Omaggio a mons. Benigni: “La caduta di Costantinopoli”
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 20/20 del 27 febbraio 2020, San Leandro
Omaggio a mons. Benigni: “La caduta di Costantinopoli”
Omaggio a mons. Umberto Benigni (Perugia, 30 marzo 1862 – Roma, 27 febbraio 1934) nell’anniversario della sua morte.
Prof. UMBERTO BENIGNI, prete
CADUTA DI COSTANTINOPOLI ED UN APPELLO POSTUMO Al LATINI
Estratto dal Bessarione. Rivista di studi Orientali. Anno IV, vol. VII, nn. 45-46, Roma Tipografia del Cav. V. Salviucci, 1900
“Meglio il turbante del sultano, che la tiara del papa!” il celebre grido di Luca Notaras (1) degno complice di Giorgio Scolarios, rimane nella storia come l’urlo supremo dei forsennati bizantini, deliranti nell’agonia di Costantinopoli.
Che tale furiosa latinofobia fosse il sentimento generale dell’intiera popolazione di Costantinopoli e dell’intiero ellenismo non è a credersi, rappresentando piuttosto il sentimento brutale del partito avanzato, di quello che potremmo chiamare l’estrema sinistra del bizantinismo.
Ma non è meno certo, che prescindendo dall’odio superlativo dei partigiani di Notaras e del futuro patriarca Gennadio, la massa – come oggi dicono – della popolazione bizantina non voleva L’Unione; i pochi eletti che coi cardinali Bessarione ed Isidoro la volevano cordialmente, non rappresentavano il sentimento nazionale: e per questo, nonostante la chiara giustizia ed utilità dell’ Unione, essa non prese mai radice e presto inaridì.
Si rammentino le parole dello storico bizantino Michele Dukas. Molti che accettavano a parole l’Unione, nei giorni tremendi in cui Maometto II cingeva d’assedio la sciagurata Bisanzio, ai fanatici che li rimproveravano di questa loro, sia pur platonica, adesione, rispondevano: “aspettate che noi vediamo se Dio distruggerà questo gran dragone [Maometto] che vuole inghiottire la nostra città; ed allora vedrete se noi siamo uniti cogli azimiti!” Davanti a questi ipocriti, quasi preferisconsi gli urli selvaggi di Notaras e dello Scolarios (2).
Lo stesso storico ci dà le mot de la fin di questo stato d’animo. Quando i giannizzeri scalarono le mura di Costantinopoli, una immensa turba di popolo stipossi in S. Sofia, fiducioso in un angelico intervento profetizzato dai soliti fakiri del decaduto monachismo bizantino. Naturalmente quell’enorme agglomerazione di popolo fu fatta schiava, in massa, dai Turchi. Ebbene, dice Dukas, se in quel tragico istante, fosse a quel popolo apparso un angelo che avesse detto: accettate l’unione e sarete salvi, quei forsennati avrebbero ricusato l’offerta, preferendo i turchi ai latini (3).
C’è appena bisogno di dire che il principale se non unico movente di questa vasta e profonda avversione degli strati alti e bassi del mondo bizantino contro l’Occidente, non era affatto una convinzione o disquisizione teologica, ma solo il pensiero politico, la gelosia di Stato, l’odio di razza.
L’avversione bizantina tenacemente combatteva la Chiesa occidentale per una ragione analoga a quella per cui il monofisitismo siro e copto avversava implacabilmente la chiesa ellenica di Bisanzio; e poi il protestantismo anglo-germanico combatteva con uguale implacabilità la Chiesa romana. Il fenomeno trascendentale del coefficiente etnico-politico, intrudentesi nel campo teologico, ha dato e darà sempre questi effetti.
Nonostante tutto ciò, e prescindendo anche dall’eletta schiera di quei pochi intelligenti ed onesti orientali che con gli encomiati Bessarione ed Isidoro, intuivano meglio il dovere e l’utile dell’ellenismo, eravi nel popolo stesso, tra i più miti e coscienziosi, un sentimento non tanto ostile ai Latini, e tale che se fosse venuto in un altro momento storico, avrebbe potuto meglio mostrarsi ed esser meno inefficace.
Il già citato Dukas ce ne dà testimonianza. Mentre Notaras e, per sua bocca, tutta la moltitudine dei fanatici gridava di preferir il turbante alla tiara, “gli abitanti [Dukas avrebbe dovuto dire: una parte di essi; come infatti arguiscesi dalle sue stesse parole or ora citate], perduta ogni speranza, dicevano:” Piacesse a Dio che la città fosse stata ridotta in potere dei Latini i quali riconoscono il Cristo e la Madre di Dio, e che noi non fossimo dati nelle mani degli empi! (4).
