Cristiada
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 79/14 del 14 ottobre 2014, San Callisto
Arriva nelle sale dei cinema italiani il film Cristiada, sull’insorgenza dei cattolici messicani negli anni ’20 contro il regime massonico. Il film – con tutti i limiti che può avere una pellicola cinematografica – ha il merito di far conoscere al grande pubblico la vicenda dei Cristeros, combattenti sino al martirio per la regalità sociale di Cristo. Morirono al grido di “Viva Cristo Re” e non urlando: “viva la libertà religiosa”. Invece i seguaci degli errori di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI li presentano come difensori della libertà religiosa, arruolandoli così nell’esercito del Vaticano II. Tracce di questa mistificazione sono presenti nell’intervista che segnaliamo, fatta dal settimanale Tempi a uno dei protagonisti del film. I Cristeros vissero e morirono da cattolici: un esempio per tutti coloro che oggi sono tentati dallo spirito ecumenico, aconfessionale, “plurale” che soffia forte anche nell’area del “tradizionalismo” cattolico. Viva Cristo Rey!
Cristiada. Intervista a Andy Garcia: “Io, un cattolico a Hollywood”
Ho avuto una vita benedetta e non la trovo per niente difficile. Soprattutto quando penso alla gente della mia terra d’origine, mi rendo conto che la mia vita è un dono e ne sono cosciente in ogni momento. Essere un esule fa parte della mia esistenza, così come il cattolicesimo, la religione nella quale sono stato cresciuto.
Il 15 ottobre alle ore 20,30 presso l’Uci Cinemas Bicocca di Milano ci sarà la “prima” italiana di “Cristiada”. Il settimanale Tempi in edicola dedica la copertina all’evento con una intervista esclusiva al famoso attore hollywoodiano Andy Garcia (il generale Enrique Gorostieta nel film).
Sposato dal 1982, quattro figli, esule cubano, critico del regime comunista instaurato da Fidel Castro. E cattolico. Quello di Andy Garcia non è il prototipo di curriculum che va forte a Hollywood, ma l’attore di 48 anni non ha mai avuto bisogno di venire a patti con le sue convinzioni per avere successo. Più che la recitazione, è la carriera sportiva che attirava Garcia da giovane e la pallacanestro è lo strumento che gli ha permesso di superare le difficoltà di ambientamento. Sbarcato a Miami a cinque anni nel 1961, senza sapere una parola di inglese, a scuola nessuno gli ha mai reso la vita facile. Il basket sarebbe potuto diventare il suo lavoro, se l’epatite e la mononucleosi non avessero stroncato la sua carriera alla fine delle scuole superiori. Senza quella malattia, però, Garcia non avrebbe mai cominciato a recitare e due registi come Brian De Palma e Francis Ford Coppola non lo avrebbero mai scritturato per una parte ne Gli intoccabili e Il padrino – Parte III.
Avventuratosi a Los Angeles nel 1979 per intraprendere la carriera di attore, Garcia ha subito dimostrato di avere un’identità molto forte. Il fascino era uno dei suoi punti di forza ma non amava spogliarsi. Così, quando durante uno dei suoi primi provini gli è stato chiesto di togliersi la camicia, se ne è andato sbattendo la porta senza pensarci troppo. La faccia da italo-americano e la voce profonda lo hanno reso perfetto per impersonare trafficanti di eroina, poliziotti e mafiosi. Ma anche all’apice del successo dopo la candidatura all’Oscar e l’azzeccata interpretazione in Ocean’s Eleven, non ha mai dimenticato le sue origini. «Io sono un esule cubano – dichiara in un’intervista esclusiva a Tempi in occasione della prima italiana del film Cristiada (For Greater Glory) – e sono cattolico. Queste cose fanno parte della mia vita e per me non è difficile viverle a Hollywood come in un qualunque altro posto».
Garcia non è di molte parole ma per lui parlano i fatti: quando avrebbe potuto consacrarsi con pellicole semplici e disimpegnate, ha deciso nel 2005 di mettersi dietro alla cinepresa per girare il suo primo lungometraggio, The Lost City, ambientato nella sua città natale, L’Avana, durante la rivoluzione castrista. Nel 2012, «affascinato da un momento della storia messicana di cui conoscevo molto poco», ha accettato di recitare in Cristiada, vestendo i panni del generale Enrique Gorostieta Velarde, il militare ateo che ha guidato la rivolta armata dei cristeros contro la persecuzione religiosa del governo messicano negli anni Venti.
