2019 Comunicati Senza categoria  23 / 10 / 2019

La messa di Caino

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 77/19 del 23 ottobre 2019, San Teodoro

 

La messa di Caino

In occasione del 50° anniversario dell’introduzione del Novus ordo Missae, il “Centro Librario Sodalitium” ha tradotto e pubblicato il libro di don Anthony Cekada “Frutto del lavoro dell’uomo” (pagg. 418, euro 19,50). https://www.sodalitiumshop.it/epages/106854.sf/fr_FR/?ObjectPath=/Shops/106854/Products/071
Si tratta di un importante studio, accessibile a tutti, sulla nuova messa, rito inconciliabile con la dottrina cattolica. Pubblichiamo la prefazione dell’Autore all’opera originale e all’edizione italiana.

Prefazione dell’Autore

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Iniziai a lavorare a questo libro a soli tredici anni. Era la Prima Domenica di Avvento, il 29 novembre del 1964. Avevo appena terminato di servire la prima Messa offerta nella mia parrocchia secondo le nuove regole stabilite dal Concilio Ecumenico. La “nuova liturgia” (com’era chiamata) mi colpì, sembrandomi strana e un po’ irrispettosa. Non mi piacque.
Esordisco così perché nei circoli tradizionalisti sono ben conosciuto per essere un sedevacantista. Ma, molto tempo prima che lo diventassi, i cambiamenti nella Messa mi avevano comunque lasciato a disagio – e sono questi cambiamenti, e non il sedevacantismo, l’argomento di questo libro.
Da quel primo fatale giorno di novembre in poi, ogni cosa nella liturgia e nella Chiesa iniziò a cadere a pezzi (così appariva ai miei giovani occhi). L’anno successivo, nel settembre del 1965, entrai nel seminario minore e, durante i dodici anni che seguirono fino alla mia ordinazione sacerdotale, osservai da vicino e dall’interno la distruzione della Messa e gli attacchi contro la fede cattolica che seguirono la scia del Vaticano II.
Volli prendere parte alla battaglia sin dal mio primo anno di liceo nel seminario. Mi gettai nello studio dell’organo e della composizione musicale, in modo che potessi avversare ogni tipo di spazzatura musicale (folk, musica popolare, spiritual, brani registrati) che stava iniziando a sostituire la musica sacra durante la Messa. Leggevo libri sulla liturgia, assistevo a conferenze conservatrici e mi abbonavo a pubblicazioni (The Wanderer, Triumph) che denunciavano la desacralizzazione della liturgia e le eresie moderniste, sempre più vicine e invadenti.
Con lo sviluppo delle mie abilità in ambito musicale, cercai impiego presso le parrocchie dove il clero era più conservatore, e dove sarei stato libero di utilizzare esclusivamente musica scritta nello stile tradizionale. Quando la Messa di Paolo VI apparve nel 1969, mi immersi nell’apprendere le nuove regole che apparvero con essa, così che nel mio lavoro da musicista di chiesa fossi in grado di scegliere le opzioni più “tradizionaliste” consentite dal nuovo rito.
Per i primi dieci di quegli anni, credetti (o forse sperai solamente) che le cause della devastazione di cui ero stato testimone dovessero trovarsi non in ciò che il papa e il concilio di fatto prescrivevano e insegnavano, ma piuttosto nelle violazioni alla legge e alle interpretazioni errate dell’insegnamento conciliare, promosse ovunque dai “liberali”. Se i preti avessero soltanto seguito le rubriche della nuova liturgia, conformandosi rigorosamente agli insegnamenti del Vaticano II, la Messa sarebbe stata riverente e la fede sarebbe stata protetta.
 Per me, dunque, la riforma in sé non era il problema; lo erano i neo-modernisti.
Questa convinzione cambiò nel 1975. Nel frattempo, ero diventato un monaco in un monastero conservatore, dove tutte le funzioni liturgiche, inclusa la Messa di Paolo VI, erano celebrate in latino e con il canto gregoriano. Dopo i primi voti, l’ordine mi mandò in Svizzera a studiare in un’antica abbazia che seguiva pratiche liturgiche simili.
