Gaetano De Sanctis, mons. Umberto Benigni e Annibale
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 51/24 del 28 maggio 2024, Sant’Agostino da Canterbury
Gaetano De Sanctis, mons. Umberto Benigni e Annibale
Gaetano De Sanctis e la querelle su Annibale “grandissimo Semita”
Nell’estate del 1922 comparve il volume IV della Storia dei romani di Gaetano De Sanctis. (1) Il lavoro del grande antichista venne accolto con molto interesse e non sfuggì all’occhio attento di Umberto Benigni. (2) Questi, ma non fu il solo, considerò espressivo dello spirito dell’opera il necrologio dedicato ad Annibale:
“Così dunque era perito il grandissimo Semita – scriveva De Sanctis – dopo aver assistito, spettatore impotente, ai miracolosi trionfi degli avversari che aborriva. Era perito nello sconforto d’avere speso indarno la vita, difendendo contro l’imperialismo romano la libertà della patria e del mondo. Non l’aveva spesa indarno, sebbene gli effetti dell’opera sua fossero ben altri da quelli cui egli mirava. Pel disperato accanimento che aveva portato nella lotta contro Roma, per le piaghe profonde e difficilmente sanabili che il terribile conflitto ebbe a lasciare, pel militarismo che promosse tra i vincitori, per la politica d’impero verso cui il militarismo vittorioso li trascinò, per la violenza con cui si attuò tale politica d’impero, consumando le energie vitali dei vincitori e dei vinti, furono fecondati e moltiplicati i germi di rovina per la civiltà di cui era il frutto maturo che il nascente impero di Roma portava nel suo seno […]. Annibale compì, con ciò che potremmo chiamare la sua critica in atto, una terribile opera di dissolvimento di essa civiltà. Tale dissolvimento, a cui egli aveva efficacemente, sebbene inconsapevolmente, lavorato, era già visibile, quando Annibale morì, nello sfacelo del mondo ellenistico e nel declinare, che ne fu l’effetto immediato, di quella civiltà ellenica che era stata l’elemento attivo e fecondatore della civiltà antica in generale. Opera dunque negativa la sua. Ma preparò l’humus alla positiva opera di rinnovamento con cui un altro grandissimo Semita, Paolo di Tarso, sparse nel mondo antico, già in dissoluzione sotto le parvenze splendide del primo impero, i germi di un’altra civiltà: più vitale perché ben più adatta a risolvere, superandoli e non sopprimendoli con la violenza, quei contrasti di cui la civiltà antica è perita”. (3)
Recensendo il volume desanctisiano su “La Ronda”, (4) Benigni partì da questo brano, definito “pagina semita”, per ricollegare l’opera di De Sanctis ad una tradizione antiromana di studi classici, che, secondo il sacerdote, aveva i suoi capi scuola oltr’alpe. La prima puntualizzazione Benigni la faceva su Paolo di Tarso, indicato da De Sanctis come “grandissimo Semita”. “Egli lo confonde con Saul di Tarso, fanatico ebreo” sosteneva Benigni. E continuava: “Quel misero semita persecutore cadde sulla via di Damasco, e non si rialzò più. Chi si alzò in sua vece fu Paolo – bel nome romano – «cittadino romano» pronto ad appellarsi a Cesare contro i semiti che se- miticamente lo volevano sopprimere. Paolo era l’«Apostolo delle genti» cioè l’Apostolo greco-romano che colpisce il semitismo”. E concludeva: “I semi dell’«altra civiltà» sparsi da Paolo non erano affatto in contraddizione con l’impero romano, ma solo col paganesimo […]. L’impero romano cristiano di Teodosio il Grande lo provò esaurientemente”. (5)
Passava quindi al giudizio su Annibale: “Il grande politico e guerriero cartaginese passò dunque la vita a combattere Roma per la libertà della patria e del mondo. Quanto alla libertà di Cartagine, cioè perché Cartagine continuasse indomita il suo imperialismo, siamo pienamente d’accordo. Ma che Annibale combattesse per la libertà del mondo, eh via! […] Annibale combatteva per l’imperialismo cartaginese, cioè per fare – semiticamente – agli altri quanto egli voleva impedire a Roma di compiere romanamente […]. Ma non può confondersi l’imperialismo dei punici con quello dei quiriti”.(6)
Benigni individuava la caratteristica dell’imperialismo cartaginese nel commercio, confrontandolo con l’imperialismo inglese e continuava: “La più feroce gelosia affaristica, veramente semitica, spinse i fenici ad ogni eccesso di brutalità e di astuzia”. (7) Cartagine avrebbe semplicemente sfruttato economicamente le zone assoggettate, senza apportarvi alcun contributo alla civilizzazione e tanto meno alla libertà, avrebbe anzi diffuso, secondo Benigni, le barbare pratiche dei sacrifici umani al dio Moloch. “Roma vinse – scriveva Benigni – perché la civiltà, prima o poi, vince la barbarie. E fu Roma che portò con la civiltà, la libertà al mondo […]. I popoli transalpini assoggettati da Roma, perdettero la libertà. Quale? Quella di essere barbari […]. Ma non v’ha diritto alla barbarie”.(8) Per quel che riguarda invece la conquista dell’oriente ellenico, vero peccato originale dell’imperialismo romano secondo De Sanctis, Benigni sosteneva che “la civiltà ellenica che Cartagine trionfatrice avrebbe esinanita, sarebbesi oscurata, senza l’imperialismo romano, nel pallido tramonto dell’alessandrinismo sempre più orientale (khamo-semita) e sempre meno greco”.(9)
