La leggenda di Betlem
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 97/24 del 23 dicembre 2024, Santa Vittoria
La leggenda di Betlem
Nel dicembre 1942, quando moltissime nazioni erano sprofondate nel baratro della guerra, i Padri Francescani di Gerusalemme vollero pubblicare sull’Almanacco per il 1943 (che per motivi legati agli eventi bellici fu pubblicato come numero speciale dell’Eco di Terra Santa) un racconto che univa il Natale e il Giovedì Santo, la Nascita e la Passione di Gesù Cristo. Lo abbiamo scelto, nella sua semplicità e nello stesso tempo profondità, per accompagnare i lettori – immersi in una società apostata che ha paura della pace – al giorno santo in cui celebriamo la Natività dell’unico Salvatore dell’umanità, il Re della Pace . “Pax Christi in regno Christi” (Pio XI).
La leggenda di Betlem
Poetici sono i nomi coi quali è chiamato nelle Sacre Scritture il luogo dove piacque al Divin Verbo farsi carne. È detto Ephrata, cioè pieno di frutti, o più spesso Betlem, che vuol dire in siriaco o siro-caldaico « casa del pane ».
Non meno poetica è la leggenda fiorita intorno al grano di Betlem. L’asilo dove la notte memoranda si rifugiò la SS. Vergine, era uno degli antichi Khans o rifugi per carovane, frequenti in Palestina, grotte naturali o artificiali, provviste di mangiatoie, anch’esse scavate nella dura roccia.
Colà nacque il bambino Gesù, inneggiato dagli Angeli, vegliato da Maria e da Giuseppe, riscaldato dagli animali, adorato dai Pastori.
Or fra la paglia che accolse le tenere membra del Divin Pargoletto, stava, dimenticata al tempo della messe, una bionda spiga di grano. Questa, lietissima del dolce peso, desiderosa di cantarvi soavi canzoni perchè Egli dormisse più tranquillamente, mormorava così : « Mio buon Gesù! Grande è l’onore che mi fate scegliendomi per letto delle vostre carni immacolate. Ma come sarei più felice se potessi nutrirvi di me stessa! Vorrei unirmi con Voi, con Voi trasformarmi o Gesù ! ». E il buon Dio che intende le voci di tutte le creature, ascoltava l’umile preghiera della spiga di grano.
Per quanto la modesta spiga cantò la dolce ninna-nanna al grazioso Bambino? Quante volte espose al Divino infante la sua fervida preghiera ? Non ci è dato conoscere. Ma ben sappiamo che dopo l’adorazione dei Re Magi, quando il feroce Erode ordinò la strage degli Innocenti, l’Angelo avvertì Giuseppe di rifugiarsi ín Egitto. La notte della fuga Maria involse il Bimbo tra le fasce, ma la spiga non abbandonò il Divin Pargoletto, e con le sue reste fortemente si attaccò ai pannolini, volendo seguire Gesù dovunque Egli andasse.
Nelle prime luci del mattino, poco lungi da Betlemme, traversavano il campo di un pio Israelita, Amaleele, semplice e timorato di Dio. Il buon uomo, vedendo i viaggiatori, li salutò cortesemente : « Il Signore sia sempre con voi, vi doni le sue misericordie e vi protegga, e protegga questo amabile fanciullino che voglio augurarmi sia il sospiro dei Patriarchi, l’aspettato delle genti : il desiderio dell’eterne colline ».
« Grazie, rispose la Vergine Santa ; il Signore vi faccia vedere i giorni della Salute ». Poi, scorgendo tra le fasce la spiga dorata, la prese e liberandone i granelli, li fece cadere nei solchi fecondi. « Mio diletto Figliolo, degnati di moltiplicare i grani di questa spiga, e moltiplica pure le tue benedizioni sulla casa di Amaleele ». La spiga, cadendo pregava : « O mio Creatore, fate che io diventi pane per nutrire il vostro Santo Corpo. Deh! che io non mi separi mai più da voi ».
I granelli germogliarono nel buon terreno ed ognuno di essi fiorì e si centuplicò.
L’anno seguente ogni granello fu di nuovo seminato; fiorì a suo tempo e portò il centuplo per uno. Così fu fatto ogni anno nel campo dí Amaleele.
Anche le benedizioni dí Dio si moltiplicarono nella casa di lui, perchè aveva salutato l’aspettato Messia. Egli divenne molto ricco e potente tra i figli d’Israele. Ogni anno nel mese di Nísam, faceva col suo frumento del pane purissimo che portava a Gerusalemme per la festa degli Azimi.
In quel tempo Gesù, chiamati a sè Pietro e Giovanni, che amava a preferenza, disse loro : « Ecco che io fo Pasqua coi miei discepoli; andate e cercate un cenacolo grande e adorno e preparate ciò che è prescritto nella legge : l’agnello, la lattughe agresti, il pane senza lievito… ».
Essi obbedienti si mossero e per via incontrarono un uomo dall’aspetto venerando, che portava del pane fresco e bianchissimo.
« Se vi piace, gli dissero quelli, favoriteci cotesto pane; perchè il Maestro deve fare la Pasqua come sta scritto ».
« Volentieri, rispose il pio Israelita. Prendete, pure quello che occorre, perchè vi conosco apostoli di Gesù di Nazaret. Io sono Amaleele, che ho creduto sempre che Egli è il vero figlio di Dio il Redentore del mondo ».
Attraversata la valle d’Hinnonn, Pietro e Giovanni salirono al monte Sion, e nel Cenacolo si unirono con gli altri discepoli e col Divin Maestro.
Era giunta l’ora dell’amor di Gesù. Egli prese il pane senza lievito e ringraziò l’Eterno sue Padre.
In quell’ istante il grano, divenute pane, cantava misticamente « Grazie, Gesù mio dolce, grazie! Avete ascoltata l’umile mia preghiera e ora vi degnate di scegliermi a nutrire il vostro Santissimo Corpo. Siate benedetto Voi che vi siete ricordato del grano su cui riposaste nella vostra infanzia. Il mio desiderio è quello di unirmi per sempre con Voi, di annullarmi in Voi, perchè io sia trasformato nella vostra Divina Sostanza. Io anelo di offrirmi a Voi in accettevole sacrifizio. Così sia ».
Allora il Maestro, elevati gli occhi al Cielo, benedisse e spezzò il bianchissimo azimo, dicendo : « Questo è il mio corpo ». Il grano tacque, non più parlò, perchè, era transustanziato in Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù.
Il grano di Betlemme divenne così il pane del Cenacolo.
Tratto da: L’Eco d Terra Santa per l’Anno di Grazia 1943 – Anno XXII, Gerusalemme, Tipografia dei P.P. Francescani, pagg. 17-18.