“Insisti a tempo e controtempo“
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 96/13 del 21 novembre 2013, Presentazione della B. V. Maria
“Insisti a tempo e controtempo“
Editoriale di Opportune Importune n. 27
di don Ugo Carandino
L’epoca in cui viviamo è probabilmente più meritoria di altre, poiché la pratica della virtù comporta maggior impegno e di conseguenza le anime possono sperare in una ricompensa maggiore. Nello stesso tempo è sicuramente più complessa, poiché vi è la sostituzione di tutto ciò che è oggettivo con elementi d’ordine soggettivo. Gli ambienti legati più o meno (spesso meno che più) alla Tradizione della Chiesa, non sfuggono a questa situazione, e quindi se si ragiona secondo categorie arbitrarie anziché secondo la dottrina cattolica, il discernimento tra la verità e l’errore diventa problematico. Per questo motivo ciò che viene scritto sulle nostre pubblicazioni spesso è a priori ritenuto inaccettabile o comunque esagerato, poiché la norma non è più, per l’appunto, l’insegnamento della Chiesa (che noi ci sforziamo di riaffermare), ma una serie di idee confuse, equivoche o errate, magari sostenute in buona fede ma che non aiutano di certo ad affermare l’autentica fede. Premessa doverosa per affrontare l’argomento di questo articolo.
Nel mese di agosto una congregazione religiosa è stata al centro dell’attenzione nel piccolo mondo “tradizionalista”. In quei giorni Jorge M. Bergoglio era appena ritornato dal viaggio in Brasile, dove aveva dato il peggio di sé durante la “Giornata Mondiale della Gioventù”, ribadendo gli errori del Concilio Vaticano II e celebrando i riti secondo la riforma liturgica di Annibale Bugnini e di Giovanni Battista Montini.
Bisogna precisare, per i lettori meno informati sulla vicenda, che la congregazione in questione riconosce come legittimi i documenti conciliari (che sono alla base delle insopportabili esternazioni di Bergoglio) e i libri liturgici che ne conseguono. E più precisamente: i superiori della congregazione, al momento della fondazione, hanno voluto riconoscere il Vaticano II e il “novus ordo missæ” per ottenere il riconoscimento canonico da parte delle “autorità” vaticane e favorire così l’assegnazione di chiese, il reclutamento di vocazioni, gli spazi nella vita ecclesiale delle diocesi.
Si trattò di una scelta gravissima, secondo il principio per nulla evangelico (né tanto meno francescano) del fine (riconoscimento canonico, chiese, “vocazioni”, ecc.) che giustifica i mezzi (accettare il modernismo nelle sue manifestazioni d’ordine dottrinale e liturgico, e soprattutto riconoscere come autorità legittime gli occupanti della Sede Apostolica). Questa scelta di campo sembra sfuggire ai più, eppure si tratta di un aspetto fondamentale: quanti eroici sacerdoti, per non rinunciare alla Fede e alla Messa Romana, e nello stesso tempo rifiutando ogni forma di compromesso (come celebrare i due riti), negli anni ’70 e ’80 preferirono perdere onori e beni terreni.
In alcune persone l’atteggiamento ritenuto rigorista e ingeneroso di Bergoglio nei confronti di questi frati, ha accresciuto la nostalgia per il “pontificato” di Benedetto XVI, come se ci fosse una differenza sostanziale tra i due personaggi. Non dimentichiamo, infatti, che a Ratzinger va attribuita non solo la condivisione, ma addirittura la paternità degli errori conciliari professati da Bergoglio e da coloro che sono in comunione con lui (compresi i suddetti frati e i loro difensori).
Se si considerassero le questioni religiose alla luce della fede, non ci sarebbe troppo da aggiungere, se non quello di constatare che all’interno dello schieramento modernista-conciliare (come in ogni raggruppamento umano) vi sono sensibilità e sfumature diverse: chi si distingue per un’esteriorità di stampo conservatore e chi esibisce un’impronta più progressista; taluni con maggiore affinità con ambienti sociali borghesi e altri più vicini alle “periferie esistenziali”; chi ama officiare il nuovo rito con ricchi paramenti antichi e chi con squallide casule; taluni con maggior dimestichezza con i pizzi e i merletti, altri con le t-shirt, magari raffiguranti Che Guevara.
Divisi da tante cose, ma uniti da tre elementi essenziali: il riconoscimento degli occupanti materiali della Sede Apostolica, la sostituzione della professione cattolica con gli errori modernisti, l’abbandono dell’uso esclusivo del Missale Romanum.
