Il referendum elvetico sull’immigrazione
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 19/14 del 14 febbraio 2014, San Valentino
Nessun disastro all’orizzonte dopo il voto di domenica
Alfonso Tuor
Autorità politiche e mass media sembrano invitare gli svizzeri a pentirsi per le conseguenze del voto sui rapporti con Bruxelles, ma anche l’UE ha bisogno della Svizzera
Autorità politiche e mass media sembrano invitare la popolazione a pentirsi del sì all’iniziativa dell’UDC contro l’immigrazione di massa per le conseguenze negative nei rapporti tra il nostro Paese e l’Unione Europea. Sembra quasi che si equipari la maggioranza dell’elettorato a un monello che ha compiuto un gesto riprovevole del quale deve scusarsi. Indubbiamente il voto del popolo elvetico non sarà privo di conseguenze, ma non è nemmeno foriero di quel disastro che alcuni paventano.
La reazione europea è stata immediata e pesante. Non poteva essere che così. Infatti il voto svizzero mette il coltello in una piaga sempre più aperta e sanguinante: il crescente disincanto di una gran parte della popolazione europea nei confronti delle istituzioni europee. L’Unione Europea, che per molti doveva essere il nucleo dei futuri Stati Uniti di Europa, è diventata un’istituzione burocratica, priva di legittimità popolare, che emana regole, spesso incomprensibili, che intaccano il benessere della popolazione. La moneta unica europea, che avrebbe dovuto garantire al Vecchio Continente un avvenire radioso e la possibilità di giocare alla pari con gli altri giganti del mondo (dagli Stati Uniti alla Cina fino all’India) si sta rivelando uno strumento attraverso cui si riduce ulteriormente la sovranità dei singoli Stati e uno strumento per imporre politiche economiche di austerità che hanno ridotto drasticamente il tenore di vita dei popoli dei Paesi del Mediterraneo. L’Unione Europea e l’euro sono diventati sempre più i mezzi attraverso cui attuare politiche liberiste, volute dalla grande finanza e dalle grandi multinazionali, che stanno alterando lo stato sociale europeo, che era e dovrebbe essere la caratteristica saliente del Vecchio Continente.
A tre mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, che si terranno in un ambiente di crescente insofferenza nei confronti delle politiche di Bruxelles, la Commissione europea e i leader del Vecchio Continente non potevano che alzare la voce contro “l’impertinente discolo” elvetico, che ha osato rimettere in discussione un cardine della politica europea. Queste reazioni a caldo e dettate dalle contingenze non devono comunque allarmare. Anche la decisione di sospendere le trattative sull’allargamento alla Svizzera del mercato dell’elettricità non devono preoccupare oltre misura.
Gli spazi di trattativa esistono e i tempi per condurre queste trattative sono addirittura di tre anni. Quindi, nulla è compromesso e tutto dipenderà dalla capacità negoziale delle nostre autorità. Infatti la Svizzera non si presenta a queste trattative a mani vuote. E’ vero che il 57% delle esportazioni elvetiche vengono assorbite dai Paesi dell’UE, ma è anche vero che la Svizzera rappresenta il terzo mercato di sbocco del loro export. E’ vero che il territorio elvetico è una via di transito fondamentale per il commercio tra i Paesi europei. E’ anche vero che le reti di trasporto dell’elettricità sono fondamentali per far giungere in Italia l’energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari francesi. E si potrebbe continuare di questo passo per sostenere che la continuazione degli scambi commerciali e il mantenimento di buone relazioni non è solo interesse della Svizzera, ma anche dell’Unione Europea. Quindi esistono ampi margini di manovra per condurre felicemente in porto questi negoziati, tanto più che la Svizzera può ricordare che non vi è altro Paese europeo che ha visto negli ultimi anni un afflusso di immigrati pari all’1% della propria popolazione.
Vi sono comunque due pericoli. Il primo è non cedere alle pressioni di Bruxelles chiaramente miranti ad infliggere un’esemplare punizione alla Svizzera che funga da monito contro quei Paesi che rivendicano eccezioni proprio sulla libera circolazione delle persone, come la Gran Bretagna. Esiste – occorre ammetterlo – una scadenza che complica il tutto, ossia la data del prossimo primo luglio, che dovrebbe coincidere con l’allargamento della libera circolazione alla Croazia. Il Consiglio federale ha già dichiarato che dopo il voto di domenica scorsa non può firmare questo accordo. Il secondo pericolo riguarda i termini stessi dell’iniziativa che è molto generica nella definizione dei contingenti. Non è dunque da escludere che essi vengano calcolati in un modo tale per compiacere Bruxelles da corrispondere di fatto alla libera circolazione delle persone.
In conclusione, nessuna catastrofe si staglia all’orizzonte e quindi non vi è motivo di avere paura. Noi abbiamo bisogno del mercato europeo, ma anche l’Europa ha bisogno della piccola Svizzera. Il vero timore concerne le capacità negoziali del Consiglio federale, anche perché la gestione della questione del segreto bancario non induce all’ottimismo.