Il Sinedrio
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 30/24 del 26 marzo 2024, San Castolo
Il Sinedrio (articolo pubblicato dall’Almanacco di Terra Santa del 1942)
Era il supremo consesso della nazione giudaica che decideva senza appello nelle cause di maggiore interesse, in materia religiosa e civile nel foro contenzioso come nei veri e propri giudizi criminali. I Membri del Sinedrio, una settantina in tutto, venivano presi dalle tre classi ricordate dai Vangeli : gran sacerdoti, seniori e scribi. I primi, altrove detti principi dei sacerdoti, erano i capi e rappresentanti delle ventiquattro famiglie sacerdotali. Mentre gli scribi erano tutti farisei; esperti conoscitori della Legge godevano non poca influenza nel Gran Consiglio perchè alla Legge appunto ed alla sua interpretazione ed applicazione si riferivano molte questioni. All’appellativo di Seniori occorre dare un significato d’una classe ben distinta dai sacerdoti e dagli scríbi; forse erano i più notabili del popolo, che vengono talvolta chiamati pure, seniori del popolo : dato però che il Sinedrio era un’accolta di carattere eminentemente aristocratico, dobbiamo supporre i seniori uomini anziani, esponenti di nobili famiglie giudaiche.
Il sommo sacerdote
Fungeva, per diritto, da presidente del Sinedrio : a lui aspettava convocarlo, raccogliere i voti, definire ed emanare sentenze. Due sommi sacerdoti vengono ricordati, nei Vangeli, al tempo di N. Signore, di pari autorità ed ufficio : Anna e Caifa. Il primo ebbe la suprema autorità da Quirinio, procuratore romano e la tenne dal 6 al 15 d. C., quando fu deposto da Valerio Grato. Pur deposto, nulla perdette del suo antico potere, anzi neppure il titolo gli venne meno, con aumento dí considerazione e d’ogni buona influenza. Giuseppe Flavio, lo chiamava uno dei più fortunati poichè tutti i suoi cinque figli giunsero alla dignità di sommi sacerdoti; dignità che conseguì pure il suo genero Caifa. Questi nominato da Valerlo Grato, dopo altri tre, in seguito alla deposizione di Anna, era d’indole superba e portato alla violenza, alieno di ogni senso di giustizia e di pietà. Rimase in carica durante tutto il governo di Pilato e venne deposto da Vitelio nell’anno 36.
Competenze
I Romani aveano concesso agli Ebrei di governarsi in piena autonomia per quel che concerneva la religione, il culto, l’osservanza della Legge, gli affari interni della loro nazione. Quindi il Sinedrio aveva completa libertà di giudicare e di condannare, potea spiccare ed eseguire mandati di arresto ed anche infliggere pene corporali, come la flagellazione, detenzione temporanea in carcere. Per quei delitti previsti dalla Legge e colpiti di pena capitale, potea sì pronunciare sentenza di morte, ma per l’esecuzione era necessaria la conferma del Procuratore romano che avea pieno diritto di esaminare le legittimità del verdetto, sia dal punto di vista del diritto ebraico, come da quello del diritto romano. Come rappresentante del potere imperiale, il romano procuratore, avea assoluta potestà di vita e di morte; col dovere di vigilare, secondo le norme di giurisprudenza patria, a che non venissero condannati degli innocenti. Questo diritto di conferma alle sentenze emanate dalle autorità giudaiche, viene attestato esplicitamente dalle parole degli ebrei, tumultuanti al Pretorio, che chiedendo la morte di Gesù dicevano : « A noi non è lecito dar la morte ad alcuno ».
Il processo di Gesù
Davanti al Sinedrio possiamo dividerlo in due atti. La prima parte viene svolta da Anna, uomo subdolo assai ed abbastanza pratico degli intrighi di politica versipelle. A lui, prima di tutti, vien tradotto Gesù, dopo la cattura del Getsemani, ed egli tenta di sottoporlo ad un interrogatorio, per imbastire così la trama del giudizio. Alle domande investigative circa la sua dottrina, i suoi discepoli, Gesù con mitezza e semplicità risponde : « Io ho parlato apertamente al mondo ho sempre insegnato nelle sinagoghe e nel tempio; dove si adunano tutti i Giudici, e non ho detto nulla in segreto. Perché interroghi me? Domanda a quelli che mi hanno udito parlare ; costoro sanno quello che io ho detto ». A tali dichiarazioni così palesi e categoriche v’era poco da ribattere, per venire a capo di qual-che cosa, per altro terreno bisognava dirigere l’interrogatorio. Ma Anna, navigato nella politica, pensò forse che era meglio per lui non assumere responsabilità alcuna in quel processo abbastanza pericoloso. L’abilità sua nel maneggio degli affari, messa in evidenza dallo storico giudaico che lo chiama uno dei più fortunati, in buona parte in questo consisteva : sapersi degli affari scabrosi ben disinteressarsi, immischiarsi il meno possibile nelle faccende e dar da fare agli altri. Legato com’era, rimandò Gesù a Caifa. In questa prima fase di processo, ci sorprende un particolare, nel Vangelo di S. Giovanni : che questi, l’apostolo prediletto, era noto al Sommo Sacerdote e forse ne frequentava pure la casa : segno che Anna aveva saputo molto bene dissimulare col discepolo le sue idee e disposizioni d’animo nei riguardi del Maestro.
