Il martirio dei sacerdoti nella guerra civile italiana
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 46/14 del 7 maggio 2014, Solennità di San Giuseppe
Pubblichiamo alcuni estratti dell’articolo Le atrocità partigiane in Italia di Alberto Fornaciari, pubblicato dal Centro Culturale San Giorgio. Per leggere il testo completo, cliccare qui
Premessa
Non sono uno scrittore, non ho velleità e non ho ambizioni di alcun genere; sono solo orgoglioso della libertà che ritengo di possedere e che mi fà parlare di quello che pochi hanno avuto il coraggio di dire sulle terrificanti verità della guerra civile in Italia. Voglio parlare delle vittime, di quelle per le quali non sono state installate lapidi di marmo, non sono stati alzati monumenti alla loro memoria e non sono state dedicate strade, piazze e scuole. Intendo parlare delle vite spezzate dalla ferocia dei partigiani comunisti nella nostra terra emiliana. Dopo l’8 settembre 1943, i comunisti hanno combattuto una loro «guerra privata» con scopi e finalità ben diversi da quelli che avevano animato i partigiani delle altre formazioni antifasciste, applicando, con disumana ferocia, una tecnica della guerra civile che è costata agli italiani e agli stessi antifascisti non comunisti un numero spaventosamente alto di vittime innocenti. Perché ho scritto queste pagine? Non certo per rinfocolare odî e rancori. Sono cattolico credente, cresciuto nell’Azione Cattolica; predico, nel limite delle mie possibilità, il perdono e l’amore. Sono contro tutte le guerre e tutte le violenze, ma credo sia giusto che anche queste vittime siano ricordate; ci sono ancora genitori e figli che piangono i loro cari dei quali era proibito parlare. I giovani non sanno e non hanno visto le barbarie della guerra. Ho parlato con un insegnante di cultura civica; insegna in una scuola professionale ed è dirigente di partito. È nato dopo la guerra, e non conosce, se non in parte, i fatti accaduti in quel periodo doloroso. Non ha avuto materiale per documentarsi; i tanti libri scritti sulla guerra civile sono di parte, distorcono la verità e tacciono su tanti episodi. Visione e interpretazione dei fatti sono solo di ispirazione partigiana. Debbo dare atto al senatore Giorgio Pisanò (1924-1997), che pur essendosi trovato dalla parte che ha perduto, nella sua Storia della guerra civile in Italia (1943-1945), presenta, elenca e documenta i fatti e i misfatti compiuti da entrambe le parti in lotta; credo sia uno dei pochi, se non l’unico in Italia, ad averlo fatto. A questa sua fatica attingerò in parte per il mio modesto lavoro. (…)
Emilia Romagna: 10.000 massacrati
Questo è il sanguinoso bilancio delle giornate che videro la fine della guerra civile in Emilia. Le stragi volute, organizzate ed eseguite da uomini del Partito Comunista portarono a 3.000 i massacrati nel bolognese, 2.000 nel reggiano, 2.000 nel modenese, 1.300 nel ferrarese, 600 nella provincia di Piacenza, 500 in quella di Ravenna, 200 nel forlivese e 600 nel parmense. Mentre in Piemonte e in Lombardia, la strage infuriò per pochi giorni, esaurendosi entro il mese di maggio, e mentre nella Venezia-Giulia la barbara ondata slava durò praticamente quaranta giorni e si arrestò allorché Trieste e Gorizia passarono sotto il controllo anglo-americano, la regione emiliana venne funestata ancora per lunghi mesi da atroci fatti di sangue. Causa principale di questo fenomeno fu la presenza, nella regione, di centinaia di vecchi esponenti comunisti. Con l’arrivo degli americani a Bologna, gli enti locali, i sindacati, le cooperative, gli organi di polizia, tutto passò nelle mani di uomini di fiducia del Partito Comunista. La conseguenza fu che il terrore, di pretta marca bolscevica, si abbatté sulle popolazioni. Antichi rancori, vendette personali e odio politico si fusero esplodendo in un’atroce, incredibile e inarrestabile catena di omicidi, stragi collettive e angherie senza nome. Nel modenese ebbe il suo epicentro nel «Triangolo della morte», cioè nella zona compresa tra i centri di Castelfranco Emiliano e Spilamberto nel modenese, e San Giovanni in Persiceto nel bolognese. «Nella provincia di Modena, i partigiani comunisti, arrestati e processati per omicidi e reati comuni, furono più di seicento. Molti furono condannati e finirono in galera. Moltissimi ripararono a Praga, tramite l’ufficio espatri clandestini della federazione comunista modenese» (…)
