2020 Comunicati  20 / 01 / 2020

Prima gli israeliani?

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza salvini_antisemitismo
Comunicato n. 6/20 del 20 gennaio 2020, San Sebastiano
 
Prima gli israeliani?
 
Il 26 gennaio p.v. si svolgeranno le elezioni regionali in Emilia e in Romagna: l’auspicio è la sconfitta di coloro che da 75 anni detengono il potere, dal vecchio Pci all’attuale Pd. Tuttavia non possiamo tacere, a differenza di altri, sulle ultime dichiarazioni di Matteo Salvini relative allo stato d’Israele. Il paragone con Gianfranco Fini sorge spontaneo: prima la trasformazione del partito d’appartenenza e poi una politica esterna sbilanciata sulle posizioni più estremiste della politica di Tel Aviv (contestate nella stessa società israeliana). Particolarmente imbarazzante è il silenzio sui cristiani palestinesi, la cui presenza in Terra Santa, a partire dal 1948, si sta assottigliando anno dopo anno. La situazione dei cristiani si è aggravata con l’approvazione nel luglio 2018 della legge che ha reso Israele giuridicamente uno “stato ebraico”, con le conseguenze discriminatorie nei confronti dei cittadini non ebrei (compresa la minoranza di ebrei di religione cattolica). Sull’argomento segnaliamo un articolo ai nostri lettori.
 
Salvini si gioca la carta della identificazione con Israele come “polizza di assicurazione”
 
“Salvini dimostra una superficialità e pressapochismo disarmante rispetto a problemi complessi che richiederebbero un approccio cauto e rispettoso dei diritti delle varie parti coinvolte in un conflitto che dura da oltre mezzo secolo”
 
Che nel panorama politico italiano si sentisse la necessità di avere un partito totalmente schierato sulle posizioni di Israele, era un fatto di cui Matteo Salvini si è fatto interprete e, primo fra tutti, si è autoproclamato “difensore del diritto ad esistere” di Israele e nemico di qualunque forma di antisemitismo.
Nel corso di un convegno ufficiale, tenutosi a Roma a Palazzo Giustiniani, dal titolo ‘Le nuove forme dell’antisemitismo‘, in presenza di diplomatici, studiosi, agenti dei servizi, massoni e dell’ambasciatore israeliano, Salvini ha sostenuto che “L’antisemitismo è una malattia che va curata e prevenuta con l’educazione ma anche con la legge”, perciò dopo la “messa fuori legge del movimento anti-Israele in Austria lo faremo anche noi”.
In questo modo Salvini ha fatto intendere che si farà promotore di un disegno di legge per combattere l’antisemitismo e che considera un reato negare l’autodeterminazione del popolo ebraico mentre, ha sottinteso, che le richieste dei palestinesi di un proprio stato devono essere rigettate.
Non per caso Salvini ha dichiarato di ispirarsi anche alle politiche messe in atto ultimamente dal presidente Usa, Donald Trump. Fra queste Salvini ha indicato il riconoscimento di Gerusalemme capitale, in contrasto con le norme internazionali che avevano stabilito la città di Gerusalemme con uno status speciale in quanto città sacra alle tre grandi religioni.
Per Salvini, analogamente a quanto ritiene Trump, le risoluzioni dell’ONU non contano, tanto meno le norme internazionali, l’importante è favorire il diritto di Israele anche a scapito della popolazione palestinese residente che, con le buone o con le cattive, deve sloggiare a fare posto ai coloni israeliani.
Questo il sottinteso delle dichiarazioni di Salvini che non ha mai neppure nominato i palestinesi e tanto meno gli accordi precedenti quelli di Oslo, del 1993, che prevedevano la soluzione dei due stati, uno israeliano ed uno palestinese, accordi disattesi da Israele che ha proceduto alla realizzazione di centinaia di colonie illegali sui territori di quello che doveva essere uno stato palestinese.
Un problema complesso che Salvini semplifica con il principio della “lotta all’antisemitismo”, che non chiarisce quale debba essere la critica lecita e quella non lecita nei confronti di Israele. Non è lecita per Salvini la campagna di “Boicotta Israele” per le produzioni che vengono fatte nei territori occupati da Israele e di conseguenza, secondo Salvini, si può presumere che non sia lecita la resistenza all’occupante che è invece un principio sancito dalla stessa carta dell’ONU.
Salvini dimostra quindi una superficialità e pressapochismo disarmante rispetto a problemi complessi che richiederebbero un approccio cauto e rispettoso dei diritti delle varie parti coinvolte in un conflitto che dura da oltre mezzo secolo. In particolare il leader leghista non si accorge neppure di entrare in contraddizione con se stesso, lui che si proclamava difensore del cristianesimo, negando il rispetto e la tutela specifica dei luoghi santi per il Cristianesimo con l’assimilazione di Gerusalemme quale capitale di Israele.
Molti osservatori si chiedono quale fosse la necessità di ricorrere ad un convegno per stabilire linee di politica estera ad uso interno che non erano mai state affrontate in modo così plateale dallo stesso leader della Lega, il quale, in passato aveva avuto posizioni contraddittorie e oscillanti, schierandosi ora in favore di Putin, ora criticando le posizioni statunitensi sulla Siria, come su altri problemi.
Evidentemente qualche cosa è accaduto, Salvini ha fiutato il pericolo di essere messo sotto processo, di essere emarginato politicamente ed ha voluto marcare una linea di demarcazione rispetto alle posizioni di alcune frange dell’estrema destra con cui in passato aveva avuto delle contiguità.
Il leader leghista ha scelto di crearsi una sorta di polizza di assicurazione, schierandosi in modo conforme agli interessi di “quelli che contano” ed ha manifestato le stesse posizioni ultra sioniste che oggi sono proprie dell’evangelismo cristiano a cui appartengono personaggi come Mike Pence, il vice presidente USA e Mike Pompeo, il segretario di Stato .
Neppure è un caso che Salvini sia stato il primo politico italiano entusiasta nel plaudire alla nuova politica di omicidi mirati di Trump, quando è giunta notizia dell’assassinio del tenente generale Soleimani, una manifestazione tipica di chi vuol apparire il “primo della classe” degli adulatori di Trump e Pompeo.
D’altra parte la parabola di Salvini presenta delle inquietanti analogie con quella di Gianfranco Fini il quale, anche lui, a suo tempo, scelse di affratellarsi ai “padroni del discorso” per assicurarsi carriera e prebende. Non gli è andata troppo bene e non è escluso che, anche nel caso di Salvini, il suo conclamato sostegno possa essere considerato ininfluente e poco credibile da parte delle centrali di potere che contano, quelle di Washington e Bruxelles.
 
 
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