Il martirio della Siria cristiana
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 1/14 del 3 gennaio 2014, Santa Genoveffa
Gregorios III Laham e i martiri siriani
Conferenza stampa del Patriarca di Antiochia dei Melkiti e di tutto l’Oriente per sua Beatitudine Gregorios III Laham, a Roma, i primi di dicembre. … Sala piccola, ma affollata quella che ascolta il Patriarca a Santa Maria in Cosmedin, chiesa legata a quel rito Orientale che abita nella terra di Gesù. La Siria è una «nazione martire», esordisce, accennando al tragico momento che vive il suo Paese, travagliato da un confronto che sembra non dover finire. E tra le sue mani scorre un rosario, che non lascerà fino alla fine del discorso, come a cercare alimento al suo dire, che è denuncia, appello e, appunto, preghiera.
In Siria imperversano circa «2000 bande» di assassini, che uccidono e saccheggiano, continua. E nella quale, insieme ai musulmani, vengono uccisi tanti cristiani, molti dei quali per la loro fede, come testimonia anche la vicenda dei «tre martiri» di Ma’alula. E scandisce quei «tre martiri», perché sa di cosa si sta parlando, ché il martirio è la più grande testimonianza cristiana e ne vuol far partecipe la Chiesa e il mondo.
I tre sono stati assassinati quando i ribelli avevano preso il villaggio cristiano questa estate. Tre giorni di terrore generalizzato, prima di essere scacciati dalle forze governative. Quando parlava, sua Beatitudine era ancora ignaro che Ma’alula, sperduto villaggio arroccato sui monti che è il cuore della presenza cristiana in Siria – i suoi monasteri e le sue chiese risalgono ai primordi dell’evangelizzazione – sarebbe caduto, di lì a poco, ancora una volta nelle mani delle milizie anti-Assad, le quali hanno sequestrato le suore del convento di Santa Tecla e dato alle fiamme parte dell’abitato. Allora nel villaggio ci vivevano poche persone, dal momento che gli altri erano dispersi altrove, sospirando il ritorno alla casa perduta.
Ma la storia di quei tre martiri appare, oggi, ancora più significativa. Ne racconta l’uccisione, il Patriarca, avvenuta uno dopo l’altro in odium fidei, come di cosa accertata, ché alla loro feroce esecuzione ha assistito un testimone oculare, nascosto per evitare il loro destino. (…)
Ma la vicenda dei cristiani di Ma’alula è solo parte delle sofferenze che attanagliano i cristiani siriani, che con i loro confratelli musulmani sono chiamati a subire non solo le sofferenze dirette del conflitto, la morte, ma anche quelle indirette: le privazioni, la paura che si propaga d’intorno, alla quale nessuno può fuggire. Ma il Patriarca parla anche di altre sofferenze, quelle di un pastore che vede il suo gregge privato del suo alimento spirituale: ci sono intere zone dove non si può celebrare il sacrificio eucaristico, senza sacerdoti, senza sacramenti… chiese abbandonate, monasteri vuoti. E sembra sospirare mentre parla dell’abominio della desolazione che abita in Siria.
Cose che si sanno poco, anche perché uno dei problemi di questa guerra è la disinformazione, che non è un accidente casuale, ma appartiene alla logica di questo conflitto, ne è elemento decisivo per poter alimentare il conflitto, spiega il Patriarca. D’altronde i conflitti moderni si fanno così: serve il consenso della pubblica opinione, quindi serve la manipolazione.
Questa guerra, come altre occorse in Medio Oriente, spaventa i cristiani, li spinge ad abbandonare il Paese. È una storia che si ripete: dal dopoguerra ad oggi, ricorda il Patriarca, dopo ogni crisi mediorientale la popolazione cristiana è diminuita, constatazione desolante per un pastore che vede la terra di Gesù privarsi anche dello sparuto piccolo gregge rimasto. Ma questa spoliazione non è solo un dramma per la Chiesa.
È una tragedia per il mondo arabo e per il mondo intero, spiega Gregorios III Laham, perché il mondo arabo è tale perché al suo interno vivono realtà non islamiche, ovvero le minoranze cristiane. Quando non sarà più così, se mai ci si arriverà, il mondo arabo coinciderà tout court con il mondo islamico, creando una polarizzazione pericolosa tra questo e il resto del mondo.
I cristiani, scandisce, non sono filo Assad o contro Assad, vogliono la pace: per il Paese martoriato, per la popolazione stremata. Una pace che è necessaria se si vuole evitare che il Medio oriente si infiammi, che questa guerra dilaghi e sommerga nella sua follia il vicino Libano, la Giordania e altri Paesi d’attorno. Un tempo, conclude il Patriarca, la «chiave» del Medio oriente era il conflitto israelo-palestinese. Oggi la chiave per la pace in Medio Oriente è la Siria: non ci sarà pace nella regione se non si troverà una soluzione al conflitto siriano. Se si risolve questa crisi allora anche il processo di pace israelo-palestinese potrà riuscire e con questo si potranno sciogliere quei nodi ancora irrisolti che stringono il mondo arabo in una morsa di ferro.
Alcune domande si incrociano in sala quando Gregorios III Laham conclude il suo intervento. Risponde con pacatezza il Patriarca. Uno dei presenti che si interroga sul fatto che il piccolo gregge che abita i Paesi del Medio Oriente è poco noto alla cristianità occidentale. La domanda rivolta al Patriarca lascia perplessi, ma lui, per tutta risposta prende un Ipad e con pacatezza fa andare due video. In un uno di questi un uomo recita una poesia. È di Maalula l’autore e non ne capiamo le parole, ma basta vedere il volto del Patriarca che ha un moto di commozione a quella che sembra una struggente richiesta di pace. Forse una preghiera. E una preghiera è certamente quella recitata da alcuni fanciulli nell’altro video.
Sono bambini di Maalula e recitano il Padre nostro. In aramaico, la lingua di Gesù, dice il Patriarca ai presenti. E il cuore è toccato da quelle voci bambine che recitano l’unica preghiera che ci ha insegnato il dolce Gesù, consegnata a noi dai Vangeli. Con quelle stesse parole uscite dalla Sua bocca, quando, presumibilmente, la recitava insieme ai suoi, duemila anni fa. E c’è un rimando segreto, un’armonia profonda, tra quella cara memoria e le voci bambine che risuonano argentine dal video di un Ipad. E che, oggi come allora, chiedono al Padre: «Venga il tuo regno, come in Cielo così in terra». Così in terra: questo ci ha chiesto di domandare Gesù.