Però proprio qui, nel mezzo di tutto il latino, del gregoriano e della perfezione delle rubriche, ci fu la disillusione. Ai giovani monaci, con mio grande stupore, veniva insegnata la stessa teologia modernista che era comune nei seminari americani e, loro stessi, nella Messa conventuale, prendevano la comunione in mano.
Monsignor Lefebvre divenne molto noto poco dopo il mio arrivo in Svizzera. L’abate, che godeva, all’interno dell’ordine, di una reputazione di studioso conservatore della liturgia, condannò l’arcivescovo per la sua “disobbedienza” verso la Nuova Messa e il Concilio. Come modello di vera obbedienza, egli propose, invece, il personaggio immaginario dell’abate nel romanzo di Brian Moore Cattolici, che, obbedendo ai suoi superiori, rinuncia a credere alla transustanziazione e sollecita i suoi monaci a fare lo stesso.
Quella sera, durante la ricreazione, ebbi una discussione infuocata con l’abate (quello vero) riguardo la sua affermazione. Che il capo del monastero più liturgicamente conservatore del mondo, dove tutto era latino e cerimoniale da manuale, potesse veramente dire una cosa del genere, e inoltre mi sembrò una prova d’accusa contro la Nuova Messa. Fu a questo punto che iniziai a pensare che la riforma liturgica in sé, e non semplicemente la sua interpretazione o applicazione, fosse il vero problema.
Poco tempo dopo lasciai l’ordine, e feci in modo di entrare nel seminario di Monsignor Lefebvre a Ecône, in Svizzera. Due anni dopo, egli mi ordinò sacerdote.
Nel 1977 iniziai il mio lavoro come sacerdote, insegnando corsi di liturgia ai seminaristi. Naturalmente, la questione sulla Nuova Messa continuava a tornare a galla. Iniziai a collezionare scritti tradizionalisti sull’argomento, con la speranza di scoprire un lavoro scritto chiaramente e ben documentato che potessi raccomandare ai sacerdoti, seminaristi e laici.
Nel mondo anglofono, la maggior parte della letteratura sulle riforme liturgiche successive al Vaticano II consisteva di pamphlet o brevi libretti. I temi erano generalmente gli stessi: gli abusi liturgici, il carattere protestante del nuovo rito, l’invalidità della nuova formula di consacrazione per il calice, e i difetti più ovvi dell’Ordinario della Messa. Nessuno di questi brevi lavori, dal mio punto di vista, forniva una trattazione adeguata dei molti errori e pericoli contenuti nel nuovo rito.
C’erano comunque poche opere più ampie: Questioning the validity di Patrick Henry Omlor (analizzato nel Capitolo 12), The Great Sacrilege di Padre James Wathen e, naturalmente, Pope Paul’s New Mass di Michael Davies.
Il libro di Davies, 650 pagine pubblicate la prima volta nel 1980, era la più ampia critica alla Nuova Messa tra quelle apparse in lingua inglese e, probabilmente, in qualsiasi altro idioma. Conteneva una gran quantità di materiale interessante (particolarmente sui paralleli tra la Messa post-Vaticano II e il servizio liturgico anglicano), molti commenti taglienti, e molte citazioni incriminate provenienti dall’avanguardia liturgica.
Davies, comunque, aveva tratto gran parte del libro, più o meno in blocco, dai suoi precedenti articoli apparsi su varie pubblicazioni tradizionaliste. Quindi il libro, nell’insieme, appariva debole e non focalizzato. C’erano larghi brani di prosa indignata riguardo gli “abusi liturgici” (violazioni delle norme ufficiali stilate per la Nuova Messa), il classico testo standard tradizionalista che si può scrivere con il pilota automatico. Sebbene Davies criticasse ampiamente il Novus Ordo della Messa in sé e le sue allusioni protestanti, offriva poco sui cambiamenti nel Proprio (le parti variabili) della Nuova Messa o sulle influenze moderniste, evidenti nel rito. La sua conclusione generale era che la Messa di Paolo VI fosse un “ingegnoso compendio di ambiguità”, che dopo 650 pagine non è poi dire un granché.