Sacerdoti seviziati e trucidati
Nei tristi mesi che precedettero e seguirono la liberazione, vari sacerdoti della nostra diocesi pagarono con il sacrificio della vita l’assurdità di una situazione dove l’odio dava la mano al tradimento e l’omertà alla paura. Così muoiono i preti, i ministri di Dio. Come il parroco di Crocette, un’assolata frazione di un migliaio di anime, a 3,5 km da Pavullo (Modena). A Crocette, don Luigi Lenzini, sessantenne, c’era da molto tempo e lo consideravano tutti per la sua parola decisa e il suo dire pane al pane e vino al vino. Tipo chiaro e nodoso, come certi quercioli che non piegano a nessun vento. Tardissimo – saranno state le 2,00 dopo mezzanotte – sentì bussare alla porta e andò alla finestra in camicia da notte. Gli dissero di scendere che avevano bisogno. Voci sconosciute e indistinte. Si scusò di non poter scendere per la vecchiaia e l’ora tardissima. Ma quelli non si diedero per vinti. Dopo aver insistito invano, si buttarono contro la porta della canonica; poi sfondarono una finestra ed entrarono. Quanti erano? Due o tre? Don Lenzini, che aveva intuito subito tutto, cercò di sgusciare per la canonica nella chiesa e si appiattì dietro l’altare maggiore. Ma qualcuno era pratico di tutto. Lo presero. «Lasciate almeno che mi vada a vestire». Niente! Lo trascinarono via com’era, in camicia. Il venerando sacerdote si raccomandava e qualcuno pare abbia udito i suoi lamenti nella notte. Fuori era caldo. Si allontanarono dal paese e lo spinsero a calci e urtoni in una vigna vicina. Lì lo sottoposero a torture che qui non abbiamo il coraggio di descrivere: il pudore ce lo impedisce. Poi gli levarono gli occhi e lo seppellirono, dopo averlo strangolato. Nella tragica vigna si vedeva una testa che emergeva dal terriccio smosso. Qualche giorno dopo se ne accorsero tutti e alcune persone pietose gli diedero sepoltura.
– Il canonico don Giuseppe Guicciardi era parroco sull’Appennino, a Mocogno (Modena), un paesetto a 2,5 km da Lama, a 800 metri sul livello del mare. Questo fatto capitò precisamente il 10 giugno 1945. Fu una sera. Il parroco andò ad aprire ad alcuni tizi, i quali, entrati, gli chiesero da mangiare, dicendo di essere affamati. Mise loro davanti quel che aveva in casa. Poi, quelli, mangiato che ebbero, chiesero vestiti, coperte e soldi; volevano anche un grammofono. E poiché il prete tergiversava, andarono di là nello studio e presero quei soldi che trovarono, il poco denaro della fabbriceria destinato ad un «ufficio». Rovistarono da ogni parte e portarono via quello che faceva loro comodo, anche la biancheria personale del parroco. Parevano sazi, ormai, e stavano per andarsene. Si avviarono all’uscio e il parroco già ne ringraziava Dio nel suo cuore, quando uno di loro, voltandosi improvvisamente, come per salutare, gli scaricò addosso una pistola, così a freddo. Il vecchio sacerdote cadde bocconi e non si mosse più. Uno di loro, sbattendo l’uscio, disse un po’ eccitato: «Perché l’hai fatto? Ce n’era proprio bisogno»? Ma l’assassino rispose: «I preti bisogna ucciderli tutti: uno alla volta; ma bisogna toglierli di mezzo»! E si perdettero nel buio con la refurtiva. La canonica di Mocogno è un po’ lontana dall’abitato centrale. La gente si accorse dell’efferato delitto solo la mattina dopo, perché la Messa non suonava come al solito. Fra le carte del santo parroco fu trovato una specie di diario in cui egli aveva offerto la propria vita al Papa, durante i tragici mesi del fronte, per la salvezza dei peccatori e la fine della guerra. Il suo assassino fu pescato, un giorno, mentre passava per strada. Individuato, i carabinieri lo inseguirono. Cercò prima di fuggire, poi tentò di liberarsene sparando su di loro, ma fu freddato prima che ne avesse il tempo. Indosso aveva ancora la camicia del povero parroco massacrato quella notte del 10 giugno!
