Il pittore dell’Ausiliatrice
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 50/18 del 24 maggio 2018, Maria Ausiliatrice
Il pittore dell’Ausiliatrice
La vediamo con i suoi occhi. Tommaso Lorenzone, il pittore dell’Ausiliatrice
«Osservi com’è bella! Non è opera mia, no. Non sono io che dipingo. C’è un’altra mano che guida la mia. Dica a don Bosco che il quadro sarà bellissimo».
Nei primi mesi del 1865, il pensiero di don Bosco è assorbito dal grande quadro di Maria Ausiliatrice che dovrà campeggiare nel santuario. Ne affida l’esecuzione al pittore Lorenzone, e cerca di comunicargli tutto ciò che «vuole vedere» in quel quadro:
«In alto Maria SS. tra gli Angeli, intorno a lei gli apostoli, i profeti, le vergini, i confessori. Nella parte inferiore i popoli delle varie parti del mondo che tendono le mani verso di lei e chiedono aiuto».
Lorenzone lo lascia finire, poi: «E questo quadro dove vuole metterlo?»
«Nella nuova chiesa».
«E crede che ci starà? E dove trovare la sala per dipingerlo? Per trovare uno spazio adatto alle dimensioni che lei si immagina, ci vorrebbe piazza Castello!»
Don Bosco dovette riconoscere che il pittore aveva ragione. Fu quindi deciso che attorno alla Madonna si sarebbero dipinti soltanto gli apostoli e gli evangelisti. Ai piedi del quadro sarebbe stato raffigurato l’oratorio.
Lorenzone prese in affitto un altissimo salone di Palazzo Madama e iniziò il lavoro. Sarebbe durato circa tre anni.
Riuscì a dare al volto di Maria Ausiliatrice un’espressione materna e dolcissima. Un prete dell’oratorio raccontava:
«Un giorno entrai nel suo studio per vedere il quadro. Lorenzone stava sulla scaletta, dando le ultime pennellate al volto di Maria. Non si volse al rumore che feci entrando, continuò il suo lavoro. Di lì a poco scese e si mise a osservare. A un tratto si accorse della mia presenza, mi prese per un braccio e mi condusse in un punto di piena luce: “Osservi com’è bella!” mi disse. “Non è opera mia, no. Non sono io che dipingo. C’è un’altra mano che guida la mia. Dica a don Bosco che il quadro sarà bellissimo”. Era entusiasmato oltre ogni dire. Quindi si rimise al lavoro».
Quando il quadro fu portato nel santuario, ricordavano i testimoni, e sollevato al suo posto, Lorenzone cadde in ginocchio e si mise a piangere come un bambino.
Un buon pittore
Il pittore Tommaso Lorenzone era nato a Pancalieri (TO) il 13 febbraio 1824; studiò all’Accademia Albertina e si distinse come prolifico produttore soprattutto di quadri a soggetto sacro, di grandi e piccole pale d’altare. Nelle sue opere giovanili sono da apprezzare la fantasia e la freschezza del colore; in questo periodo della sua attività artistica è molto legato agli ambienti dell’Accademia di Torino, in un giro di committenze prestigiose per ritratti dei Savoia e di nobili famiglie torinesi, con varietà di soggetti che in seguito saranno assorbiti dalla sola arte sacra. Appartengono a questo periodo le pale d’altare per le chiese torinesi di San Francesco da Paola e di San Gaetano.
Si può, per certi aspetti, collegare la poetica del Lorenzone alla corrente pittorica dei nazareni, forse conosciuta grazie alla divulgazione fatta dal pittore Tommaso Minardi e alle riproduzioni a stampa che di certo circolavano tra i pittori piemontesi. “Il loro credo era la preferenza per il medioevo, l’accettazione del rinascimento fino alle opere giovanili di Raffaello, lo studio della natura, l’impegno etico-religioso”. Di fatto il Lorenzone, sia nella disposizione delle figure delle sue composizioni, sovente a sviluppo piramidale, sia nelle forme e nella purezza del colore si rifà alla pittura della fine del Quattrocento inizio Cinquecento.
Il Lorenzone fu appagato nelle sue aspirazioni. L’arte sacra che produsse, se appare valida dal punto di vista della funzione devozionale, resta caratterizzata esteticamente dall’`handicap´ del risaputo, dello scontato. L’effetto religioso è soddisfacente, ma prodotto da una forma artistica datata avendo risalito i secoli anche se con le migliori intenzioni.
Morì a Torino nel 1901.
Una “divota impressione”
A Torino-Valdocco si conserva un disegno preparatorio del dipinto dell’Ausiliatrice per l’altare maggiore e nella rassegna degli oggetti delle Camerette di don Bosco è conservato un bozzetto autografo dello stesso dipinto. La prima fase dell’elaborazione del progetto iconografico fu laboriosa. Una cosa decise don Bosco: “A piedi del quadro, sotto la gloria della Madonna, si porrebbe la casa dell’Oratorio”. Quest’ultima osservazione è interessante per la consapevolezza che don Bosco aveva circa la sua opera a Valdocco: era “convinto di una investitura particolare di Dio a favore della redenzione della gioventù”. Non più dunque gli “emblemi delle grandi vittorie di Maria e i popoli (…) in atto di alzar le mani”, ma l’Oratorio e con essa la moltitudine dei giovani assistiti, quasi a porre l’accento sul fatto che l’opera da lui iniziata era una vittoria di Maria e i giovani assistiti surrogavano “i popoli delle varie parti del mondo”.
