5.
(19) Ibid. 16, 24.
(20) Mt. 6, 10.
(21) Rom. 4, 18.