– Don Giuseppe Preci, sessantadue anni. A Montalto di Zocca (metri 800), di notte, c’è da avere del coraggio a starci, anche senza guerra e… dopo guerra! Confinato lassù, tra castagni e faggi, c’è da fare ad arrivarci da Zocca (Modena) in tre quarti d’ora in macchina. Il parroco, don Preci, era un tipino sottile e deciso, pronto ad ogni ora per il suo popolo. E quando lo vennero a destare, quella notte del 24 maggio 1945, perché andasse da un ammalato, non ci pensò due volte ad uscire. Si vestì e andò in chiesa a prendere i Sacramenti, il Viatico e l’Olio santo. Uscito sul sagrato, le due persone che lo avevano chiamato lo pregarono di fare presto. E lo pregarono di andare avanti. Il sacerdote ubbidì, sia pure a malincuore, e si raccomandò a Dio. Del coraggio ne aveva sempre avuto, lui. Ma una scarica di mitra lo fulminò. Cadde, e il suo sangue bagnò la stradicciola che prendeva dal sagrato. Il prete rimase lì con i Sacramenti, sotto gli abiti insanguinati, fino al mattino dopo.
– Piane di Monchio (Reggio Emilia). Il seminarista Rolando Rivi, di quattordici anni, prelevato la mattina del 10 aprile 1945 da una squadra di partigiani comunisti e assassinato due giorni dopo perché indossava l’abito talare. I suoi uccisori, identificati, vennero condannati a ventitre anni di carcere. (…)
Sacerdoti martiri nell’oblio
Desidero qui ricordare con venerazione e affetto i sacerdoti che durante la guerra civile in Italia (1943-1945), immolarono la vita per restare fedeli alla loro missione di apostoli di Cristo. Voglio ricordare quelli rimasti vittime della ferocia dei nemici della fede e della Patria, i partigiani comunisti. Così li definisce un volantino fatto stampare dai cattolici modenesi presso la tipografia Azzi di Pavullo l’8 agosto 1965. Ho raccolto e posto qui in elenco novantaquattro nomi, ma certo i sacerdoti uccisi da componenti le bande partigiane, o presunti tali, sono molti di più. Comunque, per questi che io riporto, c’è stato il silenzio assoluto! I giovani non debbono sapere; verrebbe demolita l’epopea costruita in questi anni intorno al movimento partigiano. A Modena, il 19 agosto 1984, si è ricordato, a Crocette di Pavullo, in occasione della festa della Madonna Assunta, patrona della parrocchia, don Luigi Lenzini, parroco della medesima, seviziato barbaramente e ucciso dai partigiani; ma nessuna autorità, né religiosa né civile, ha presenziato al rito. La stampa, compresa quella cattolica, non ne ha fatto cenno; silenzio assoluto anche dal settimanale diocesano Nostro Tempo…
Don Giuseppe Amatelo, parroco di Coassolo (Torino), ucciso a colpi di ascia dai partigiani comunisti il 15 marzo 1944 perché aveva deplorato gli eccessi dei guerriglieri rossi;
Don Gennaro Amato, parroco di Locri (Reggio Calabria), ucciso nell’ottobre 1943 dai capi della repubblica comunista di Caulonia;
Don Ernesto Bandelli, parroco di Bria, ucciso dai partigiani slavi a Bria, il 30 aprile 1945;
Don Vittorio Barel, economo del seminario di Vittorio Veneto, ucciso il 26 ottobre 1944 dai partigiani comunisti;
Don Stanislao Barthus, della Congregazione di Cristo Re (Imperia), ucciso il 17 agosto 1944 dai partigiani perché in una predica aveva deplorato le «violenze indiscriminate dei partigiani»;
Don Duilio Bastreghi, parroco di Cigliano e Capannone Pienza, ucciso la notte del 3 luglio 1944 dai partigiani comunisti che lo avevano chiamato con un pretesto;
