Editoriale di Sodalitium-Il Buon Consiglio n. 33, aprile 2015
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 33/15 del 2 aprile 2015, Giovedì Santo
Cari lettori, approfittiamo di questo numero di Sodalitium-Il Buon Consiglio per fare il punto sulla situazione della Chiesa. Di quella Chiesa che amiamo, che è oggetto della nostra fede (“Credo nella Chiesa Cattolica”) e che di Gesù Cristo è il Corpo mistico e la Sposa fedele. In queste poche righe non si tratta tanto di dare informazioni (che al tempo di internet corrono veloci come il fulmine nel mondo intero) quanto piuttosto far conoscere al fedele disorientato e smarrito l’opinione ed il “buon consiglio” del nostro Istituto.
Ricordiamo innanzitutto che il male di cui soffre la Chiesa (ed in conseguenza le anime, e persino la società temporale) ha un nome ben preciso: il modernismo. Si tratta di un’eresia diversa e più pericolosa di tutte le altre, perché mina la fede alla radice, nell’atto stesso del credere (che il modernismo sostituisce col dubbio e con l’esperienza religiosa) e perché si prefigge di agire non dal di fuori della Chiesa ma, potendo, dal di dentro. Crea sgomento ammetterlo, ma la realtà s’impone: i modernisti sono riusciti, in cinquant’anni, a occupare tutti i posti di responsabilità nella Chiesa, non esclusa la Sede Apostolica.
L’elezione al Soglio di Jorge Mario Bergoglio, dopo la rinuncia di Joseph Ratzinger, non ha mutato ma solo accelerato, o reso più visibile, l’avanzare del modernismo ‘nel seno e nelle viscere stesse della Chiesa’ (San Pio X). Con un insegnamento quotidiano e colloquiale, Bergoglio sembra annullare la frontiera tra il bene e il male, tra il vero e il falso (tutti soggettivi e relativi, come spiega nella celebre intervista a Eugenio Scalfari) fino a dichiarare, nell’indifferenza generale, non solo che l’ateo si può salvare (già andò vicino a dirlo il teologo gesuita Molina nel XVI secolo!) ma persino che “Dio non esiste” (9/10/2014). Malgrado la simpatia che suscita in molti, si inizia a intravedere però anche un accenno non dico di reazione ma almeno di sconcerto e di sgomento in alcuni ‘cardinali’, ‘vescovi’ e fedeli.
Divenuti ormai indifferenti – così sembra – agli errori conciliari in materia di fede, già assimilati e digeriti, alcuni prelati paiono non accettare l’ulteriore demolizione della morale cattolica ed evangelica iniziata col Sinodo straordinario sulla famiglia e che dovrebbe concludersi col Sinodo ordinario. Si aggrappano, questi prelati, al ‘magistero’ (minato dal personalismo) di Paolo VI e di Giovanni Paolo II (i ‘beati’ e ‘santi’ del modernismo) che i più progressisti vogliono superare, senza considerare che i suddetti fecero la stessa operazione col magistero dei veri Pontefici per dimenticare, storicizzando, la dottrina della Chiesa contro l’ecumenismo o la libertà religiosa, ad esempio. Non ci si può opporre alle conseguenze del Vaticano II brandendo i testi del Vaticano II! È come voler contrastare un effetto riattuandone compulsivamente la causa. C’è persino chi – davanti all’evidenza – è giunto a negare la legittimità di Bergoglio, opponendogli però come legittimo Pontefice Ratzinger. Proprio lui, che del modernismo trionfante al Concilio fu attivista e portabandiera!
Poiché tuttavia il modernismo mostra sempre più evidentemente il suo volto (che è – fondamentalmente – quello dell’ateismo) c’è da sperare che – con l’aiuto della grazia di Dio – finalmente qualche prelato abbia il coraggio di denunciare l’eresia chiamandola col suo nome; non solo difendendo l’indissolubilità del matrimonio, ma professando integralmente la fede, e condannando tutti gli errori. Non auspichiamo uno scisma (che già esiste di fatto): auspichiamo una operazione chirurgica che tagli visibilmente le membra irrimediabilmente malate per poter curare o preservare quelle che ancora possono salvarsi. È difficile pensare che i prelati di oggi, dopo cinquant’anni di modernismo, abbiano la forza e il coraggio di fare quello che non seppero fare i migliori membri della Gerarchia al Concilio; ma quello che è impossibile all’uomo è sempre possibile alla grazia di Dio.
