Iraq e Siria: l’Occidente ha consegnato i cristiani nelle mani del “califfato” terrorista
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 66/14 del 2 luglio 2014, Visitazione
Domanda retorica: perché i giornalisti che in questi giorni sono impegnatissimi nel narrare nei minimi particolari la tragica sorte dei tre ragazzi israeliani uccisi in Palestina, negli ultimi anni e in particolare negli ultimi mesi non hanno trovato il tempo e il modo di parlare della persecuzione e del martirio di migliaia di cristiani della Siria e dell’Iraq?
Ecco le 16 regole imposte dai terroristi islamici alla città di Mosul (Iraq): crocifissioni, amputazioni e donne segregate
Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) ha pubblicato un editto per informare i cittadini delle nuove regole vigenti in città secondo la sharia. Due giorni dopo la presa di Mosul, la seconda città più grande dell’Iraq, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) ha pubblicato un editto per informare i cittadini delle nuove regole vigenti in città secondo la sharia. Il documento è diviso in 16 punto e impone gli stessi obblighi già applicati nella città siriana di Raqqa.
TRIBUTO AI CRISTIANI. Vi abbiamo già parlato della gizya, il tributo umiliante imposto ai cristiani di «minimo 250 dollari», da pagare necessariamente per mantenere la propria fede nel califfato islamico. L’Isil proibisce anche il politeismo, l’apostasia e prevede come unica via di salvezza per la polizia e i soldati dell’esercito di Al Maliki una forma di pentimento pubblica.
PREGHIERA OBBLIGATORIA. I musulmani saranno obbligati a seguire in moschea la preghiera cinque volte al giorno, come previsto da uno dei pilastri dell’islam. Consumare droghe, alcol e tabacco è vietato, chi ruba verrà punito con l’amputazione di un arto, mentre chi uccide subirà la crocifissione in piazza.
DONNE IN CASA. Le donne «devono restare in casa, uscire solo se necessario, il loro ruolo è provvedere alla stabilità del focolare». Qualora dovessero uscire di casa, è necessario che siano accompagnate da un familiare maschio e che vestano l’hijab. I soldi rubati dalle banche e negozi sono a disposizione esclusiva dei terroristi e saranno amministrati da un imam. I leader tribali sunniti, così come gli altri, non devono collaborare con il governo e i traditori.
SANTUARI SARANNO DISTRUTTI. Protestare in pubblico è vietato, così come esporre bandiere diverse da quella nera dell’Isil. Anche possedere armi non è più possibile, visto che «Dio ci ha chiesto di restare uniti». Tutti i santuari, le tombe e le statue idolatre devono essere distrutte. La statua della Madonna che sormontava la torre-orologio della chiesa dell’Immacolata di Mosul è già stata tirata giù e distrutta. «All’inizio abbiamo preso queste informazioni con le pinze», dichiara al Corriere della Sera padre Tahir Essa. «Eppure l’islamizzazione forzata in nome del Califfato è ormai una realtà. E proprio per questo stiamo cercando di fare uscire da Mosul gli ultimi circa 500 cristiani».
Tempi
Appello dell’Arcivescovo siro cattolico Moshe alla comunità internazionale: salvateci!
Qaraqosh è quasi una città fantasma. Più del novanta per cento degli oltre 40mila abitanti, quasi tutti cristiani appartenenti alla Chiesa siro-cattolica, sono fuggiti negli ultimi due giorni davanti all’offensiva degli insorti sunniti guidati dai jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), che sottopongono l’area urbana al lancio di missili e granate. Tra i pochi rimasti in città ci sono l’Arcivescovo di Mosul dei Siri, Yohanna Petros Moshe, alcuni sacerdoti e alcuni giovani della sua Chiesa, che hanno deciso di non fuggire. Nel centro abitato, nelle ultime due giornate, sono arrivate armi e nuovi contingenti a rafforzare le milizie curde dei Peshmerga che oppongono resistenza all’avanzata degli insorti sunniti. L’impressione è che si stia preparando il terreno per lo scontro frontale.