Don Carlo Beghè, parroco di Novegigola (Apuania), sottoposto il 2 marzo 1945 a finta fucilazione che gli produsse una ferita mortale;
Don Francesco Bonifacio, curato di Villa Gardossi (Trieste), catturato dai miliziani comunisti iugoslavi l’11 settembre 1946 e gettato in una foiba;
Don Luigi Bordet, parroco di Hône (Aosta), ucciso il 5 marzo 1946 perché aveva messo in guardia i suoi parrocchiani dalle insidie comuniste;
Don Sperindio Bolognesi, parroco di Nismozza (Reggio Emilia), ucciso dai partigiani comunisti il 25 ottobre 1944;
Don Corrado Bortolini, parroco di Santa Maria in Duno (Bologna), prelevato dai partigiani il 1° marzo 1945 e fatto sparire;
Don Raffaele Bortolini, canonico della Pieve di Cento, ucciso dai partigiani la sera del 20 giugno 1945;
Don Luigi Bovo, parroco di Bertipaglia (Padova), ucciso il 25 settembre 1944 da un partigiano comunista poi giustiziato;
Don Miroslavo Bulleschi, parroco di Monpaderno (Diocesi di Parenzo e Pola), ucciso il 23 agosto 1947 dai comunisti iugoslavi;
Don Tullio Calcagno, direttore di Crociata Italica, fucilato dai partigiani comunisti a Milano il 29 aprile 1945;
Don Sebastiano Caviglia, cappellano della Guardia Nazionale Repubblichina, ucciso il 27 aprile 1945 ad Asti;
Padre Crisostomo Ceragiolo o.f.m., cappellano militare decorato al valor militare, prelevato il 19 maggio 1944 da partigiani comunisti nel convento di Montefollonico e trovato cadavere in una buca con le mani legate dietro la schiena;
Don Aldemiro Corsi, parroco di Grassano (Reggio Emilia), assassinato nella sua canonica, con la domestica Zeffirina Corbelli, da partigiani comunisti, la notte del 21 settembre 1944;
Don Ferruccio Crecchi, parroco di Levigliani (Lucca), fucilato all’arrivo delle truppe di colore nella zona su false accuse dei comunisti del luogo;
Don Antonio Curcio, cappellano dell’11° Battaglione Bersaglieri, ucciso il 7 agosto 1941 a Dugaresa da comunisti croati;
Padre Sigismondo Damiani o.f.m., ex cappellano militare, ucciso dai comunisti slavi a San Genesio di Macerata l’11 marzo 1944;
Don Teobaldo Daporto, arciprete di Castel Ferrarese, Diocesi di Imola, ucciso da un comunista nel settembre 1945;
Don Edmondo De Amicis, cappellano pluridecorato della Prima Guerra Mondiale, venne colpito a morte dai «gappisti», a Torino, sulla soglia della sua abitazione nel tardo pomeriggio del 24 aprile 1945, e spirò dopo quarantott’ore di atroce agonia;
Don Aurelio Diaz, cappellano della Sezione Sanità della Divisione «Ferrara», fucilato nelle carceri di Belgrado nel gennaio del 1945 da partigiani titini;
Don Adolfo Dolfi, canonico della Cattedrale di Volterra, sottoposto il 28 maggio 1945 a torture che lo portarono alla morte l’8 ottobre successivo;
Don Enrico Donati, arciprete di Lorenzatico (Bologna), massacrato il 23 maggio 1945 sulla strada di Zenerigolo;
Don Giuseppe Donini, parroco di Castagneto (Modena), trovato ucciso sulla soglia della sua casa la mattina del 20 aprile 1945. La colpa dell’uccisione fu attribuita in un primo momento ai tedeschi, ma alcune circostanze, emerse in seguito, stabilirono che gli autori del sacrilego delitto furono i partigiani comunisti;
Don Giuseppe Dorfmann, fucilato nel bosco di Posina (Vicenza) il 27 aprile 1945;
Don Vincenzo D’Ovidio, parroco di Poggio Umbricchio (Teramo), ucciso nel maggio 1944 sotto accusa di filo-fascismo;