La fede impone una scelta di campo chiara e senza ambiguità, che comporta il rifiuto categorico di tutti gli errori dottrinali, indipendentemente dalle sfumature proprie dei loro sostenitori. È quello che ha fatto una minoranza di cattolici i quali, vincolati dall’insegnamento di tutti i Papi e in particolare dal magistero antimodernista di san Pio X, non sono in comunione con coloro che occupano la sede di Pietro e le sedi episcopali, almeno dal 7 dicembre del 1965 (data della “promulgazione” della dichiarazione Dignitatis humanæ).
Che si tratti dell’austero Paolo VI o dell’istrione Giovanni Paolo II, del cattedratico Benedetto XVI o del “barricadero” Bergoglio/ Francesco, il risultato finale non cambia: tutti questi personaggi hanno attuato e attuano (coi due “papi” possiamo conservare il plurale) il programma denunciato da san Pio X nell’enciclica Pascendi: “tutti penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si spacciano senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima … e fatta audacemente schiera, si gettano su quanto ha di più santo nell’opera di Cristo, non risparmiando la persona stessa del Redentore Divino… non si allontana dal vero chi li ritenga per nemici della Chiesa i più dannosi. Poiché i loro consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; onde è che il pericolo si nasconde quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei”.
Certo, considerati i ripetuti (e ripetitivi) proclami di Bergoglio in cui si sprecano parole come misericordia, tenerezza e perdono, potrebbe stupire la severità riservata a religiosi che, nel tracollo generale della vita consacrata, si distinguono per l’abnegazione e la serietà. Ma forse il problema non è tanto dei settari che, essendo tali, accolgono e confermano nei loro errori i nemici della Chiesa, mentre respingono e condannano chi è più o meno fedele a Cristo (classificato da Bergoglio come “pelagiano”).
Il problema è di coloro – alcuni in buona fede, altri per calcolo umano – che si sono schierati dalla parte sbagliata. Alla luce della Fede Cattolica e del Magistero perenne dei Papi, è inaccettabile accettare “con il religioso ossequio dell’intelletto e della volontà il Concilio Vaticano II, la Riforma Liturgica di Paolo VI, e il magistero post conciliare”. Inaccettabile ma in un certo senso “coerente” all’interno dell’incoerenza che contraddistingue il calderone conciliare.
Molto meno coerenti sono coloro che si sono proclamati difensori d’ufficio di questi frati e che, pur accettando lo stesso Vaticano II, la riforma liturgica e il “magistero” post-conciliare (soprattutto quello di Ratzinger, il più conforme alla descrizione fatta da san Pio X nella “Pascendi” del modernista filosofo, credente e agnostico) biasimano, anche duramente, Bergoglio, ostinandosi però a riconoscerlo come il “papa”, il legittimo successore di Pietro, anzi, scagliandosi con veemenza e sarcasmo contro chi sostiene il contrario.
I consacrati coinvolti nella vicenda sono vittime, come tutti i cattolici, della crisi che colpisce la Chiesa: ma non si può pensare di arginare la crisi che travaglia il Corpo Mistico arrecandogli altre ferite, come la rinuncia alla professione integrale della Fede. È auspicabile da parte di tutti coloro che provano un certo disagio davanti agli errori di Begoglio (ereditati da Ratzinger: le vedove ratzingeriane si rassegnino a questa evidenza) senza però giungere alle doverose conclusioni, che cerchino di approfondire maggiormente l’aspetto dogmatico della crisi. Un aiuto importante può venire dagli studi di un teologo come Padre Guérard des Lauriers, autentico discepolo di san Tommaso d’Aquino, che ha sempre vissuto secondo la virtù della Fede.
La sua fedeltà alla Chiesa e al Papato gli costò prima la perdita della cattedra universitaria alla Lateranense e poi l’incarico di professore al seminario di Ecône; trascorse gli ultimi anni della sua vita abbandonato da molti ma non abbandonò mai Gesù Cristo.
Ostinarsi invece a cercare una (inesistente) continuità di insegnamento tra i Sommi Pontefici, come san Pio X o Pio XII, e colui che sarà invocato tra qualche mese come “san” Giovanni Paolo II (già “beatificato” da Ratzinger), non ha nulla di virtuoso, né di francescano. Anche perché san Francesco d’Assisi baciava il Crocifisso e non le pagine del Corano.