2024 Comunicati Featured image  25 / 11 / 2024

La Chiesa venera i santi, i cattivi maestri preferiscono i falsi miti

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 87/24 del 25 novembre 2024, Santa Caterina d’Alessandria

La Chiesa venera i santi, i cattivi maestri preferiscono i falsi miti

Oggi la Chiesa festeggia santa Caterina d’Alessandria, una donna colta uccisa da un gruppo di fanatici ad Alessandria a causa delle sue idee. Questa descrizione la storiografia ufficiale (che si interessa dei santi solo per denigrali) la riferisce a Ipazia, una specie di Giordano Bruno ante litteram, venerata dai sostenitori del pensiero libero. Tra i cultori del mito di Ipazia vi è anche Franco Cardini (insignito nel 2013 dal Grande Oriente d’Italia dell’onorificenza “Galileo Galilei”). Per l’occasione ripubblichiamo un articolo di don Ricossa con uno scritto di mons. Umberto Benigni.  Quanto ai cattivi maestri e ai falsi miti, purtroppo anche nell’ambito del “tradizionalismo” cattolico (?) serpeggiano simpatie pericolose, come quelle filo-evoliane o filo-guenoniane.

Il mito di Ipazia, di don Francesco Ricossa (n. 64 della rivista Sodalitium)

Lo storico medievista Franco Cardini è noto come cattolico, e persino, per quel che valgono certe etichette, tradizionalista, e lui stesso si presenta come cattolico praticante.

Certuni si sono stupiti di alcune sue dichiarazioni, in margine al cosiddetto “caso Williamson”, con le quali Cardini si diceva d’accordo con Gad Lerner nel definir Gesù Cristo ebreo e non cristiano, essendo il cristianesimo invenzione di Paolo di Tarso (leggi: San Paolo), tesi questa di cui fu autore un ebreo, e mille volte confutata. Scrive Cardini:

«Per il resto, Lerner richiama Oz il quale ha sottolineato come Gesù fosse non cristiano, bensì ebreo: hanno perfettamente ragione, tanto Oz quanto Lerner. Il punto é che il Gesù dei cristiani non si esaurisce nel Gesù storico: il cilicio Saul, un tessitore nato non lontano dal Libano terra natale di Lerner, lo ha spiegato bene (al di là della controversa attribuzione delle sue lettere, come appunto Lerner rammenta). Gesù era certo ebreo: ma il progetto di un cristianesimo “eresia ebraica”, per così dire, è stato accantonato allorché la tesi di Paolo e di Barnaba, quella della Ecclesia e gentibus, ha battuto quella di Pietro e di Giacomo, l’Ecclesia e circumcisione. Il cristianesimo non può non ritenere l’ebraismo “intrinseco” a sé: ma è irrevocabilmente altra cosa rispetto ad esso».

A parte il fatto che Paolo, Barnaba, Pietro e Giacomo si sono trovati d’accordo nel concilio di Gerusalemme, e che fu Pietro e non Paolo il primo ad accogliere i Gentili nella Chiesa (ma non è di questo o di altro che voglio parlare), colpì molti lettori la distinzione messa in atto da Cardini tra “il Gesù dei cristiani” ed il “Gesù storico”, che ricorda fin troppo la modernista opposizione tra il “Gesù della fede” ed il “Gesù della storia”.

Rispondendo ad Andrea Carancini, che gli rimproverava questa affermazione, Cardini rispondeva andando oltre, e mettendo persino in dubbio l’esistenza di Gesù Cristo:

«Che la personalità di Gesù sia autenticamente storica, non è comprovato da sufficienti fonti. Voglio dire che, tradizione scritturale neotestamentaria a parte (sul cui valore storico è aperta una polemica vertiginosa), né Giuseppe Flavio, né Tacito, né Traiano ci forniscono prove storiche sufficienti a ritenere storica la figura di Gesù come riteniamo per esempio storica la figura di Giulio Cesare, sulla quale esiste una quantità di “prove incrociate” di tipo documentario (annali, ma anche documenti legittimamente ritenuti autentici di tipo epigrafico, archeologico, iconico ecc.)».

A questo punto, che Cardini sia cattolico lo può credere solo lui stesso (se, come mi auguro, è in buona fede) a Firenze, oppure lo si può credere a San Marino.

Da parte mia, non mi son stupito, sapendo che Cardini, grande intelligenza che ho avuto il piacere di conoscere negli anni ’70, è di quei pensatori che definisco “esuli figli di Evola”. E sono tanti.

