2016 Comunicati  07 / 10 / 2016

Le tre battaglie di Lepanto

lepantoCentro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 70/16 del 7 ottobre, Madonna del Rosario

Le tre battaglie di Lepanto

Battaglia di Lepanto (1499)
La Battaglia di Zonchio (nota anche come la battaglia della sapienza o lla prima battaglia di Lepanto) ebbe luogo in quattro giorni diversi: 12, 20, 22, 25 agosto 1499. Fu la prima battaglia navale della storia con cannoni a bordo di navi.
Nel gennaio 1499 Kemal Reis partì da Istanbul con una forza di dieci galere ed altri quattro tipi di navi e nel luglio del 1499 si congiunse con il grosso della flotta ottomana inviatagli da Davud Pasha, assumendone il comando per una guerra su larga scala con Venezia. La flotta ottomana era composta da 67 galere, 20 galeoni e 200 vascelli di dimensioni minori.
Dopo aver raggiunto il capo Zonchio nel mar Ionio nell’agosto 1499, Kemal Reis sconfisse la flotta di Venezia di 47 galere, 17 galeoni e 100 vascelli minori al comando di Antonio Grimani; fu questo un evento delle guerre ottomane-veneziane. Durante la battaglia si distinsero Andrea Loredan e Alban d’Armer. Grimani venne arrestato il 29 settembre e successivamente rilasciato (sarebbe diventato doge nel 1521). Turchi e Veneziani si sarebbero affrontati un’altra volta presso Lepanto nella battaglia di Modone nel 1500, con gli ottomani ancora vincitori con l’ammiraglio Kemal Reis.

Battaglia di Lepanto (1500)
La seconda battaglia di Lepanto, nota anche come Battaglia di Modone si svolse nel 1500, come parte della guerra turco-veneziana del 1499-1503, tra l’Impero Ottomano e la Repubblica di Venezia. Gli ottomani, che avevano vinto la prima battaglia di Lepanto, furono nuovamente vittoriosi, guidati dall’ammiraglio Kemal Re’is.

Battaglia di Lepanto (1571)
La battaglia di Lepanto – detta anche delle Echinadi o delle Curzolari (in turco İnebahtı, corruzione di Naupakatos, località sul Golfo di Corinto dove essa avvenne, chiamata Epaktos dagli abitanti e Lepanto dai veneziani) – è uno storico scontro avvenuto il 7 ottobre 1571 tra le flotte dell’Impero Ottomano e della cristiana Lega Santa: che riuniva forze navali di Venezia, della Spagna, del Papato, di Genova, dei Cavalieri di Malta e di Savoia.
La battaglia, terza in ordine di tempo e la maggiore svoltasi a Lepanto, si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate, guidate da Don Giovanni d’Austria, su quelle ottomane di Mehmet Alì Pascià, che perse la vita nello scontro.