Nella giornata di ieri, l’Arcivescovo Moshe ha tentato una mediazione tra le forze contrapposte con l’intento di preservare la città di Qaraqosh dalla distruzione. Per il momento, il tentativo non ha avuto esito. Gli insorti sunniti chiedono alle milizie curde di ritirarsi. I Peshmerga curdi non hanno alcuna intenzione di consentire agli insorti di avvicinarsi ai confini del Kurdistan iracheno.
In questa situazione drammatica, da Qaraqosh l’Arcivescovo Moshe attraverso l’Agenzia Fides vuole lanciare un pressante appello umanitario a tutta la comunità internazionale: “Davanti al dramma vissuto dal nostro popolo mi rivolgo alle coscienze dei leader politici di tutto il mondo, agli organismi internazionali e a tutti gli uomini di buona volontà: occorre intervenire subito per porre un argine al precipitare della situazione, operando non solo sul piano del soccorso umanitario, ma anche su quello politico e diplomatico. Ogni ora, ogni giorno perduto, rischia di rendere tutto irrecuperabile. Non si possono lasciar passare giorni e settimane intere nella passività. L’immobilismo diventa complicità con il crimine e la sopraffazione. Il mondo non può chiudere gli occhi davanti al dramma di un popolo intero fuggito dalle proprie case in poche ore, portando con sé solo i vestiti che aveva addosso”.
L’Arcivescovo siro cattolico di Mosul delinea con poche vibranti parole la condizione particolare vissuta dai cristiani nel riesplodere dei conflitti settari che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza stessa dell’Iraq: “ Qaraqosh e le altre città della Piana di Ninive sono state per lungo tempo luoghi di pace e di convivenza. Noi cristiani siamo disarmati, e in quanto cristiani non abbiamo alimentato nessun conflitto e nessun problema con i sunniti, gli sciiti, i curdi e con le altre realtà che formano la Nazione irachena. Vogliamo solo vivere in pace, collaborando con tutti e rispettando tutti”.
Il sacerdote siro cattolico Nizar Semaan, collaboratore dell’Arcivescovo Moshe, spiega a Fides che “l’appello è rivolto anche a quei governi occidentali ed europei che spesso parlano dei diritti umani in maniera intermittente e interessata, sprofondando poi in un mutismo di comodo quando le loro operazioni e le loro analisi dei problemi del Medio Oriente si rivelano miopi e fallimentari. Per essere chiari, l’Arcivescovo non chiede di risolvere la situazione mandando altre armi in Medio Oriente. Sono stati anche gli interventi armati occidentali a scatenare il caos pieno di sangue e violenza che fa soffrire i nostri popoli stremati”.
Fides.org
L’Isis crocifigge i nemici e proclama il “Califfato” nei territori conquistati di Siria e Iraq
Sfruttare la croce, un simbolo cristiano, per terrorizzare membri interni e nemici; dichiarare la nascita del Califfato, per affermare il controllo sui territori di Siria e Iraq finora conquistati, legittimando le mire volte alla creazione di un nuovo “Stato islamico”. Sono queste le ultime, terribili notizie che provengono dalle aree di guerra del Medio oriente e che confermano la strategia del terrore adottata dai miliziani. Nel fine settimana lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis, formazione sunnita jihadista legata ad al Qaeda) ha proclamato la nascita del califfato nei territori occupati in Siria e in Iraq. Il leader del movimento islamista, Abu Bakr al-Baghdad, intende assumere la carica di “califfo” e “capo dei musulmani di tutto il mondo”. L’annuncio è stato preceduto dalla crocifissione di nove persone nel centro di Deir Hafer, un villaggio ad est di Aleppo, nei territori siriani sotto il controllo dell’Isis. Tra le vittime otto ribelli “responsabili” di combattere con organizzazioni rivali e un ex militante, incriminato per estorsione ai danni dei civili.