Lo spiritaccio dell’Autore di Imperialismo pagano (edizioni Atanor della dinastia libero-muratoria degli Alvi) spunta qua e là nella penna dello storico toscano, ad esempio nella sua “fissa” per Ipazia. Cardini non perde occasione per parlare ai suoi lettori della “martire” pagana uccisa dai cristiani. L’ultima volta, se non erro, il 14 febbraio 2010 sulle rosee pagine del confindustriale Sole 24 Ore (p. 28), recensendo Azazel, un libro del musulmano egiziano Yosuf Ziedan (1). Dalla letteratura al cinema il passo è breve, e Cardini torna al suo chiodo fisso ed invita i lettori ad andare a vedere Agorà, il film di Alejandro Amenabar, “che parla del martirio della saggia e casta scienziata Ipazia lapidata e fatta a pezzi dai buoni monaci cristiani nell’Alessandria del IV secolo”. Pochi giorni prima, nel suo sito, a data 7 febbraio, e con un articolo intitolato Ipazia, Cardini rincarava la dose:

«È senza dubbio vero che il cristianesimo ha avuto martiri purissimi e tanti uomini e donne che hanno saputo rispondere con l’amore alla persecuzione. Eppure in linea di massima, dall’editto di Teodosio che faceva del cristianesimo l’unica religione di stato dell’impero fino alla colonizzazione-cristianizzazione dei popoli indigeni d’Africa, d’America e d’Australia, la storia della conversione al cristianesimo nel mondo è stata prevalentemente – all’opposto di quanto si dice e si pensa comunemente – una storia di costrizione, di repressione e di oppressione. L’Islam – ancora una volta, contrariamente a quel che si dice e si pensa – ha avuto molto meno bisogno del cristianesimo della violenza per diffondersi.
Così è, se vi pare: e non illudetevi, non è una boutade paradossale. Chi sa qualcosa di storia appena un pochino sul serio, conosce benissimo questo dato di fatto. Chi lo nega, o è ignorante o è in malafede. Sono disposto a deliziarvi con una serie di articoli a puntate su questa divertente questione. Ne sentirete delle belle. E inconfutabili.
Del resto, che parecchi buoni cristiani abbiano ancor oggi la coda di paglia al riguardo, lo prova un fatto di cronaca. In Italia, nonostante le proteste e addirittura la formazione di comitati – dei quali, significativamente, non parla nessuno – non si riesce a vedere nelle sale cinematografiche il film di Alejandro Amenabar (2), Agora.
Perché mai? Le critiche in tutto il mondo sono ottime. Io l’ho visto a Parigi e posso assicurare che è eccellente: storicamente molto attendibile, ben interpretato, avvincente e commovente nella trama, firmato da un regista oggi tra i più apprezzati. E allora, che cos’ha che non va? E chi lo sta fermando?
Alla seconda domanda non so rispondere. Alla prima sì. Che non va, Agorà ha soltanto la storia di Ipazia, che anche i ragazzi del liceo dovrebbero conoscere. Ipazia era la figlia del matematico e filosofo Teone, ultimo rettore – per quanto ne sappiamo – del Museion di Alessandria. Era una giovane e bella donna, filosofa e scienziata a sua volta, votata all’insegnamento, al sapere e alla casta vita di studiosa. Nei tumulti che si verificarono nella città egiziana, tempio del sapere antico, durante il 415 d.C., Ipazia fu catturata da una torma di monaci fanatici venuti dal deserto, trascinata nella chiesa di Kaisarion e fatta letteralmente a pezzi. Dietro quei monaci brutti, sporchi e cattivi – tristemente noti come circelliones o circumcelliones – c’era ohimè la venerabile figura del patriarca alessandrino Cirillo, Padre della Chiesa, che non aveva mancato d’istigare quei fanatici contro la filosofa, accusandola di empietà e di magia. Un suo venerabile collega, Sinesio di Cirene, ch’era stato allievo d’Ipazia e ne conservava un affettuoso e rispettoso ricordo, fu testimone dell’evento.
Certo, può non piacer, in alcune sequenze di Agorà, assistere allo spettacolo di quella gentaglia lugubre che usa le croci come corpi contundenti. Ma non siamo per nulla lontani dalla verita storica».

A Cardini non va giù che il film di Amenabar non si possa vedere in Italia (2). Neppure ad Alessandra Colla, la quale ancor prima riesumò la dimenticata Ipazia nel 1985 pubblicandone la vita, o piuttosto la morte, in un libro intitolato “Quella femmina fatta a pezzi” e stampato dalle edizioni di Ar di Franco Freda, il quale non ha bisogno di presentazione. “Io veramente credo – dice una indignata Alessandra Colla a Giovanna Canzano – che l’Italia sia uno Stato né indipendente né laico: duemila anni di Vaticano sul suolo patrio non sono una realtà da ignorare o da sottovalutare, ed il peso del condizionamento cristiano-cattolico sul costume e sulla società italiani si fa sentire fin troppo spesso – penso al caso Englaro, tanto per fare un esempio” (Chi ha paura di Ipazia? Ariannaeditrice.it; ma allora la svolta laicista di Fini non è del tutto fare futuro, ma tornare alle “edizioni di Ar”? – sia detto senza offesa per Freda). Per il resto, Colla è più equilibrata di Cardini, giacché dichiara che non si può dire che san Cirillo fosse il mandante dell’omicidio della sua eroina.