Prodromi
La coalizione cristiana era stata promossa da Papa Pio V per soccorrere la veneziana città di Famagosta (in turco Famagusta; in greco Ammocosthos), sull’isola di Cipro, assediata dai Turchi e strenuamente difesa dalla guarnigione locale.
La flotta della lega aveva lasciato Messina, riunendo 150 navi veneziane tra galee, navi da carico, imbarcazioni minori e 6 potenti galeazze), 79 galee della Spagna, compresi i domini di Napoli e Sicilia e l’aiuto dei Savoia, appartenenti all’impero, 12 galee toscane noleggiate dal Papa, 28 galee genovesi e le forze maltesi degli Ospitalieri.
Il 5 ottobre, giungendo in cerca di riparo dalla nebbia e dal forte vento nel porto di Viscando, non lontano dal luogo della battaglia di Azio, la flotta cristiana fu raggiunta dalla notizia della caduta di Famagosta e dell’orribile fine inflitta dai musulmani a Marcantonio Bragadin, il senatore veneziano comandante la fortezza. Il 1° agosto i veneziani si erano arresi con l’assicurazione di poter lasciare indenni l’isola di Cipro, ma Mustafà Lala Pascià, il comandante turco che aveva perso più di 52.000 uomini nell’assedio, non aveva mantenuto la parola e i veneziani erano stati imprigionati e incatenati ai banchi delle galee turche. Venerdì 17 agosto Bragadin era stato scorticato vivo di fronte ad una folla di musulmani esultanti e la sua pelle, conciata e riempita di paglia, era stata innalzata come un manichino sulla galea di Mustafà Lala Pascià insieme alle teste di Alvise Martinengo e Gianantonio Querini. I macabri trofei erano poi stati inviati a Costantinopoli, esposti nelle strade della capitale ottomana ed infine portati nella prigione degli schiavi. C’era nebbia e un forte vento. Le galee non potevano prendere il mare.
Nonostante il maltempo le navi della Lega presero il mare verso Cefalonia, sostandovi brevemente, e giungendo, il 6 ottobre davanti al golfo di Patrasso, nella speranza di intercettare la potente flotta che i cristiani sapevano essergli stata parata davanti dagli Ottomani.
Il 7 ottobre, Domenica, Don Giovanni d’Austria fece schierare le proprie navi in formazione serrata,deciso a dar battaglia: non più di 150 metri separavano le galee.

La Battaglia

Lo schieramento
Flotta della Lega
Il centro dello schieramento cristiano si componeva di 28 galee e 2 galeazze veneziane, 16 galee spagnole e napoletane, 8 galee genovesi, 7 pontificie, 3 maltesi, per un totale di 62 galee e 2 galeazze. Lo comandava Don Giovanni d’Austria comandante generale dell’imponente flotta cristiana: ventiseienne figlio illegittimo del defunto Imperatore Carlo V e fratellastro del regnante Filippo II era tra i più abili condottieri dell’epoca. Affiancavano per ragioni di prestigio la sua galea Real spagnola: la capitana di Sebastiano Venier, settantacinquenne Capitano Generale veneziano, la Capitana di Sua Santità di Marcantonio Colonna, trentaseienne ammiraglio pontificio, la capitana di Ettore Spinola, Capitano Generale genovese, la capitana di Andrea Provana di Leyni, Capitano Generale piemontese, l’ammiraglia Vittoria del priore Piero Giustiniani, Capitano Generale dei Cavalieri di Malta.
Il corno sinistro si componeva di 40 galee e 2 galeazze veneziane, 10 galee spagnole e napoletane, 2 pontificie e 1 genovese, per un totale di 53 galee e 2 galeazze al comando del provveditore generale Agostino Barbarigo, ammiraglio veneziano.
Il corno destro era invece composto di 25 galee e 2 galeazze veneziane, 14 galee genovesi, 10 galee spagnole e siciliane e 2 pontificie, 2 sabaude, per un totale di 53 galee e 2 galeazze, tenute dal genovese Gianandrea Doria.
Le spalle dello schieramento erano coperte dalle 30 galee di Alvaro de Bazan di Santa Cruz: 13 spagnole e napoletane, 12 veneziane, 3 pontificie, 2 genovesi. L’avanguardia, guidata da Juan de Cardona si componeva di 8 galee: 4 siciliane e 4 veneziane.
In totale la flotta cristiana si componeva di 6 galeazze, 206 galee, 30 navi da carico, circa 13000 marinai, circa 44000 rematori, circa 28000 soldati con circa 1800 cannoni.

La flotta ottomana
I Turchi schieravano l’ammiraglio Mehmet Shoraq (detto Scirocco) all’ala destra con 55 galee, il comandante supremo Mehmet Alì Pascià (detto il Sultano) al centro con 90 galee conduceva la flotta a bordo della sua ammiraglia Sultana, su cui sventolava il vessillo verde sul quale era stato scritto 28.900 volte a caratteri d’oro il nome di Allah. In fine l’ammiraglio, considerato il migliore comandante ottomano, Uluč Alì (Giovanni Dionigi Galeni), un abiurato di origini calabresi convertito all’Islam (detto Occhiali), presiedeva all’ala sinistra con 90 galee; nelle retrovie schieravano 10 galee e 60 navi minori comandate da Amurat Dragut (figlio di un noto e temutissimo corsaro).

