Gli avvoltoi del Vicino Oriente
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 96/15 del 25 novembre 2015, San Silvestro
Quali potrebbero essere le conseguenze delle guerre contro l’Iraq e la Siria? Il giornalista Maurizio Molinari (già corrispondete de “La Stampa” da New Jork e ora – direttamente – da Gerusalemme) presenta il progetto di ridisegnare la cartina del Vicino Oriente (area destabilizzata dal 1948 con la proclamazione dello stato d’Israele). Si ipotizza la creazione di quattro stati “etnici”: sciita, sunnita, curdo e alawita. Nessun accenno ai cristiani: evidentemente quelli sopravvissuti ai terroristi dell’Isis devono andarsene in Occidente a farsi scristianizzare, nel Vicino Oriente per loro non c’è più posto.
Salta il tabù dei confini intangibili: “Dividere Siria e Iraq in Stati etnici”, di Maurizio Molinari, corrispondente da Gerusalemme
Diplomatici e analisti studiano quello che fino a poco tempo fa sembrava impensabile: un nuovo equilibrio in Medio Oriente che superi l’assetto attuale. Modello Bosnia o ancora più spinto?
Il tabù dei negoziati di Vienna è l’intoccabilità dei confini del Medio Oriente ma diplomatici, militari, leader religiosi e analisti di più nazioni sono protagonisti di un vivace confronto attorno all’ipotesi di sostituire Siria e Iraq con Stati etnici: sciita, sunnita, curdo e alawita
LO SCHEMA TEDESCO
James Dobbins, inviato speciale di Barack Obama in Afghanistan e Pakistan fino al luglio 2014, sostiene che «i negoziati di Vienna devono puntare al cessate il fuoco in tempi stretti per dare modo alla diplomazia di lavorare su una soluzione per la Siria sul modella della Germania 1945» ovvero suddividendola in quattro Stati: curdo nel Nord, sunnita nel Centro, alawita sulla costa e quindi un’«area internazionale» dove ora si trovano i territori occupati da Isis. Insomma, Raqqa come Berlino. «La Germania è rimasta divisa per 44 anni, perché non immaginare una soluzione simile per la Siria?» si chiede l’ex stretto collaboratore di John Kerry. Lo «schema tedesco» che suggerisce è a base etnica, coincidendo con gli scritti di Eric Kaufmann, docente di nazionalismo al Birkbeck College di Londra, su «cantoni in Iraq e Siria autonomi all’interno di federazioni» oppure indipendenti.
UN NUOVO DAYTON
La necessità di partire dalle etnie per restituire stabilità alla regione viene anche dal Gruppo di ricerche e studi su Mediterraneo e Medio Oriente di Lione che, in settembre, ha pubblicato un documento redatto da Fabrice Balanche per richiamarsi agli accordi di Dayton grazie a cui nel 1995 si pose fine alla guerra di Bosnia definendo i confini del nuovo Stato sulla base della suddivisione dei territori serbi e bosniaci. «La divisione etnica c’è già in Siria – si legge nel rapporto – bisogna solo riconoscerla».
LA MAPPA DEI RAID
La Russia difende a spada tratta l’integrità territoriale della Siria ma osservando la mappa dei raid aerei condotti ci si accorge che coincidono con le regioni dell’Ovest dove potrebbe sorgere lo Stato alawita: la costa attorno a Tartus e Latakia, le aree limitrofe nelle province di Idlib, Hama e Homs, e Damasco.
IL GENERALE E L’AYATOLLAH
In agosto Raymond Odierno ha lasciato la divisa dopo 40 anni di servizio nelle forze armate Usa, che ha concluso come capo di Stato maggiore dell’Esercito dopo aver guidato le operazioni in Iraq. Prima di andare in pensione ha lasciato in eredità al Pentagono una sorta di testamento politico: «La priorità è combattere Isis ma sul conflitto sunniti-sciiti sono pessimista e in assenza di una riconciliazione andremo verso un futuro nel quale l’Iraq non sarà più quello di oggi» e la «spartizione su base etnica potrebbe diventare una soluzione». Il governo di Baghdad ha condannato aspramente le parole di Odierno ma poche settimane dopo il solitamente taciturno Grande Ayatollah sciita dell’Iraq, Ali Sistani, ha detto qualcosa di molto simile: «Senza riforme veloci e importanti saremo tutti trascinati verso la spartizione del Paese, che Allah non voglia».
QUATTRO STATI
Yoav Limor, veterano degli analisti militari israeliani, trae da tali premesse la conclusione che «per ridare stabilità al Medio Oriente bisogna passare dagli Stati geografici creati dagli accordi di Sykes-Picot nel 1916 a quelli etnici» e dunque «dopo la sconfitta dello Stato Islamico da parte della comunità nazionale» potranno nascere al posto degli attuali Siria e Iraq quattro diverse nazioni: sciita, sunnita, curda e alawita sui territori dove queste etnie costituiscono la maggioranza degli abitanti.