L’altra questione del contendere riguardava il rifiuto di Roma di concedere una pace di compromesso quando la seconda guerra punica si era trasformata in lotta per la supremazia. Benigni sosteneva che Cartagine, se avesse avuto il favore dalla sua, non avrebbe concesso “né compromessi né misericordia”. “Vi sono popoli – e tale è il semita – che distruggono, annientano, se possono, per sempre. Roma distrusse la Cartagine rivale, ma fece sorgere la splendidissima Cartagine romana, regina di civiltà nell’Africa civilizzata da Roma. Quando quegli altri semiti che furono i saraceni, ebbero preso e distrutta la Cartagine romano-bizantina che pur non era loro rivale, la morte si stese inesorabile sulla storica punta africana”.(10)
La recensione terminava con una nota critica su un altro intervento “pubblicato su un foglio bolognese” da Aldo Valori, che indicava in Cartagine una “civiltà grecizzata […] e il primo dei grandi Stati ellenistici annientati dalla potenza romana”. Benigni, come sappiamo, commentava: “Cartagine era ellenizzata come un orientale oggi è europeizzato perché veste all’europea e usa gli strumenti europei. Credere che Annibale – ed analogamente Mitridate difendessero la civiltà ellenica contro Roma, ci sembra veramente fuori di ogni realtà. Il mondo semita o semitizzato – da Cartagine al Ponto – tendeva fatalmente ad orientalizzare l’anima dell’ellenismo, assumendone la veste e gli strumenti materiali e morali. Il semita ha sempre semitizzato: non dimenticarlo mai”.(11)
(1) Gaetano De Sanctis, Storia dei romani, vol. iv 1 La fondazione dell’impero. Dalla battaglia di Naragagara alla battaglia di Pidna, Torino, Bocca 1923, ma già in circolazione dall’estate del 1922. Che il volume fosse precedente al 1923 era stato già segnalato da Leandro Polverini, Gaetano De Sanctis recensore, “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa” 1973 n. 4, p. 1056 nota 3. D’ora in poi la Storia dei romani sarà citata indicando l’autore e il volume. Dov’è necessario è indicato il conguaglio delle pagine del i volume tra la i e la iii edizione. Tutta la ii edizione e il ii volume della iii edizione hanno il conguaglio delle pagine con la I edizione al margine. Su De Sanctis, oltre agli scritti di Arnaldo Momigliano, Piero Treves, Silvio Accame, Leandro Polverini, Gino Bandelli, Mariella Cagnetta che saranno citati in questo contributo, vedi Piero Treves, De Sanctis, Gaetano, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 39, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana 1991, pp. 297-309; Antonella Amico, Gaetano De Sanctis: profilo biografico e attività parlamentare, Tivoli, Edizione Tored 2007; Istituto della Enciclopedia italiana- Archivio Storico, Fondo Gaetano De Sanctis (1890-1956). Inventario, a cura di Maria Rita Precone, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana 2007 e la bibliografia ivi indicata. La carte di De Sanctis non sono tutte depositate presso l’archivio storico dell’Enciclopedia italiana. Parti consistenti sono in possesso di privati.
(2) Benigni era studioso di storia ecclesiastica e dell’antichità, non chiuso alle istanze filologiche e critiche della storiografia dell’epoca. Insegnò storia al Seminario romano e al Collegio di Propaganda fide, avendo come allievo e successore Ernesto Buonaiuti. Fu animatore di varie riviste erudite di storia ecclesiastica e attento osservatore della vita culturale e intellettuale a livello internazionale. Vedi émile Poulat, Catholicisme, démocratie et socialisme, cit. e la voce di Pietro Scoppola nel Dizionario biografico degli italiani, cit.
(3) Gaetano De Sanctis, cit., pp. 260-261.
(4) Umberto Benigni, I nuovi campi di Annibale, cit. Benigni prendeva spunto dalla recensione di “un colto uomo di partito” comparsa “in un giornale fiorentino”. Anche il “colto uomo di partito” aveva concentrato la sua attenzione sul necrologio di Annibale. Ibidem, p. 88. Giornale e autore non sono stati individuati.
(5) Ibidem, p. 90.
(6) Ibidem, pp. 90-91.
(7) Ibidem, p. 91.
(8) Ibidem, pp. 91-92. Questa frase si ritrova negli scritti desanctisiani. Vedi p. 48 nota 2.
(9) Ibidem, p. 92.
(10) Ibidem, p. 93.
(11) Ibidem, p. 94. Valori rispose con una lettera a «La Ronda» sostenendo la piena identità di vedute con Benigni e chiarendo che con la parola “ellenistico” aveva voluto intendere, nel caso di Cartagine, influenza greca del tutto “superficiale”. Non raccoglieva invece le suggestioni antisemite del sacerdote integrista. Vedi Abbiamo ricevuto, «La Ronda» n. 9-10 settembre-ottobre 1922, p. 116. Il pezzo di Aldo Valori non è stato individuato. Probabilmente si trattava di un intervento sul «Resto del Carlino». La parte citata è ripresa dal testo di Benigni. Valori non ne fa cenno nelle sue memorie: Aldo Valori, Il fascista che non amava il regime, a cura di Valentina Tonelli Valori, Roma, Editori Riuniti 2003. Per l’interessamento di Valori alla Storia dei romani vedi la Premessa di Silvio Accame all’edizione del 1980 (Firenze, La Nuova Italia), p. xvi.