L’Esca
Per cominciare Don Giovanni decide di lasciare isolate come esca le poche ma fortissime galeazze veneziane al comando di Antonio e Ambrogio Bragadin, parenti del senatore scorticato vivo, camuffandole da navi da carico, le quali all’avvicinarsi dei Turchi ignari, gli scaricano cannonate con una potenza di fuoco probabilmente mai vista prima al mondo fino a quel giorno. Le linee ottomane subiscono molte perdite ma Alì Pascià in preda a furore bellico supera di slancio le galeazze senza impegnarle in battaglia e scaglia tutta la sua flotta in uno scontro frontale; mirano unicamente all’abbordaggio della nave di Don Giovanni per provare ad ucciderlo subito, ed essendo in superiorità numerica (167-235) tentano di circondarla utilizzando la tattica navale classica; pur se nell’ambito di diversi comandanti turchi non poche voci si erano espresse in senso contrario, il temperamento ed il carisma del Sultano Alì Pascià spinge i Turchi, in favore di vento, a scatenare la battaglia.

Lo Scontro
Per i cristiani gli scontri all’inizio coinvolgono pesantemente il veneziano Barbarigo, che è alla guida dell’ala sinistra e posizionato sotto costa; deve parare il colpo di Scirocco, impedire che il nemico possa insinuarsi tra le sue navi e la spiaggia per accerchiare la flotta cristiana. La manovra ha solo un parziale successo e lo scontro si accende subito violento. La stessa galea di Barbarigo diventa teatro di un epica battaglia nella battaglia con almeno due capovolgimenti di fronte. Ferito gravemente alla testa, Barbarigo muore e le retrovie devono correre in soccorso dei veneziani per scongiurare la disfatta: con l’arrivo della riserva del Marchese di Santa Cruz le sorti si riequilibrano ed anche Scirocco viene catturato, ucciso e decapitato.
Al centro degli schieramenti Alì Pascià cerca e trova la galea di Don Giovanni d’Austria la cui cattura risolverebbe definitivamente lo scontro. Contemporaneamente altre galee impegnano Venier e Marcantonio Colonna. Molti sono gli episodi di eroismo: l’equipaggio della galera Fiorenza dell’Ordine di Santo Stefano viene tutto ucciso salvo il suo comandante Tommaso de’ Medici con quindici uomini. Sulla galea di Don Giovanni invece si ripete lo scontro a cui ha partecipato Barbarigo, e la battaglia frontale si fa’ cruenta. Con un rumore assordante i Turchi iniziano l’assalto alle navi di Don Giovanni suonando timpani, tamburi, flauti. Il vento è a loro favore. La flotta di Don Giovanni è nel più assoluto silenzio. Quando i legni giungono a tiro di cannone i cristiani ammainano tutte le loro bandiere e Don Giovanni innalza lo Stendardo di Lepanto con l’immagine del Redentore Crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti ricevono l’assoluzione secondo l’indulgenza concessa da Pio V per la crociata. Il vento improvvisamente cambia direzione. Le vele dei Turchi si afflosciano e quelle dei cristiani si gonfiano. Don Giovanni d’Austria punta diritto contro la Sultana. Il reggimento di Sardegna dà l’arrembaggio alla nave turca che diviene il campo di battaglia. I musulmani a poppa e i cristiani a prua. Al terzo assalto i sardi arrivano a poppa. Don Giovanni viene ferito ad una gamba. Più volte le navi avanzano e si ritirano, Venier e Colonna devono disimpegnarsi per accorrere in aiuto a Don Giovanni che sembra avere la peggio assieme all’onnipresente Marchese di Santa Cruz.
A sinistra, al largo, la situazione è meno cruenta ma un po’ più complicata. Giovanni Andrea Doria disponeva dello stesso numero di galee del Barbarigo ma davanti a sé trova 90 galee, quasi il doppio dei nemici fronteggiati dai veneziani ed oltretutto in un’area molto più ampia di mare aperto; per questo pensa ad una soluzione diversa dallo, scontato negli esiti, scontro diretto. Giovanni Andrea Doria infatti, ad un certo momento della battaglia si sgancia con le sue navi genovesi facendo vela apparentemente verso il mare aperto. Non è chiaro il motivo di questa manovra, fatto sta che, tornato sui suoi passi, egli piomba alle spalle dello schieramento ottomano e pur trovandosi di fronte ad un numero doppio di navi avversarie le dissesta totalmente.