Adunanza plenaria
Caifa è il protagonista del secondo atto; colui che aveva consigliato, in pubblica adunanza, di far morire un solo uomo per salvare l’intero popolo. In casa di Caifa erano convenuti, dietro invito ufficiale tutti i membri del Sinedrio; il sommo sacerdote, l’apice del sacerdozio, presiedeva la seduta plenaria; v’erano í seniori del popolo a rappresentare l’aristocrazia; al completo il partito dei farisei e degli scribi, indispensabili perchè periti legali, essi solo potevano attendere che nulla mancasse al processo delle prescrizioni e formalità debite, che il tutto a norma di Legge, procedesse. Le tre classi, forse, mai come questa volta, aveano risposto premurosi e diligenti all’appello del sommo sacerdote : la causa da discutere era di una importanza che non ammettea oscillazione. Quei messeri, tuttavia, erano dominati da una preoccupazione : l’invidia, l’odio e le altre basse passioni li spingevano a dare addosso a Gesù, ma la sentenza che con molta facilità si sarebbe emessa, non era di quelle che non lascino strascichi e conseguenze; non si voleva quindi avere il danno della responsabilità che sarebbe poi gravata sulle loro spalle. Pensarono quindi di presentare a Pilato, che per diritto dovea approvare la sentenza, il reo, condannato per un delitto politico ; sobillatore del popolo. Così avrebbero strappato dal procuratore romano la cosciente approvazione alla loro sentenza di morte. D’altronde, era pure necessario riconoscere colpevole e convincere reo Gesù, nel tribunale giudaico, prima di consegnarlo al braccio romano. Così il giudizio si presentava sotto un duplice aspetto : accusa e condanna per motivi religiosi, delitto civile degno della pena di morte. Sul terreno prettamente religioso, aveano di già preparato dei falsi testimoni, i quali produssero delle frasi pronunciate da Gesù all’indirizzo del Tempio, abilmente trasformate in proposizione scandalosa ed ingiuriosa per il culto e per il Tempio stesso; Gesù avea detto : « Distruggete questo Tempio ed io ve lo riedificherò in tre giorni », alludendo con questo alla sua risurrezione, il segno mirabile che dimostrava la sua divinità e che gli dava diritto di agire come padrone nel Tempio. I falsi testi dicevano : « Io distruggerò questo tempio fatto con la mano dell’uomo e in tre giorni ne costruirò un altro non fatto da mano d’uomo » : Quanta audacia, voler diroccare il Santuario di Jahve ! e pretendere pure di riedificarlo con un miracolo : come se Iddio fosse a disposizione di un fanatico qualsiasi! Blasfema illusione e tentativo sovversivo che gli incauti e i deboli potea suggestionare, abusando della buona fede e credulità del popolo.
L’accusa era buona, il pretesto trovato ben si confacea al duplice miraggio dei giudici; ma quei testimoni non si trovavan d’accordo, non convenivano nel riferire testualmente le autentiche parole, ed i legulei, gli scribi adusati al formalismo delle parole, non poteano concludere nulla di concreto contro Gesù. Chi diceva di un modo e chi riportava il detto d’un’altra maniera. Gesù con dignítà e mitezza taceva.
Le dichiarazioni del Reo
— Sei tu il Cristo? — domanda Caifa, a troncare quelle interminabili discussioni di parole, sperando carpire dalla bocca stessa del reo una risposta compromettente. — Se io ve lo dicessi — risponde Gesù — voi non lo credereste e se vi interrogassi non rispondereste. — Volendo dire che essi, abbastanza edotti delle Sacre Scritture che profetizzavano il Cristo, poteano ben fornire a Gesù degli elementi, base di un ragionamento equanime e sincero, di analisi severa e obbiettíva da cui risultava, la verità : che Egli era il Cristo, il Messia, perchè in lui si consumavano le predizioni messianiche : Gesù era il termine della Legge e dei Profeti. Volle, però, dar loro una breve dimostrazione, un cenno che potea, se l’avessero voluto, evolversi in chiara e solenne apologia messianica. Continuando : « Ma d’ora innanzi — disse — il Figliuol dell’Uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio; veniente colle nubi nel cielo ». Avea già ricordato ai Farisei, col primo verso del salmo 109, che il Messia sarebbe più d’un figlio di David, poichè il Signore dovea invitarlo a sedergli a destra, per quanto, essendo pure uomo, preferiva chiamarsi Figliuol dell’Uomo. Ora faceva allusione alla visione di Daniele : una figura celeste a sembianza di un uomo veniva colle nubi : celeste ed umano predestinato alla gloria della destra di Dio, il Messia. I Sinedristi conoscevano i Salmi, avean letto e commentato Daniele : poteano capire : se erano sinceri e retti doveano, per lo meno, dubitare.
L’ipocrisia d’uno scandalo
Un grido poderoso, come un coro animato da un movimento generale d’indignazione, fece eco alle parole piane ed umili dí Gesù : « — Tu sei dunque il Figlio dí Dio? ». Il Signore senza esitare, con regale franchezza, quasi per prendere atto della involontaria confessione di quei cattivi giudici, rispose : « Voi lo dite : effettivamente lo sono! » Affermazione blasfema, agli occhi degli ipocriti sinedristí. « Che bisogno più abbiamo di testimoni? L’avete udito disse il Sommo Sacerdote —sentenziate ». Ad esprimere l’orrore e l’esecrazione per l’orrenda bestemmia, Caífa si alza, finge un furore religioso e secondo le forme rituali si straccia le vesti. Altra forma dell’ipocrisia giudaica cui il Signore ben a proposito ammoniva, per bocca dei profeti : Scindíte corda vestra et non vestimenta vestra! Non restava che raccogliere i voti : tutti condannarono Gesù, reo di morte per delitto di bestemmia.
Tratto da: Almanacco di Terra Santa per l’Anno di Grazia 1942 – Anno XXi, Tipografia dei P.P. Francescani, Gerusalemme, pagg. 42-44.