L’espressione di questo partito che appunto preferisce i Latini, perchè è religioso, ci dà la controprova di quanto estraneo fosse il vero sentimento religioso della corrente dell’avversione bizantina contro i Latini. Chi veramente metteva la religione a suo posto, cioè sopra tutte le cose umane, accettava i Latini; gli altri, zelanti della religione considerata come instrumentum regni, preferivano il turbante alla tiara: e non a parole sole, ma anche a fatti; sì che l’energumeno antilatinista Scolarios, caduta Costantinopoli, fu fatto patriarca col nome di Gennadio, da Maometto II, che gli die’ l’investitura per mezzo della consegna del pastorale, scegliendo apposta Gennadio perchè come antilatinista, avrebbe tenuto i greci in guerra coll’Occidente ossia fuori di ogni speranza di riscossa dal giogo islamitico.
Un’eco di quel partito moderato e veramente religioso, si trova in una poesia popolare, già edita, ma dalla comune poco o punto conosciuta, e, salvo errore, non additata sinora come un importante contributo per la storia dell’anima bizantina e nel momento fatale della caduta di Costantinopoli.
La poesia, appunto con questo titolo, venne pubblicata dal Fauriel (5) in una recensione certamente posteriore e senza dubbio modificata dall’ alea della tradizione e della mnemonica popolare; ma non trattandosi, presumibilmente, di rimaneggiamenti d’ idee, credo poterla riportare sotto questa stessa recensione, lasciando al Fauriel la responsabilità dell’ esattezza morfologica del testo volgare.
[I Turchi] han preso la Città, l’hanno presa! han preso Tessalonica [?],
han preso Santa Sofia, il grande monastero,
dove sono trecento semantra e sessantadue campane,
e per ogni campana un papas, e per ogni papas un diacono.
Mentre usciva il Santissimo, il re del mondo,
una voce venne dal cielo, dalla bocca degli angeli :
“Lasciate codesta salmodia per riporre il Santissimo;
e mandate un messaggio in Francia [= Occidente latino] perché vengano a prenderlo,
a prendere la croce d’ oro e il santo vangelo
e la santa mensa [dell’ altare], affinché [i Turchi] non la profanino”.
Quando la Madonna sentì questa [voce], le sue immagini piansero.
Càlmati [soggiunse la voce?], signora Madonna, non lamentarti, non piangere:
ancora, col tempo, coll’occasione (6), ancora [tutte quelle cose] saranno tue”.
Come vivezza di sentimento e ingenuità di forma, questa complainte ellenica mi sembra un gioiello. La poesia rimonta senza dubbio al momento della caduta, tanto è viva l’impressione, come di cosa presente, che spira da quella.
Orbene, non è essa un’eco del sentimento di quei bizantini che, veramente religiosi, dinanzi all’immane profanazione della cristiana Bisanzio, deposti i rancori e le prevenzioni, mandavano un appello ai Latini che venissero a salvare il Sagramento, l’altare, la croce, il vangelo ?
Nè Luca Notaras, nè Scolarios avrebbero giammai emesso quel grido: questo sembra piuttosto una risposta al grido sacrilego e parricida di Notaras.
Esso è veramente l’eco del popolare lamento dei buoni devoti, riferitoci dal Dukas: Almeno i Latini riconoscono Cristo e la Madre di Dio! E la devozione ardente per Cristo e la Theotokos, che aveva ispirato queste parole, ha ispirato la poesia desolata, dove con l’anima greca agonizzante piange anche la Madonna.
Quell’appello postumo della morta Bisanzio, sepolta sotto i minareti e le moschee di Stambul, all’Occidente, alla Chiesa romana, resta come un importante ricordo, un ammonimento, e – speriamolo – come un augurio. “La santa mensa [dell’ altare]” – come dice la poesia…
(1) DUKAS, C. 37 — cfr. ROHRBACHER, lib. 87, o. 26.
(2) DUKAS C. 36 — cfr. ROHRBACHER, ibid.
(3) DUKAS C. 39 — cfr. ROHRBACHER, ibid.; e PASTOR, voi. I, pag. 496 (vers. ital.: pag. 445).
(4) DUKAS, C. 37 — cfr. ROHRBACHER, ibid. (2) Vol. II, pag. 339.
(5) Credo esservi un equivoco. Che c’entra qui Salonicco ? deve essere stato storpiato un nome proprio della topografia costantinopolitana.
(6) Letteral.: coi tempi, colle stagioni.