Gli eventi del corno destro
Il ruolo di Gianandrea Doria è sempre stato oggetto di disputa da parte degli storici veneziani: gli antagonisti dei genovesi insinuarono che lui si fosse defilato per preservare il proprio naviglio ma, rientrando prepotentemente in battaglia, colpendo, del tutto inatteso, un fianco della flotta ottomana e decidendone le sorti, i suoi difensori ne affermano l’intenzione studiata e attuata: in realtà nonostante avesse avuto l’ordine, ugualmente al Barbarigo, di difendere e proteggere il fianco della flotta di Don Giovanni per impedire l’accerchiamento delle sue navi che si trovavano sotto un violento attacco frontale, inaspettatamente spaccò il lato destro dello schieramento cristiano anche se alcune galee veneziane sotto il suo comando si sarebbero rifiutate di seguirlo preferendo puntare sul centro della battaglia; a quel punto Uluc Ali si insinua tra la flottiglia genovese pensando fosse in fuga attaccando il fianco destro dello schieramento di Don Giovanni e procurandogli forti perdite; Uluc Alì, con il vento in poppa, aggredisce da dietro la Capitana, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta, al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell’Ordine. La Capitana viene circondata da sette galee. Uluc Alì cattura il vessillo dei Cavalieri di Malta, fà prigioniero Giustiniani, che era stato eroicamente ferito sette volte, e prende a rimorchio la Capitana. a quel punto Doria con un’abile manovra, aggirando lo schieramento ottomano, si contrappone all’incredulo Uluc Ali. Dopo un’ora di cruenta battaglia, Uluc con le poche galee rimastegli è in fuga verso Costantinopoli.

L’Epilogo
Al centro, il comandante in capo ottomano Alì Pascià, già ferito, cade (forse ucciso da una rivolta di rematori cristiani o abbattuto da un’archibugiata) o forse si suicida per evitare l’umiliante cattura. La nave ammiraglia ottomana è abbordata e, contro il volere di Don Giovanni, il cadavere dell’ammiraglio ottomano Alì Pascià è decollato e la testa esposta sull’albero maestro dell’ammiraglia spagnola. La visione del condottiero Ottomano decapitato contribuì enormemente a demolire il morale dei Turchi. Di lì a poco, infatti, alle quattro del pomeriggio, le navi ottomane rimaste, abbandonavano il campo, ritirandosi definitivamente. Il teatro della battaglia si presenta come uno spettacolo apocalittico: relitti in fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini agonizzanti. Erano trascorse quasi cinque ore quando la battaglia ebbe termine con la vittoria cristiana.
Don Giovanni d’Austria riorganizzò la flotta per proteggerla dalla tempesta che minacciava la zona e inviò galee in tutte le capitali della lega per annunciare la clamorosa vittoria: i Turchi avevano perso 80 galee affondate, 117 catturate, 27 galeotte affondate e 13 catturate, 30.000 uomini tra morti e feriti, altri 8.000 prigionieri e 15.000 cristiani liberati dalla schiavitù ai banchi dei remi. Gli Ottomani avevano a stento salvato un terzo (circa 80) delle loro navi e se tatticamente si trattò di una decisiva vittoria cristiana, la vittoria strategica lo fu ancor di più perché segnò l’inizio del declino della potenza navale ottomana nel Mediterraneo.
Nelle città d’occidente la notizia venne accolta in un tripudio di feste e gioia popolare che durarono giorni; ovunque vennero innalzati solenni Te Deum di ringraziamento.
Ancora oggi non sono chiari, e probabilmente mai lo saranno, i meccanismi che hanno condotto alla vittoria della flotta cristiana, e i meriti, o le colpe, o le casualità, o le provvidenze (l’intervento della Beata Vergine Maria, ndr). Ma la bandiera della nave ammiraglia Turca di Mehmet Alì Pascià, presa da due navi Pisane, la “Capitana” e la “Grifona”, si trova, e ognuno può vederla, a Pisa, nella chiesa dei Cavalieri dell’Ordine Cavalleresco Sacro Militare Marittimo di Santo Stefano Papa e Martire, fondato da Cosimo I de’ Medici granduca di Toscana.