Don Giovanni Errani, cappellano militare della Guardia Nazionale Repubblichina, decorato al valor militare, condannato a morte dal Comitato di Liberazione Nazionale di Forlì, salvato dagli americani e deceduto in seguito a causa delle sofferenze subite;
Don Colombo Fasce, parroco di Cesino (Genova), ucciso nel maggio del 1945 dai partigiani comunisti;
Padre Giovanni Fausti s.j., superiore generale dei gesuiti in Albania, fucilato il 5 marzo 1946 perché italiano. Con lui furono trucidati altri sacerdoti dei quali non si è mai potuto conoscere il nome;
Padre Fernando Ferrarotti o.f.m., cappellano militare reduce dalla Russia, ucciso nel giugno 1944 a Champorcher (Aosta) dai partigiani comunisti;
Don Gregorio Ferretti, parroco di Castelvecchio (Teramo), ucciso dai partigiani slavi e italiani nel maggio 1944;
Don Giovanni Ferruzzi, arciprete di Campanile (Imola), ucciso dai partigiani comunisti il 3 aprile 1945;
Don Achille Filippi, parroco di Maiola (Bologna), ucciso la sera del 25 luglio 1945 perché accusato di filo-fascismo;
Don Sante Fontana, parroco di Comano (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 16 gennaio 1945;
Don Giuseppe Gabana, della Diocesi di Brescia, cappellano della 6ª Legione della Guardia di Finanza, ucciso il 3 marzo 1944 da un partigiano comunista;
Don Giuseppe Galassi, arciprete di San Lorenzo in Selva (Imola), ucciso il 1° maggio 1945 perché sospettato di filo-fascismo;
Don Tiso Galletti, parroco di Spazzate Sassatelli (Imola), ucciso il 9 maggio 1945 perché aveva criticato il comunismo;
Don Domenico Gianni, cappellano militare in Iugoslavia, prelevato la sera del 21 aprile 1945 e ucciso dopo tre giorni;
Don Giovanni Guicciardi, parroco di Mocogno (Modena), ucciso il 10 giugno 1945 nella sua canonica dopo sevizie atroci da chi, col pretesto della lotta di liberazione, aveva compiuto nella zona una lunga serie di rapine e delitti, con totale disprezzo di ogni legge umana e divina;
Don Virginio Icardi, parroco di Squaneto (Aqui), ucciso il 4 luglio 1944, a Preto, da partigiani comunisti;
Don Luigi Ilarducci, parroco di Garfagnolo (Reggio Emilia), ucciso il 19 agosto 1944 da partigiani comunisti;
Don Giuseppe Jemmi, cappellano di Felina (Reggio Emilia), ucciso il 19 aprile 1945 perché aveva deplorato gli «eccessi inumani di quanti disonorano il movimento partigiani»;
Don Serafino Lavezzari, seminarista di Robbio (Piacenza), ucciso il 25 febbraio 1945 dai partigiani, insieme alla mamma e a due fratelli;
Don Luigi Lenzini, parroco di Crocette di Pavullo (Modena), trucidato il 20 luglio 1945. Nobile, autentica figura di martire della fede. Prelevato nottetempo da un’orda di criminali, strappato dalla sua chiesa, torturato, seviziato, fu ucciso dopo lunghissime ore di indescrivibile agonia, quale raramente si trova nella storia di tutte le persecuzioni. Si cercò di soffocare con lui, dopo che le minacce erano risultate vane, la voce più chiara, più forte e coraggiosa che, in un’ora di generale sbandamento morale, metteva in guardia contro i nemici della fede e della patria. Il processo, celebrato in una atmosfera di terrore e di omertà, non seppe assicurare alla giustizia umana i colpevoli, mandanti ed esecutori, i quali, con tale orribile delitto, non unico, purtroppo, hanno gettato fango, umiliazione e discredito sul nome della Resistenza italiana. Ma dalla gloria all’Eternità, come nella fosca notte del martirio, don Luigi Lenzini fà riudire le ultime parole della sua vita, monito severo e solenne, che invitano a temere e a stimare soltanto il giusto Giudizio di Dio;
