Le vittime cristiane del terrorismo non interessano ai media
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 2/16 del 7 gennaio 2016, San Luciano
Il 1° gennaio 2016 la notizia d’apertura di molti organi d’informazione si riferiva alla sparatoria in un pub di Tel Aviv costata la vita a due israeliani. L’avvenimento è stato seguito e commentato accuratamente dai nostri media, portando nelle case degli italiani le immagini della tragedia. Poche ore prima, alcuni ristoranti del quartiere cristiano di Qamishli, in Siria, erano stati presi di mira da bande di terroristi, con la morte di 18 persone tra cui 13 cristiani, l’ennesimo atto terroristico compiuto negli ultimi cinque anni. La notizia è stata data, in poche righe, solo da alcuni media italiani, che hanno però omesso il riferimento ai cristiani; nessuna immagine è stata mostrata al pubblico italiano.
A Qamishli attentato contro i cristiani
Gli organi di informazione italiani danno notizia degli attentati del 30 dicembre in Siria, ma dimenticano di dire che erano indirizzati contro i cristiani
Degli attentati, almeno uno dei quali suicida, che la sera del 30 dicembre hanno causato 18 morti e 45 feriti nella città di Qamishli, situata all’estremo nord-est della Siria, dove si incontrano le frontiere siriana, turca e irachena, gli organi di informazione italiani hanno dato notizia tempestivamente. La sera stessa e la mattina seguente RaiNews, Repubblica, Agi, Euronews e Internazionale hanno informato degli attacchi, successivamente rivendicati dall’Isis, contro due ristoranti e un caffè della città siriana collocata «nel nord-est controllato dai curdi». Euronews ha descritto le strutture bersaglio dell’attentato come «ristoranti curdi».
Nessuna fonte finora ha riportato la notizia correttamente: gli attacchi hanno avuto luogo nel quartiere cristiano della città, e cristiane sono la maggior parte delle vittime: 13 su 18. Qamishli infatti è una città a maggioranza curda che prima della guerra contava 180 mila abitanti, ma ben 40 mila dei suoi residenti sono cristiani, soprattutto siriaci ortodossi (25 mila) e armeni (8.500 sommando cattolici e apostolici) (“ortodossi” e “apostolici” sono scismatici, ndr).
I ristoranti Gabriel e Miami e il caffè Simoni (o al-Qasir secondo altre fonti) nei pressi della chiesa siriaca ortodossa di sant’Efrem, colpiti dagli attentati, sono tutti di proprietà di cristiani siriaci. Un quarto attentatore che avrebbe avuto come bersaglio un centro giovanile sarebbe stato fermato dagli agenti della sicurezza curda. (…)
Tempi
Siria, bombe sui cristiani: “Sono attacchi mirati, ma noi siamo uniti”
Roma. “Un massacro terroristico senza precedenti”, ha detto il patriarca siro-cattolico Ignace Youssef III Younan, commentando quanto avvenuto il 30 dicembre scorso a Qamishli, nord della Siria, a non troppa distanza dai confini con la Turchia a settentrione e l’Iraq a oriente. Tre diversi attentati, subito rivendicati da gruppi che si sono richiamati alla dottrina dello Stato islamico, hanno lasciato a terra diciotto morti, tra cui tredici cristiani. Una quarantina i feriti, alcuni dei quali senza più gambe o braccia. “Quella sera ci si preparava con gioia ed entusiasmo a salutare l’anno nuovo, come da tradizione con le feste e il folclore tipico delle nostre comunità cristiane”, dice al Foglio monsignor Antranig Ayvazian, capo della eparchia cattolico-armena di Qamishli: “Quasi tutti i locali, ristoranti e club giovanili stavano portando a termine i preparativi per il giorno seguente. Alle 20.40, la prima esplosione, al Café Miami, forse per opera d’un attentatore suicida fattosi saltare in aria, ha riferito l’agenzia France Presse. Tre o quattro minuti dopo, la seconda, al ristorante Gabriel. Più tardi, l’attentato al Youth Restaurant, nella parte occidentale della città. Le bombe erano state nascoste all’interno di alcune valigie, posizionate qua e là tra i tavoli, in mezzo ai clienti che si preparavano a tornare a casa”. Il risultato? “Una macelleria. I morti sono tutti giovani e giovanissimi, novelli sposi o persone sposate da pochi anni, padri di bambini piccoli. Quasi tutti cristiani”. Da quattro giorni la città è in lutto, aggiunge il presule: “Un lutto totale”, precisa, al punto che nelle chiese e nei luoghi di ritrovo si sente spesso citare il passo biblico del profeta Geremia in cui “Rachele piange i suoi figli e, proprio perché essi non ci sono più, non può essere consolata”. Un lutto che ha unito tutti i cristiani di Qamishli. (…)
E’ la prima volta che i cristiani della città all’estremo lembo settentrionale della Siria vengono presi di mira in modo così diretto. I miliziani fedeli al califfo ci avevano già provato lo scorso giugno, ma la resistenza (con il supporto delle Forze armate governative) avevano evitato a Qamishli il destino di tante altre città del paese, rese spettrali dalla guerra civile e dall’avanzata jihadista. Qamishli che, nel frattempo, aveva accolto milleottocento cristiani e più di quattrocento famiglie musulmane scappate da Hassaké, ottanta chilometri più a sud. Il luogo colpito a fine anno è simbolico, sottolinea mons. Ayvazian: “La nostra città, a differenza di altre, è un bastione cristiano di certo polietnico, ma altrettanto unito. E’ un mosaico di antiche chiese orientali, vecchie di storia quanto lo è il cristianesimo. Dal 2011 a oggi, Qamishli era rimasta ai margini della violenza che imperversa altrove, tant’è che migliaia di profughi venivano qui, avviando anche alcune piccole aziende per cominciare una nuova vita. L’armonia era il tratto caratterizzante: arabi, curdi, armeni, siriaci, caldei e assiri. Nessun problema, ci sono perfino quartieri popolari ‘misti’ ”, aggiunge il capo della locale eparchia cattolico-armena. La zona centrale, però, “è sempre stata a maggioranza cristiana e a difenderla c’erano gruppi di giovani miliziani anch’essi cristiani”. Il patriarca siro-cattolico, Younan III, vede nel duplice attentato “un messaggio cupo che i terroristi hanno voluto indirizzare ai cristiani di questa città, seminando morte e lacrime”. (…)
Il Foglio