Armamenti
Sicuramente lo schieramento cristiano vinse anche grazie alla superiorità schiacciante delle inabbordabili e potentemente armate galeazze e al superiore armamento individuale: infatti i suoi soldati potevano contare sugli archibugi, mentre quelli turchi erano ancora armati con archi e dardi. Il vascello più importante dello schieramento cristiano, era la galeazza veneziana. Al contrario della galea comune, questa è sovradimensionata, con ponte a coprire i banchi dei rematori, parzialmente corazzata e pesantemente armata non solo a prua e a poppa ma anche sulle fiancate. Le linee in realtà possono trarre in inganno chi non le conosce confondendole con vascelli da carico, cosa che tra l’altro accadde ai turchi. Solo sei di queste unità rinforzano lo schieramento cristiano ma saranno tanto devastanti sulle galee nemiche quanto sul morale dei loro equipaggi. Per assurdo, con la galeazza si raggiunge l’apice dell’evoluzione della galea, ma nel contempo rappresenta il canto del cigno. Le galee con la loro propulsione a remi verranno progressivamente sostituite da velieri e quindi abbandonate. Le artiglierie pesanti utilizzate all’epoca sui vascelli possedevano un buon rapporto gittata-efficacia fin quasi al chilometro se puntate su schieramenti compatti. Naturalmente quel rapporto peggiorava notevolmente puntando il pezzo su singole galee con ampia libertà di manovra. Per quel che riguarda le armi di piccolo calibro, all’importanza della gittata è lecito pensare che si debba sostituire la capacità di penetrazione delle protezioni individuali nemiche, l’abilità nella mira e la velocità di ricarica del soldato.
I cristiani naturalmente attribuirono la loro vittoria soprattutto alla protezione della Vergine Maria, tanto che nell’anniversario della battaglia fu fissata la festa della Madonna del Rosario.

Conseguenze
Questa battaglia fu la prima grande vittoria di un’armata o flotta cristiana occidentale contro l’Impero Ottomano e, quindi, ebbe anche un’importanza psicologica dato che fino a quel momento i Turchi avevano vinto tutte le 8 principali precedenti battaglie contro i cristiani. Nonostante la devastante sconfitta turca, la scarsa coesione tra i vincitori impedì alle forze alleate di sfruttare appieno la loro vittoria ed ottenere una supremazia duratura sugli Ottomani.
L’Impero Ottomano, infatti (che pure aveva risentito duramente del colpo, tanto da far perdere il sonno per tre interi giorni al Sultano quando fu informato della disfatta), iniziò subito una poderosa opera di ricostruzione della flotta, che si concluse in 6 mesi e a seguito della quale, pur riacquistando la supremazia numerica nei confronti della coalizione cristiana, perse comunque il controllo completo dei mari, specialmente del Mediterraneo occidentale. La sconfitta, però, non permise all’esercito cristiano di riconquistare l’isola di Cipro che era caduta da appena due mesi in possesso ottomano.

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