Il dipinto ebbe un’accoglienza a dir poco entusiastica; come ebbe a scrivere lo stesso don Bosco, il quadro dell’Ausiliatrice, ultimato nel 1868, è “… lavoro (…) ben espresso, proporzionato, naturale; ma il pregio che non mai perderà è l’idea religiosa che genera una divota impressione nel cuore di chiunque la rimiri”.
Pur condividendo il giudizio di chi valuta il “lavoro costruito in modo estremamente razionale, secondo l’uso accademico dell’Ottocento, tipico soprattutto della pittura sacra”, nel dipinto dell’Ausiliatrice è giustamente da apprezzare la spiccata bellezza della figura della Madonna su cui il pittore si è soffermato con comprensibile e particolare compiacenza. Discretamente ben riuscite paiono, d’altra parte, le figure degli apostoli, in abiti all’antica (nell’accezione che si poteva dare alla nozione alla metà dell’Ottocento). Certo “non ci troviamo di fronte a una genialità artistica superiore, libera e spregiudicata; l’ideale di Lorenzone era quello di un’ortodossia formale, forse ancora più canonica di quella di don Bosco, in virtù della quale egli era tanto apprezzato come artista del sacro”, tuttavia sono da lodare la consumata abilità compositiva e la capacità di coinvolgere affettivamente il devoto così come era nell’intenzione del committente.
La collocazione di un riferimento topografico, in basso nella composizione (in questo caso dell’edificio dell’oratorio), è un espediente caro al Lorenzone che lo userà pure nella pala di san Giuseppe, per la medesima chiesa e per la pala della beata Caterina da Racconigi nella collegiata di San Lorenzo a Giaveno, dove raffigurerà il castello di Racconigi.
La Santa Famiglia
Nel 1873 il Lorenzone terminava la seconda commessa per don Bosco: la pala per l’altare del braccio sinistro con San Giuseppe e la Santa Famiglia di Nazaret. La tela è al centro di un piccolo giallo: don Bosco nel 1868, nel suo Meraviglie della Madre di Dio, invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice, descrive il lavoro come se fosse già collocato al suo posto sopra l’altare, mentre in una lettera del 14 ottobre 1873 a don Rua scrive: “Tra D. Cagliero e D. Savio pensate al quadro di S. Giuseppe che è presso al Sig. Lorenzone finito, e non manca più che della cornice poi si metta a posto”. Le Memorie Biografiche rettificano l’espressione di don Bosco: “Nella crociera di sinistra àvvi l’altare che sarà dedicato a S. Giuseppe; ma il quadro non era ancora sul posto, l’artista Tommaso Lorenzone lavorava a dipingerlo. Esso avrebbe rappresentata la Sacra Famiglia. La composizione era simbolica ed eccone il disegno. S. Giuseppe è in piedi sopra una nuvola, portando sul braccio sinistro il Bambino Gesù, il quale tiene sulle ginocchia un panierino pieno di rose: Il Bambino piglia le rose e le dà a S. Giuseppe e questi man mano le fa piovere sulla chiesa di Maria Ausiliatrice che vedesi di sotto ed ha per sfondo le colline di Superga”. Certamente quella del santo è stata una gherminella adottata per dare l’idea ai devoti dell’Ausiliatrice, e ai suoi benefattori, di una chiesa oramai completata se non in tutte le sue parti, almeno nell’arredo essenziale. Come poteva descrivere il quadro nel 68 se è stato terminato nel 73?
La descrizione del dipinto era stata possibile grazie ad un bozzetto dimostrativo che il Lorenzone aveva approntato prima dell’esecuzione della pala. Il piccolo dipinto (cm 27,5×48) è stato di recente individuato in una collezione privata astigiana. Da poco restaurato, è in buone condizioni di conservazione; non si conosce quale sia stato l’iter che lo ha condotto dallo studio del pittore al mercato antiquariale e da qui al collezionista. È stato agevole attribuirlo al Lorenzone, vista l’evidente parentela con l’opera definitiva; comunque sia, sul telaio compare la scritta “Carlo Morgari”, a meno che non sia una nota di possesso da parte di questo pittore piemontese, la nota dimostra che l’attribuzione non è sempre stata così pacifica. Il piccolo lavoro non presenta sostanziali varianti rispetto al prodotto finale. Nel quadro definitivo, le figure sono più voluminose e l’angelo di sinistra presenta un panneggio leggermente più abbondante, con uno svolazzo di tessuto dietro le spalle. L’altare di san Giuseppe fu inaugurato il 26 aprile 1874.