L’asse Tel Aviv – Paesi del Golfo
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 24/21 dell’11 marzo 2021, San Sofronio
L’asse Tel Aviv – Paesi del Golfo
Il Golfo apre le porte alla vita pubblica ebrea, grazie ai legami con Israele
GERUSALEMME (AP) — Sei mesi dopo l’allacciamento di relazioni diplomatiche tra gli Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Israele, le modeste comunità giudaiche negli Stati del Golfo Arabo, che una volta vivevano nell’ombra del conflitto Arabo-Israeliano, stanno acquistando un profilo sempre più pubblico.
Adesso il cibo Kosher è disponibile. Le solennità giudaiche sono celebrate pubblicamente. C’è pure una nascente corte religiosa col compito di risolvere casi di matrimonio e divorzio. “Piano piano stiamo migliorando”, ha dichiarato Ebrahim Nonoo, guida della comunità giudaica in Bahrain, che ha recentemente ospitato la celebrazione online della festa di Purim per i Giudei del Golfo Arabo.
Nonoo è tra i fondatori dell’Associazione delle Comunità Giudee del Golfo, un nuovo gruppo che include le piccole popolazioni Giudee nelle sei monarchie arabe del Consiglio di Cooperazione degli Stati del Golfo Persico. Il loro scopo è di ottenere nella regione una maggiore approvazione della vita giudaica.
“È solo questione di tempo prima di ambientarci abbastanza, e poter vedere un ristorante giudaico o un ristorante kosher saltar su da qualche parte”, ha detto Nonoo, ex-membro del parlamento del Bahrain. Persino una piccola riunione online come lo è stata la celebrazione del Purim sarebbe stata inimmaginabile qualche anno fa, quando le relazioni con Israele erano un tabù e gli ebrei tenevano nascosta la loro identità, per paura di suscitare risentimento nei loro ospiti Musulmani.
Tutto ciò è cambiato con l’accordo dell’anno scorso tra Israele e gli EAU e il Bahrain, che ha condotto nella regione migliaia di turisti ed imprenditori israeliani, portando ad un fiorire di agenzie di matrimoni giudaici e altre celebrazioni mirate ai visitatori israeliani. Le autorità degli Emirati e del Bahrain hanno lanciato campagne di relazioni pubbliche per coltivare la propria immagine di asili musulmani di inclusione e tolleranza per ebrei, in netto contrasto con i rivali regionali, Arabia Saudita e Iran.
“È stata aperta una porta”, ha dichiarato Elie Abadie, il nuovo rabbino-capo del Consiglio Giudaico degli Emirati. “Non penso ci sia maggior apertura e benvenuto ed entusiasmo per la presenza di una comunità ebraica o di singoli ebrei o di tradizione e cultura giudaiche”.
Il libanese Abadie, membro dell’Associazione delle Comunità Giudee del Golfo, ha detto di essere certo che il cambiamento si stia operando in tutto il Golfo, non solamente negli EAU. L’associazione mira a fornire supporto e servizi per le piccole comunità giudaiche di Kuwait, Oman, Bahrain, Arabia Saudita, Qatar ed EAU. Ciò include certificazioni kosher per alberghi, ristoranti e prodotti alimentari, una corte rabbinica, e guida pastorale per eventi religiosi come bar mitzvahs, circoncisioni e sepolture.
Queste piccole comunità giudaiche sono perlopiù composte di stranieri, trasferitisi nella regione per motivi di lavoro. Solamente il Bahrain ha una radicata comunità giudaica. I suoi più o meno 80 membri sono discendenti di ebrei iracheni giunti sul finire del 19° secolo, in cerca di opportunità di commercio.
La comunità degli EAU è la più numerosa, con una cifra stimata di 1000 membri. È anche una delle più recenti, e Abadie dice di dover “iniziare da zero”. Solamente 200 sono membri attivi della comunità. Gli altri, come la maggior parte degli ebrei negli Stati del Golfo Arabo, mantengono un basso profilo. Considerato il crescente entusiasmo per la vita giudaica negli EAU, Abadie dice di aspettarsi “che molti di essi vorranno uscire all’aperto”.