Don Giuseppe Lorenzelli, Priore di Corvarola di Bagnone (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 27 febbraio 1945, dopo essere stato obbligato a scavarsi la fossa;
Don Luigi Manfredi, parroco di Budrio (Reggio Emilia), ucciso il 14 dicembre 1944 perché aveva deplorato gli «eccessi partigiani»;
Don Dante Mattioli, parroco di Corazzo (Reggio Emilia), prelevato dai partigiani rossi la notte dell’11 aprile 1945;
Don Fernando Merli, mensionario della Cattedrale di Foligno (Perugia), ucciso il 21 febbraio 1944, presso Assisi, da iugoslavi istigati dai comunisti italiani;
Don Angelo Merlini, parroco di Fiamenga (Foligno), ucciso il medesimo giorno dagli stessi, presso Foligno;
Don Armando Messuri, cappellano delle Suore della Sacra Famiglia in Marino, ferito a morte dai partigiani comunisti e deceduto il 18 giugno 1944;
Don Giacomo Moro, cappellano militare in Iugoslavia, fucilato dai comunisti titini a Micca di Montenegro;
Don Adolfo Nannini, parroco di Cercina (Firenze), ucciso il 30 maggio 1944 da partigiani comunisti;
Padre Simone Nardin o.s.b., dei benedettini olivetani, Tenente cappellano dell’ospedale militare Belvedere in Abbazia di Fiume, prelevato dai partigiani iugoslavi nell’aprile 1945 e fatto morire tra sevizie orrende;
Don Luigi Obid, economo di Podsabotino e San Mauro (Gorizia), prelevato da partigiani e ucciso a San Mauro il 15 gennaio 1945;
Don Antonio Padoan, parroco di Castel Vittorio (Imperia), ucciso da partigiani l’8 maggio 1944 con un colpo di pistola in bocca e uno al cuore;
Don Attilio Pavese, parroco di Alpe Gorreto (Tortona), ucciso il 6 dicembre 1944 da partigiani dei quali era cappellano, perché confortò alcuni prigionieri tedeschi condannati a morte;
Don Francesco Pellizzari, parroco di Tagliolo (Aqui), chiamato nella notte del 10 maggio 1945 e fatto sparire per sempre;
Don Pombeo Perai, parroco dei SS. Pietro e Paolo di città della Pieve, ucciso per rappresaglia partigiana il 16 giugno 1944;
Don Enrico Percivalle, parroco di Varriana (Tortona), prelevato da partigiani e ucciso a colpi di pugnale il 14 febbraio 1944;
Don Vittorio Perkan, parroco di Elsane (Fiume), ucciso il 9 maggio 1945 da partigiani mentre celebrava un funerale;
Don Aladino Petri, parroco di Pievano di Caprona (Pisa), ucciso il 2 giugno 1944 perché ritenuto filo-fascista;
Don Nazzareno Pettinelli, parroco di Santa Lucia di Ostra di Senigallia, fucilato per rappresaglia partigiana il 1º luglio 1944;
Don Umberto Pessina, parroco di San Martino di Correggio, ucciso il 18 giugno 1946 da partigiani comunisti;
Seminarista Giuseppe Pierami, studente di Teologia della Diocesi di Apuania, ucciso il 2 novembre 1944, sulla Linea Gotica, da partigiani comunisti;
Don Ladislao Pisacane, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso da partigiani slavi il 5 febbraio 1945 con altre dodici persone;
Don Antonio Pisk, curato di Canale d’Isonzo (Gorizia), prelevato da partigiani slavi il 28 ottobre 1944 e fatto sparire per sempre;
Don Nicola Polidori, della Diocesi di Nocera e Gualdo, fucilato il 9 giugno 1944 a Sefro da partigiani comunisti;