Pensai di tradurre dal francese La Nouvelle Messe de Paul VI di Arnaldo Xavier Da Silveira. Ma, mentre la prima metà del libro era un’eccellente e concisa trattazione del Novus Ordo Missæ (e, in particolare, dei suoi paralleli con le riforme di Lutero), la seconda metà compiva una lunga digressione con un’ampia analisi sulla questione di un possibile papa eretico. L’autore, inoltre, era affiliato con l’organizzazione conservatrice brasiliana TFP (1) che, avevo sentito, non era più interessata a rendere disponibile il libro (2).
Nel 1981 o 1982, quindi, decisi di scrivere un libro per conto mio, sulla Messa di Paolo VI, ed iniziai radunando del materiale per il progetto. Qualcosa di questo lo incorporai in Welcome to the Traditional Latin Mass, un opuscolo del 1984 (aggiornato quattro volte da allora) che spiegava ai neofiti le differenze fra la “vecchia” e la nuova messa.
Un punto di svolta per il progetto venne con la mia scoperta de La Riforma Liturgica (1948-1975) di Annibale Bugnini, il grande architetto non solo della Messa di Paolo VI, ma anche dell’intera riforma liturgica dal 1948 in poi. L’opera di Bugnini, di 900 pagine, pubblicata la prima volta nel 1983, identificava gli esperti che avevano lavorato ad ogni parte della riforma; questo diede la possibilità di consultare direttamente i loro scritti, per approfondimenti sui perché e i per come di innumerevoli dettagli del rito.
A causa degli impegni pastorali e della necessità di produrre articoli più brevi su una varietà di altri argomenti, il mio lavoro per questo progetto procedette a singhiozzi. Al tempo del mio trasferimento nell’Ohio del sud nel 1989, avevo completato le prime bozze di otto dei quattordici capitoli che seguono. Avevo paura che non avrei mai avuto tempo per portare a compimento ciò che avevo iniziato, così pubblicai parte della ricerca in The Problems with the Prayers of the Modern Mass [edizione italiana: Non si prega più come prima… Le preghiere della Nuova Messa. I problemi che pongono ai cattolici, edizioni CLS Verrua Savoia], un mio studio, del 1991, sulle nuove orazioni, e nell’introduzione alla mia nuova traduzione inglese del 1992 del Breve Esame Critico.
Nel 1995 fui invitato ad insegnare liturgia e diritto canonico a Warren, nel Michigan, presso il Most Holy Trinity Seminary, appena fondato (ora esso si trova a Brooksville, in Florida). Per il ciclo di lezioni sulla liturgia dell’anno accademico 1998-99, preparai un corso di liturgia dei tempi moderni della durata di un anno. Esso incorporava un po’ della mia ricerca, come pure del materiale dall’eccellente Le Mouvement Liturgique, scritto da Padre Didier Bonneterre. Rifinii il materiale per il corso negli anni successivi, per i successivi cicli di lezioni, e, per l’anno 2004-05, creai ciò che poi sarebbe servito come scaletta dettagliata per i tre capitoli aggiuntivi di questo libro.
Nel frattempo, i preti più giovani nell’ambiente del post-Vaticano II iniziavano ad interessarsi al rito antico, e cominciavano ad apparire su libri e periodici pubblicati dalla stampa cattolica più in voga, non solo i commenti critici sugli “abusi”, ma anche sulla versione ufficiale della Messa di Paolo VI. Contribuirono a questo tam tam anche numerosi siti internet e blog.
Dopo l’elezione di Benedetto XVI nell’aprile del 2005, era chiaro che sarebbe stata concesso un permesso ufficiale di usare il rito antico in qualche modo più ampio. Questo avvenne nel luglio del 2007 con il Motu Proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum, che permetteva a qualunque sacerdote di celebrare la Messa secondo il Messale del 1962, l’ultima edizione pubblicata prima che i cambiamenti liturgici del post-Vaticano II fossero introdotti.
Il Motu Proprio non ebbe come risultato quello di far accorrere ovunque i cattolici alla messa antica – il vaticanista John Allen afferma che il tipico gruppo è di dimensione ridotta, ciò che gli italiani chiamano “quattro gatti”. Comunque, il Motu Proprio ha permesso a molte persone di constatare con i propri occhi le spiccate differenze tra il vecchio e nuovo rito, e quindi, forse, cercarne le ragioni.
