Prodotti cristiani della Terra Santa
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 91/14 del 19 novembre 2014, Sant’Elisabetta d’Ungheria
Chi assicura la produzione del vino e della birra in Palestina. La storia della famiglia Khoury di Taybeh
“Il primo imbottigliamento sarà eseguito nel mese di maggio. Sarà un vino 100% syrah, il mio vitigno preferito”. Canaan Khoury, 23 anni, diplomato ad Harvard in ingegneria meccanica, appartiene a una famiglia che possiede vari vitigni nei dintorni di tre villaggi a maggioranza cristiana: Taybeh, ultima cittadina interamente cristiana ad essere rimasta nei territori palestinesi, Birzeit e Aboud.
Taybeh conta 2000 abitanti ed è a 30 km a nord di Gerusalemme: “È l’unico villaggio in cui si possa produrre alcool in quantità industriali senza rischiare di urtare le credenze del vicino”, afferma Canaan. Quest’ anno, la famiglia Khoury ha raccolto 25 tonnellate di uva, per un totale di circa 25000 bottiglie ma non ha ancora deciso quale sarà il nome del vino.
La Cisgiordania conosce solo due antecedenti di produzione vinicola: i monasteri di Latroun e di Cremisan. “Oggi non sono neanche più vini propriamente palestinesi. Il primo monastero è stato integrato al territorio israeliano nel 1967. Il secondo conoscerà ben presto lo stesso destino, dato il progetto di costruzione di un muro nella Valle del Cremisan, vicino Betlemme”, spiega Canaan. La Cisgiordania importa il suo vino da paesi stranieri (Francia, Italia, Argentina soprattutto) e accetta vino da Israele solo se prodotto da arabi israeliani.
La famiglia Khoury, il padre e lo zio di Canaan, nel 1995 hanno aperto a Taybeh l’unica fabbrica di birra esistente nei territori palestinesi dove erano tornati dopo trent’anni di esilio negli Stati Uniti. “La scelta della birra è dovuta alla passione, perché la birra fatta in casa è una tradizione familiare, ma anche perché è una nicchia interessante: in Palestina le bevande alcoliche non sono sottomesse a nessuna tassa di produzione”, specifica il padre di Canaan, che continua dicendo: “Abbiamo fatto la scelta di una resistenza pacifica. I palestinesi si stavano dimenticando che il nazionalismo significava anche consumare i propri prodotti. La pace non è mai venuta ma la fabbrica di birra produce ormai 6000 ettolitri di birra l’anno, organizza la sua propria Oktoberfest ed esporta in Belgio, in Germania e in Giappone. Il principale sbocco resta il mercato domestico, con città come Gerusalemme, Ramallah e Betlemme, dove turisti e cristiani sono numerosi. Con quest’esperienza abbiamo sviluppato una buona rete commerciale che Canaan conta di sfruttare per il vino”.
Da poco, la famiglia Khoury è riuscita a negoziare il diritto di esportare verso Gerusalemme via il check-point di Betounia, situato a una decina di chilometri a sud-ovest di Taybeh, dopo esser stati obbligati per anni a passare da un check-point a 60 km a sud del loro villaggio.
Alla lista degli ostacoli geopolitici si aggiunge anche il costo del trasporto (quasi due volte più caro da Taybeh al porto israeliano di Ashdod che da Ashdod Tokyo), un approvvigionamento in acqua aleatorio e il prezzo esorbitante dell’acqua destinata all’agricoltura (cinque volte più caro in Cisgiordania che in Israele). Niente tuttavia sembra scalfire l’entusiasmo di Canaan, che fa sapere che in un primo momento il vino sarà disponibile solo in Cisgiordania per una cifra equivalente a 10 euro a bottiglia.
Articolo di Florence Trainar, da Le Monde del 14/03/2014, traduzione di Chiara Cartia, dal sito arabpress