Don Giuseppe Preci, parroco di Montalto (Modena). Chiamato di notte col solito tranello, fu ucciso sul sagrato della chiesa il 24 maggio 1945;
Don Giuseppe Rasori, parroco di San Martino in Casola (Bologna), ucciso la notte del 2 luglio 1945 nella sua canonica, con l’accusa di filo-fascismo;
Don Alfonso Reggiani, parroco di Amola di Piano (Bologna), ucciso da marxisti la sera del 5 dicembre 1945;
Don Giuseppe Rocco, parroco di Santa Maria, Diocesi di San Sepolcro, ucciso da slavi il 4 maggio 1945;
Padre Angelico Romiti o.f.m., cappellano degli allievi ufficiali della Scuola di Fontanellato, decorato al valor militare, ucciso la sera del 7 maggio 1945 da partigiani comunisti;
Don Leandro Sangiorgi, salesiano, cappellano militare decorato al valor militare, fucilato a Sordevolo Biellese il 30 aprile 1945;
Don Alessandro Sanguanini, della Congregazione della Missione, fucilato a Ranziano (Gorizia) il 12 ottobre 1944 da partigiani slavi per i suoi sentimenti di italianità;
Don Lodovico Sluga, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso insieme al confratello;
Don Luigi Solaro, di Torino, ucciso il 4 aprile 1945 perché parente del federale di Torino Giuseppe Solaro, anch’egli trucidato;
Don Emilio Spinelli, parroco di Campogialli (Arezzo), fucilato il 6 maggio 1944 dai partigiani sotto accusa di filo-fascismo;
Padre Eugenio Squizzato o.f.m., cappellano partigiano ucciso dai suoi il 16 aprile 1944 fra Corio e Lanzo Torinese perché impressionato dalle crudeltà che essi commettevano, voleva abbandonare la formazione;
Don Ernesto Talè, parroco di Castelluccio Formiche (Modena), ucciso insieme alla sorella l’11 dicembre 1944;
Don Giuseppe Tarozzi, parroco di Riolo (Bologna), prelevato la notte sul 26 maggio 1945 e fatto sparire. Il suo corpo fu bruciato in un forno da pane, in una casa colonica;
Don Angelo Taticchi, parroco di Villa di Rovigno (Pola), ucciso dai partigiani iugoslavi nell’ottobre 1943 perché aiutava gli italiani;
Don Carlo Terenziani, prevosto di Ventoso (Reggio Emilia), fucilato la sera del 29 aprile 1945 perché ex cappellano della milizia;
Don Alberto Terilli, arciprete di Esperia (Frosinone), morto in seguito a sevizie inflittegli dai marocchini, eccitati da partigiani, nel maggio 1944;
Don Andrea Testa, parroco di Diano Borrello (Savona), ucciso il 16 luglio 1944 da una banda partigiana perché osteggiava il comunismo;
Mons. Eugenio Corradino Torricella, della Diocesi di Bergamo, ucciso il 7 gennaio 1944 ad Agen (Francia) da partigiani comunisti per i suoi sentimenti d’italianità;
Don Rodolfo Trcek, diacono della Diocesi di Gorizia, ucciso il 1° settembre 1944 a Montenero d’Idria da partigiani comunisti;
Don Francesco Venturelli, parroco di Fossoli (Modena), ucciso il 15 gennaio 1946 perché inviso ai partigiani;
Don Gildo Vian, parroco di Bastia (Perugia), ucciso dai partigiani comunisti il 14 luglio 1944;
Don Giuseppe Violi, parroco di Santa Lucia di Madesano (Parma), ucciso il 31 novembre 1945 da partigiani comunisti;
Don Antonio Zoli, parroco di Morra del Villar (Cuneo), ucciso dai partigiani comunisti perché, durante la predica del Corpus Domini del 1944, aveva deplorato l’odio tra fratelli come una maledizione di Dio.
Conclusione
I giovani imparino a trarre lezione dalla Storia e ascoltino Colui che ha offerto la propria vita su di una Croce; imparino ad amarsi e sulla terra regnerà la pace.