Nel novembre 2008, quindi, ripresi con zelo la stesura di questo libro, con l’obiettivo di portarla a termine. Un anno più tardi, la Prima Domenica di Avvento del 2009, quaranta anni dopo l’introduzione della Messa di Paolo VI, terminai il capitolo finale.
Incidentalmente, erano anche quarantacinque anni da quel giorno del 1964 quando, per la prima volta, iniziai a domandarmi perché la nuova liturgia fosse così inquietante. Possa questo libro aiutare gli altri cattolici a trovare la risposta almeno un po’ più velocemente.
Rev. Antony. Cekada, West Chester, Ohio
4 dicembre 2009, S. Pietro Crisologo
Note
1) Tradição, Família e Propriedade, Tradizione Famiglia Proprietà, sigla che si riferisce a diverse associazioni tradizionaliste di ispirazione cattolica, distinte su base nazionale. Nata nel 1960 in Brasile ad opera di Plinio Corrêa de Oliveira e diffusa soprattutto in America latina, Stati Uniti ed Europa [NdT].
2) Il testo, in portoghese, è del 1970. Fu stampato in traduzione francese nel 1975 dalla Diffusion de la Pensée française col titolo: La nouvelle messe de Paul VI. Qu’en penser? La vendita al pubblico francese fu però ritardata a lungo su domanda della TFP [NdT, tratto da una nota apparsa sulla rivista Sodalitium, n. 56, settembre 2003].
Prefazione dell’Autore all’edizione italiana
Come ho evidenziato nella prefazione all’edizione originale inglese di Work of Human Hands, ho deciso di scrivere questo libro perché risultava impossibile trovare, in qualsiasi lingua, un’opera che trattasse sistematicamente e in modo completo i principali problemi teologici presentati dalla Messa di Paolo VI. Mi ha fatto quindi piacere sapere del progetto di tradurre il mio libro in italiano. Perché mentre l’inglese può essere diventato una sorta di lingua franca per questioni di commercio e relazioni internazionali, l’italiano occuperà sempre un posto di rilievo nelle discussioni sulla liturgia romana.
L’ho scoperto quasi subito, quando ho iniziato la mia ricerca per questo libro. Le principali figure che hanno creato le “riforme” post-conciliari hanno scritto soprattutto in italiano. Questo per me ha rappresentato un problema. Da bambino avevo sempre desiderato imparare l’italiano, dal momento che mia madre, la cui famiglia era toscana, parlava la lingua, ma non ne ho mai avuto l’opportunità.
Quando ho approcciato per la prima volta La Riforma Liturgica (1948-1975) di Bugnini, scritta in italiano, mi disperai, perché mi era stato detto dalla principale casa editrice liturgica negli Stati Uniti che il testo non sarebbe mai stato tradotto in inglese, trattandosi di un’opera troppo specializzata. Ma poi ho deciso di imparare a leggere l’italiano, ho acquistato grammatiche e dizionari e ho faticato per due anni per decifrare il libro di Bugnini e riassumere in inglese il materiale più importante.
Mi sono rallegrato quando ho finito di annotare le ultime pagine: avevo concluso due anni di sforzi! Ora sarebbe stato facile incorporare nel mio studio tutte le informazioni incriminanti fornite da Bugnini.
Poco dopo, è arrivata per posta una brochure pubblicitaria colorata e splendidamente stampata: “Ora in inglese: La Riforma Liturgica (1948-1975) di Annibale Bugnini”.
Ahimè, avrei preferito imparare l’italiano da mia madre piuttosto che da Bugnini …
Quindi, con la pubblicazione di questa edizione italiana di Work of Human Hands, Frutto del lavoro dell’uomo, mi scuso con tutti gli studenti di liturgia che hanno intrapreso un progetto simile e dovranno dire “ho imparato l’inglese da Cekada”!
Sono molto grato a Sodalitium e all’Istituto Mater Boni Consilii per i loro sforzi volti a portare a termine questo progetto. Spero sinceramente che questa traduzione contribuisca a una fruttuosa discussione sulle problematiche della riforma liturgica ovunque si parli la bella lingua italiana!
Rev. Anthony Cekada, West Chester, Ohio
8 luglio 2019