Più desolante ancora, se possibile, è la situazione tra i cosiddetti ‘tradizionalisti’. La fine del governo di Ratzinger e l’inizio di quello di Bergoglio ha portato un vento gelido di morte tra coloro che avevano accettato il Concilio in cambio di indulti e ‘motu propri’ sulla Messa: c’era da aspettarselo. Non piangiamo sui Francescani dell’Immacolata, sulla diocesi di Albenga, e tanti casi simili, spazzati via dal rinnovato spirito conciliare di Bergoglio; anzi, bisogna rallegrarsi poiché con questi provvedimenti contro chi ha cercato una via mediana tra la verità e l’errore, si fa un po’ di chiarezza. Chi ha orecchie per intendere, intenda, e chi ha occhi per vedere finalmente li apra. Chi non sembra intendere è la Fraternità San Pio X, che sotto la guida di Mons. Fellay rincorre ancora il miraggio di un accordo con i modernisti.
L’accordo, non sappiamo se si farà, ma di certo quello che si sta facendo, ogni giorno di più e sotto i nostro occhi, è il continuo cambiamento della Fraternità che sempre di più, nei fatti prima ancora che nel diritto, si assimila allo spirito dei tempi. Così, come tra i modernisti si è manifestata una ‘resistenza’ a Bergoglio in nome di Ratzinger, Wojtyla e Montini (!), così nella (o fuoriuscendo dalla) Fraternità si è esplicitamente dichiarata la resistenza a Mons. Fellay in nome di Mons. Lefebvre. Si sono chiamati ‘resistenti’, ma la loro resistenza è destinata in partenza alla sconfitta, se, come pare, continueranno, fedeli al Fondatore, a riconoscere la legittimità di Bergoglio come Sommo Pontefice, per poi invitare alla disobbedienza e alla rivolta contro il Papa. Le medesime cause, anche in questo caso, sono destinate a dare i medesimi effetti, e gli errori compiuti da Mons. Lefebvre (Paolo VI è Papa, la nuova Messa è valida, in cambio lasciateci fare l’esperienza della Tradizione) impediscono ai ‘resistenti’, da Londra ad Avrillé, di resistere ad alcunché.
Col passare degli anni e l’aggravarsi della crisi, quindi, si rivela sempre più preziosa la fedeltà alla scelta da noi fatta nel 1985: seguire cioè, per orientarsi, la linea tracciata da Mons. M.-L. Guérard des Lauriers. La Fede non permette di aderire agli errori conciliari e alla riforma liturgica. Questi errori non possono venire dalla Chiesa, dal Papa e da Cristo. L’eletto del conclave non è con Cristo, né Cristo è con lui, e non è quindi formalmente Papa finché non vorrà – di fatto – accettare e svolgere il suo ufficio: insegnare, santificare e governare la Chiesa con Cristo, dando al gregge la dottrina tradizionale e i veri sacramenti, condannando gli errori e cacciando i lupi rapaci. Questa linea ci ha permesso di opporci validamente all’eresia moderna e a chi la propugna, senza cadere in uno spirito che non è quello della Chiesa, e che si manifesta spesso in quei ‘sedevacantisti’ che rifiutano la Tesi di Padre Guérard, e che cadono alcuni nel millenarismo, altri nell’apparizionismo, altri nel ‘conclavismo’ radicalmente democratico, o in tante altre opinioni pericolose che distaccano le anime dalla sana dottrina e dalla Chiesa.
L’attuale tempesta finirà, la prova cesserà, dobbiamo solo non temere, uomini di poca fede. Conserviamo la fede: fidem servavi! E che ognuno faccia il proprio dovere. I sacerdoti, siano buoni sacerdoti, e così i religiosi e le religiose. Le mogli buone mogli; i mariti buoni mariti; i genitori buoni genitori e i figli, figli obbedienti. I cristiani pensino a vivere in stato di grazia, a pregare, assistere alla messa, ricevere i sacramenti, a evitare il peccato. In questo numero, i nostri lettori troveranno l’invito a tante iniziative che sono altrettanti mezzi di perseveranza: la messa, il catechismo, gli esercizi, conferenze, pellegrinaggi… Nel deserto spirituale del mondo moderno, sempre più positus in maligno (1 Gv 5, 19), posto sotto il maligno, non è bene non abbeverarsi alle poche oasi di grazia rimaste. Potremo così continuare il cammino sulla strada stretta che conduce alla Vita, incoraggiati da Cristo che ha detto: non temete, io ho vinto il mondo (Gv 16, 33).