Andy Garcia, il generale Enrique Gorostieta è un personaggio controverso e impegnativo. Perché ha accettato di interpretarlo?
Lo sviluppo emotivo di Gorostieta era davvero attraente per me come attore. Lui non è un uomo religioso ma crede nel diritto alla libertà religiosa, un diritto che tutto il mondo dovrebbe avere. Ci sono due motivi per cui decide di partecipare a una battaglia di cui inizialmente non condivide gli ideali: in parte lo fa su incoraggiamento della moglie, che era molto devota, e in parte per sé.
Prima di entrare in guerra dalla parte dei cristeros, Gorostieta confida a un amico in divisa: «Un uomo che vive di ricordi è già morto».
È esattamente questo. Il mio personaggio è un militare e accettare la proposta dei cristeros gli conviene perché è un modo per tornare sul campo di battaglia e rientrare in un mondo che si era lasciato alle spalle. Gorostieta aveva infatti una storia personale di grande successo, soprattutto nella guerra contro il politico e rivoluzionario Zapata.
Cosa la colpisce di questo personaggio?
Mi piace perché mentre combatte la sua guerra per la libertà religiosa, si lascia ispirare e impressionare dalla passione dei cristeros, che sono veri credenti. La sua vita viene cambiata soprattutto da un bambino di 14 anni, José, che sacrifica la vita per la fede e che gli fa sperimentare una specie di epifania religiosa durante il corso del film.
La storia di Cristiada è vera ma è praticamente sconosciuta a tutti, persino in Messico.
Abbiamo dovuto fare ricerche molto impegnative per realizzare questo film. Abbiamo capito che persino in Messico questa parte di storia è ancora un tabù e pochissimi la conoscono. Il produttore José Pablo Barroso è messicano e credo che abbia deciso di raccontarla proprio per renderla nota e per ricordare quelle persone che hanno dato la propria vita per la libertà (vedi anche l’intervista dello stesso Barroso a Tempi, ndr).
La persecuzione dei cattolici non è un tema molto in voga. Eppure dovunque sia stato distribuito il film ha riscosso un grande successo. Come mai?
In Messico il film è stato un successo strepitoso e ha sempre fatto registrare il tutto esaurito. Negli altri paesi forse è stato un po’ boicottato ma è andato ugualmente benissimo e non mi sorprende. Il film ha una struttura classica e ricalca quella di molte storie epiche dove viene inscenata la lotta per la libertà. I valori e le immagini della pellicola sono molto forti e credo che la gente sia sempre curiosa verso i drammi della storia. Questo film, inoltre, è stato girato in modo eccellente, è godibile da vedere, è interpretato da ottimi attori. Insomma, penso che quando si realizza un buon film la gente accorre sempre. (…)
Cristiada uscirà in Italia il 15 ottobre, in un momento in cui la persecuzione religiosa dei cristiani è un tema di grande attualità.
Questo film è universale e anche se non era il suo obiettivo specifico, illumina tutti i casi attuali di persecuzione. Parla del Messico ma battersi per i propri diritti è un concetto valido a ogni latitudine. La libertà religiosa, come quella di parola, è un diritto fondamentale e noi siamo molto fortunati a poterne godere. Oggi non dovremmo prendere con leggerezza queste libertà perché ci sono molti paesi al mondo dove alla gente sono state portate via.
Parla della sua terra d’origine?
Io vengo da Cuba e la mia è una famiglia di esuli. Quando penso al mio paese, che vive sotto un regime e non gode di nessuna libertà, provo un grande dolore e un’immensa tristezza. Nel mio cuore c’è sempre una ferita, il mio legame spirituale con Cuba non potrà mai spezzarsi perché conosco bene le sofferenze che la mia gente patisce da cinquant’anni. Spero e prego che presto o tardi possa tornare libera.
È difficile scegliere di recitare in un film come Cristiada? Oggi i cattolici non sono molto ben visti: non si rischia di essere etichettati a Hollywood?
Per me non è affatto complicato vivere rimanendo me stesso. Ho avuto una vita benedetta e non la trovo per niente difficile. Soprattutto quando penso alla gente della mia terra d’origine, mi rendo conto che la mia vita è un dono e ne sono cosciente in ogni momento. Essere un esule fa parte della mia esistenza, così come il cattolicesimo, la religione nella quale sono stato cresciuto. E per me non c’è niente di difficile nell’essere cattolico a Hollywood, come in qualsiasi altra parte del mondo. Questo almeno è quello che penso.