Le comunità giudaiche sono fiorite per secoli nel mondo islamico. Per lunghi periodi hanno goduto di status privilegiati, ed occasionalmente, come nell’Andalusia musulmana medievale, prosperarono in un’età dell’oro della coesistenza. La maggior parte di queste comunità si sono estinte con la fondazione di Israele nel 1948, quando centinaia di migliaia di ebrei furono cacciati o se ne andarono.
Considerato il gran numero di Palestinesi, Libanesi, Egiziani e Pachistani che vivono nei paesi del Golfo Arabo, negli ultimi anni alcuni ebrei si sono sentiti a disagio riguardo al diffondere in pubblico la propria identità religiosa. Ad esempio, il permesso di soggiorno negli EAU domanda ai richiedenti di precisare la loro religione: “ebraica” non è tra le opzioni.
La maggior parte degli stati arabi hanno posto come condizione alla normalizzazione dei rapporti diplomatici con Israele la fine del decennale conflitto Israelo-Palestinese, e la fine dell’occupazione israeliana dei territori che i Palestinesi rivendicano per uno Stato indipendente.
Recentemente, però, questa attitudine sta sparendo in alcuni leader arabi, anche se l’ostilità verso Israele – in parte per la sua politica contro i Palestinesi – rimane intatta nelle loro popolazioni.
In Arabia Saudita si trovano i siti che videro la nascita dell’Islam nel VII secolo; in Bahrain, Kuwait e Oman si trovano antichi cimiteri Ebraici. Negli EAU di Ras al-Khaimah si trova una pietra tombale ebraica, forse di un mercante itinerante – come lo è la maggior parte degli Ebrei che arrivano a Dubai oggi.
“I Giudei hanno abitato nel Golfo per lunghissimo tempo, ed ora assistiamo ad una specie di rinnovamento di relazioni commerciali”, ha dichiarato Jason Guberman, direttore esecutivo della Federazione Sefardita Americana; “questo ritorno del Medio Oriente al passato pluralista è davvero emozionante”.
Jean Candiotte, direttore televisivo di New York, che abita a Dubai da sette anni, ha detto che la nuova atmosfera è liberatoria. “Eravamo una piccola famiglia di persone ebree. Ci conoscevamo gli uni gli altri quasi per caso, e ciascuno pensava di essere l’unico. Eravamo sensibili al fatto di trovarci in un paese musulmano, e non sapevamo se tutti sarebbero stati pronti per noi. Ora sembra l’opposto: sento di poter essere me stessa; assistere pubblicamente a cerimonie e celebrazioni giudaiche. La vita giudaica in questi posti sta diventando come la vita giudaica ovunque”.
Tuttavia, questa nuova realtà è ancora piccola. Alcuni paesi hanno cambiato più lentamente di altri. L’Arabia Saudita è stata a lungo criticata per aver promosso atteggiamenti anti-semitici. La sicurezza è sempre una preoccupazione, come dimostra il recente attacco ad una nave israeliana nel Golfo Persico. Israele ha accusato il suo arci-nemico, l’Iran, e gli ufficiali temono che Giudei e Israeliani possano essere vulnerabili.
Un uomo d’affari ebreo che ha vissuto in Oman negli scorsi decenni ha detto di essere uno di forse 20 Ebrei che vivono nel sultanato. Per lui questo paese ha un approccio più tollerante nei riguardi di altre religioni rispetto ai suoi vicini; ma sottolinea l’importanza di mantenere l’anonimato, preoccupato di eventuali ripercussioni di ufficiali locali.
Dice che durante l’epidemia di coronavirus il servizio Zoom per il Sabbath, organizzato il venerdì sera dalla Comunità Giudaica degli Emirati è stato un’ancora di salvezza, per lui. Spera che la nuova organizzazione comune per il Golfo “generi un senso di maggior sicurezza, per uscire dal ripostiglio, per parlare”.
Traduzione a cura del Centro studi Federici