La croce di Iqrit: le radici profonde non gelano
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 1/12 del 2 gennaio 2012, Ss. Nome di Gesù
La croce di Iqrit: le radici profonde non gelano
Il primo comunicato del 2012 vuole ricordare la drammatica situazione in cui vivono i cattolici della Terra Santa, dimenticati dall’Occidente mondialista.
A partire dal 1948 lo stato israeliano ha raso al suolo centinaia di villaggi palestinesi, tra cui diverse decine di villaggi cristiani. Uno di questi era Iqrit, nel nord della Galilea, che fu distrutto dalle truppe sioniste il giorno di Natale del 1951. Furono risparmiati solamente la chiesetta greco-cattolica e il cimitero.
Il 25 dicembre 2011 come ogni anno la popolazione originaria di Iqrit ha partecipato alla funzione di Natale rivendicando il proprio diritto di ricostruire il villaggio. Sulla vicenda di Iqrit segnaliamo due video e un articolo.
1) Il Natale di Iqrit
2) Iqrit, il villaggio fantasma
3) Il villaggio fantasma. Al di là del check point
di Alessandro Belotti
Mentre scrivo sono seduto laddove un tempo sorgeva una scuola. Di quella stessa istituzione scolastica, che tutti abbiamo frequentato nella nostra infanzia, non rimane che un cartello. Mi trovo ad Iqrit, un villaggio arabo-cristiano situato a 25 chilometri da Akko (la gloriosa San Giovanni d’Acri,ndr) e raso al suolo dall’esercito israeliano nel 1951, a pochi anni di distanza dalla fondazione dello Stato di Israele.
Dalla collina su cui si erge la chiesa, unico edificio “graziato” dall’esplosivo israeliano, si vede il Libano, terra verde ma rossa di sangue, analogamente a quella d’Israele. Proprio qui ad Iqrit, coloro che vi abitavano prima dello sgombero forzato e i loro discendenti, si ritrovano una volta al mese per pregare, in quanto la considerano ancora casa loro, sentono che le loro radici appartengono a questo luogo, dove un tempo c’era vita mentre oggi soltanto sassi.
Grazie a loro, il cuore di questo paese pulsa ancora e questa è una di quelle cose che nemmeno la crudeltà umana potrà mai distruggere. Il parroco di Iqrit mentre mi racconta la drammatica storia del villaggio, mi indica da un lato il confine con il Libano e dall’altro il cimitero, l’altro luogo rimasto intatto che è diventato un simbolo assai triste della loro condizione di esuli. “Possiamo tornare qui solo da morti”, mi confida sorridendo mentre i suoi occhi trasudano tristezza. Le sofferenze di questa popolazione sono state indicibili, eppure hanno avuto la forza di andare avanti, di ricostruirsi una vita altrove per assicurare un futuro ai loro figli: non dimenticano, né tantomeno si rassegnano a non veder mai applicata quella giustizia terrena che pur gli aveva dato ragione.
Mi ha colpito molto la determinazione, l’attaccamento alla terra e anche la grande dignità con cui questa gente ha affrontato uno dei drammi peggiori per una popolazione e per qualsiasi essere umano: quello di essere scacciati dalla propria casa. Persino le foto di come si presentava il villaggio prima della sua distruzione sono rare, perchè l’evacuazione è avvenuta in tempi molto rapidi e i soldati avevano assicurato loro che sarebbero potuti tornare dopo solo 15 giorni: sono passati, invece, 60 anni.
Gli abitanti però, non fidandosi solo della parola degli ufficiali dell’esercito israeliano, chiesero che quel patto venisse messo per iscritto: proprio quelle carte hanno costituito una prova inequivocabile nel processo con il quale la popolazione di Iqrit chiedeva il rispetto dei propri dirittti. Nel 1951 infatti, la Corte suprema israeliana riconobbe alla popolazione di Iqrit il diritto a fare ritorno alle proprie case, dopo che, tre anni prima, erano stati scacciati per “motivi di sicurezza”.
Il governo doveva quindi autorizzare gli abitanti a fare ritorno, ma decise di provvedere in altro modo, ovvero autorizzando l’esercito a radere al suolo il villaggio. Iqrit è divenuto un simbolo dei soprusi subiti dai palestinesi dal 1948 ad oggi e il cartello all’entrata del villaggio è esemplificativo in questo senso: “Benvenuti a Iqrit, giustizia per Iqrit”. Non vogliono dimenticare, chiedono soltanto giustizia per quello che gli è stato fatto. E io sono con loro.
Fonte: Genrivista