Il movimento jihadista internazionale persegue il progetto di dar vita a un “Califfato”, in cui vige una applicazione rigida della Sharia. La nuova realtà territoriale stravolgerebbe i confini fissati da Gran Bretagna e Francia nel XXmo secolo, all’indomani della caduta dell’impero ottomano; essa si estenderebbe da Aleppo, nel nord della Siria, fino alla provincia di Diyala nell’Iraq orientale. Abu Bakr al-Baghdad assumerebbe la guida suprema del nuovo Stato, col soprannome di “Califfo Ibrahim”, mettendo al bando “la democrazia e altre spazzature simili provenienti dall’Occidente”. In risposta, l’esercito di Baghdad ha lanciato un’offensiva per riprendere il controllo di Tikrit, nel nord, dall’11 giugno nelle mani degli islamisti. La Russia ha inviato il primo lotto di aerei da caccia, che Mosca ha fornito al governo di Baghdad per contribuire alla lotta contro i miliziani. (…)
In un contesto di guerra, divisioni sempre più marcate e violenze sanguinarie, la Chiesa caldea irakena ha celebrato il Sinodo dal 24 al 28 giugno scorso a Erbil, nel nord; in un primo momento l’incontro dei vescovi avrebbe dovuto svolgersi a Baghdad, ma si è optato per una zona più sicura e al riparo – sinora – dai raid degli islamisti. Al termine i prelati hanno diffuso un comunicato ufficiale, in cui si appellano ai governanti perché in questo “tragico” contesto sappiano preservarne “l’unità nazionale” e “tutte le componenti”. Essi indicano nel “dialogo” l’unico mezzo per portare il Paese fuori dal “lungo tunnel” e scongiurare guerra civile o divisioni interne. Dai vescovi viene rivolto un pensiero alle migliaia di famiglie – cristiane e non – sfollate da città e villaggi, le cui condizioni “sono gravi”. (…) Alla comunità internazionale viene rivolto l’invito ad aiutare l’Iraq a trovare una “soluzione politica” alla crisi per scongiurare il pericolo di distruzione della nazione; infine, l’appello a Dio perché “salvi l’Iraq e gli irakeni”.
Asianews
Due suore e tre giovani caldei fermati a Mosul dai jihadisti dell’ISIL
Dalla giornata di sabato 28 giugno si sono persi i contatti con suor Atur e suor Miskinta, due religiose caldee della Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata, che erano rientrate in auto a Mosul dalla città di Dohuk in compagnia di due ragazze e di un ragazzo cristiani. I cinque componenti dell’equipaggio risultano irraggiungibili al cellulare. Secondo quanto riferito all’Agenzia Fides da fonti del Patriarcato caldeo, le due suore e i tre ragazzi sono stati fermati da miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL) che per ora confermano le loro buone condizioni e affermano di tenerli in stato di fermo per garantire la loro “sicurezza”. Le autorità ecclesiastiche sono in contatto permanente con i capi religiosi della comunità sunnita di Mosul per tenere sotto controllo la situazione e fare in modo che i fermati tornino al più presto a godere della piena libertà di movimento.
Le due suore curano e gestiscono una casa-famiglia per orfane di Mosul, nei pressi dell’arcivescovato caldeo. Davanti all’offensiva islamista iniziata lo scorso 9 giugno, le suore e tutti gli ospiti della casa-famiglia avevano lasciato Mosul trovando rifugio nella città di Dohuk, nel Kurdistan iracheno. Da lì suor Atur aveva già effettuato rapide sortite a Mosul per verificare le condizioni della casa e recuperare oggetti e strumenti di lavoro e di studio per le ragazze, costrette ad abbandonare le proprie dimore. “In tutti questi anni tremendi per il nostro Paese” riferisce a Fides suor Luigina Sako, Superiora delle Suore Caldee, con voce rotta dal pianto “suor Atur e suor Miskinta hanno fatto un grande lavoro, senza mai abbandonare Mosul e consentendo alle ragazze di studiare. Siamo in angoscia per loro, soprattutto per le ragazze”.
Fonti locali contattate da Fides confermano che la situazione rimane critica soprattutto a Mosul, per buona parte controllata dagli insorti sunniti guidati dai miliziani dell’ISIL che hanno istallato una propria base anche nella sede dell’arcivescovato caldeo. I villaggi della Piana di Ninive, come Qaraqosh e Kramles, registrano il rientro di una parte della popolazione fuggita nei giorni scorsi. Tuttavia manca l’acqua e l’elettricità e sono saltati tutti i servizi gestiti dagli enti pubblici, come i trasporti e la raccolta di rifiuti.
Fides.org