Il Grande Fratello Usa entra nelle banche svizzere
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 62/13 del 17 giugno 2013, Sant’Imerio
Segreto bancario: la fine di un’era
di Alfonso Tuor
Nel confronto con gli Stati Uniti occorre evitare di trasformare un passo indietro in una disfatta disonorevole
Sta provocando un grande scatto di orgoglio nazionale il diktat statunitense relativo alla vertenza fiscale con il nostro Paese. La Commissione del Consiglio degli Stati ha invitato il plenum a bocciare l’intesa raggiunta con Washington. Quindi, contrariamente a molte previsioni, la Svizzera non si vuole piegare un’ennesima volta ai voleri della superpotenza e non vuole nemmeno seguire i pressanti inviti delle nostre banche che vogliono un’intesa che le liberi dalle gravi incertezze legali ed economiche di uno scontro con gli Stati Uniti. Un no delle Camere federali non vorrebbe dire necessariamente un no all’accordo raggiunto con Washington. Infatti il Parlamento, come è probabile, può demandare la soluzione di questa patata bollente al Consiglio federale che potrebbe aderire alle richieste statunitensi.
Il mal di pancia dei principali partiti elvetici è dovuto alla forte opposizione di gran parte della popolazione che legge l’approvazione di questa intesa come una resa allo strapotere statunitense e, quindi, come un pesante colpo alla sovranità del nostro Paese. E’ difficile non condividere questo stato d’animo. L’accordo con gli Stati Uniti ferisce profondamente l’amor patrio elvetico. Basti pensare che l’accordo prevede in buona sostanza di sospendere per un anno la legislazione elvetica, in modo da consentire alle nostre banche di trasmettere a Washington dati sui clienti americani e sui collaboratori attivi in queste attività.
Resta comunque probabile che la Svizzera sia destinata a piegarsi ai voleri di Washington. Infatti il terreno di scontro non è favorevole per il nostro Paese. Le banche vogliono risolvere il loro contenzioso con gli Stati Uniti e per fare ciò hanno bisogno di norme speciali che evitino di violare le leggi svizzere. Il desiderio di giungere ad un’intesa è dovuto ai timori delle possibili misure di ritorsione americane che potrebbero vietarne l’accesso al mercato del dollaro e a quello dei derivati e quindi limitare pesantemente la loro operatività. Quindi i danni di una mancata intesa potrebbero essere molto pesanti per la nostra piazza finanziaria. Inoltre – ed è questo il punto più dolente – alcuni nostri istituti non hanno capito che non era più il caso di “giocare” con gli Stati Uniti. Alcune hanno addirittura assunto team di consulenti con la relativa clientela americana in fuga prima da UBS e poi dalla Banca Wegelin. E’ quindi giusto ricordare che le banche hanno contribuito in modo determinante a mettere il nostro Paese in questa delicata situazione.
Il secondo motivo è che la Svizzera deve ormai prendere atto che l’era del segreto bancario è agli sgoccioli. Su questo tema vi è oramai un chiaro consenso internazionale. Quindi la Svizzera potrebbe contare su pochi sostegni ad impegnarsi in un confronto su questo tema. Anzi, molto probabilmente avrebbe molto da perdere, anche se molti Paesi (dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna) predicano bene, ma razzolano male, come dimostrano le legislazioni fiscali dello stato americano del Delaware e i casi delle Isole della Manica. Ciò non basta a salvarci, poiché nelle relazioni internazionali contano solo i rapporti di forza.
Si arriva quindi al punto centrale: in Svizzera non si è cominciato solamente da poco tempo a condurre una discussione seria sulla possibilità di salvare il segreto bancario. In realtà, bisogna cominciare a prendere atto che è finita un’era. Ora si tratta di uscire da questo vicolo cieco cercando di ottenere qualche contropartita. Tutto quanto sta succedendo rischia invece di tradurre quella che potrebbe essere un passo indietro in una ritirata disonorevole, anche perché presto si apriranno i negoziati con l’Europa che non si preannunciano facili.