In realtà quello di Ipazia è fatto oscuro e marginale della storia (della filosofessa non ci è giunta una riga filosofica né conosciamo il pensiero, se non che era neo-platonica; e la sua straordinaria bellezza che la rende figura romantica – scrive ancora Colla -, è tutta da dimostrare, ecc.). Il fatto è che, di tanto in tanto, la povera Ipazia viene riesumata per servire ad interessi che neppure si nascondono. Così, quando nel 1914 il teosofo Augusto Agabiti scrisse Ipazia: la prima martire della libertà di pensiero, tutti sapevano da quali Logge usciva lo scritto. Ma pochi conoscono chi fu, prima ancora di Diderot e Voltaire, a fare di Ipazia un simbolo della lotta massonica al Cristianesimo. Pochi… ma non nessuno, grazie anche alle edizioni Clinamen che, a cura di Federica Turriziani Colonna hanno tradotto per la prima volta in Italiano il libro di John Toland, Ipazia. Donna colta e bellissima fatta a pezzi dal clero (titolo originale: Hypatia or the History of a most beautiful, most virtuous, most learned and in every way accomplished lady, who was torn to pieces by the clergy of Alexandria to gratify the pride, emulation and cruelty of the archbisoph commonly but undeservedly titled St Cyril), pubblicazione che fa le delizie di Piergiorgio Odifreddi, Margherita Hack (figlia – pochi lo sanno – di un teosofo), del Grand’Oriente d’Italia e di tutta la UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti) che ne promuove la diffusione.

John Toland (1670-1722) pubblicò il suo libello su Ipazia nel 1720. Tre anni prima, nel 1717, venivano fondate (o rifondate, per quel che riguarda la Massoneria) in Inghilterra due società esoteriche: la Massoneria e, col massone Stukeley, l’Ordine Druidico, dedito al risorgere dei miti pagani celtici e nordici (non mancano eredi contemporanei di tale mitologia massonica!). Toland, di volta in volta definito repubblicano, deista, sociniano, panteista, libero pensatore, illuminista radicale, anticipatore del materialismo ateista del XVIII sec. ecc. fu quasi certamente implicato nell’una e nell’altra fondazione (su Toland e Massoneria, cf ad esempio Margaret Jacob, L’Illuminismo radicale, 1981). Ecco le fonti del “mito di Ipazia”, dalla Loggia alle sale cinematografiche.

Detto del mito (Ipazia come macchina da guerra dei liberi pensatori e massoni contro il Cristianesimo) che dire della storia? Gli autori classici che raccontano l’episodio, colorando di tinte fosche la figura di san Cirillo, non sono imparziali… Pesano sugli uni l’avversione religiosa (sono ariani, o nestoriani, a denigrare Cirillo) o su gli altri, quella etnico-politica dei Bizantini contro i Copti. E poi spuntano i Giudei. I Giudei? Cosa c’entrano? Ce lo racconta – col suo solito stile graffiante che non guarda in faccia a nessuno – un autentico storico e un autentico cattolico, Mons. Umberto Benigni, in queste poche pagine tratte dalla sua Storia Sociale della Chiesa (Vallardi editore, Milano, 1912,vol. II, tomo I, pp. 406-408).

San Cirillo, Ipazia, i Pagani e i Giudei, di Mons. Umberto Benigni

«…In Alessandria stessa Bisanzio era degnamente rappresentata dal prefetto Oreste, colui che abbiamo visto geloso dei vescovi. Le angherie, le provocazioni, le parzialità prefettizie avevano profondamente irritato il popolo alessandrino, cotanto irrequieto di per sé stesso. Eccessi non potevano mancare da una parte e dall’altra in un tale ambiente.

In Alessandria gli ebrei erano numerosissimi e, inutile dirlo, influentissimi sul prefetto imperiale. Per loro istigazione Oreste fece torturare un certo Jerace maestro elementare, accusato dagli ebrei di essere un emissario di Cirillo per far nascere tumulti. Saputo ciò, Cirillo chiamò i capi degli ebrei, e li avvertì che se non cessavano di tumultuare contro i cristiani, ne avrebbero pagato la pena.

Da ciò maggiormente irritati e sempre più imbaldanziti dalla connivenza prefettizia, gli ebrei stabilirono di assalire di notte i cristiani e di bruciare la chiesa detta d’Alessandro. I cristiani avvertiti in tempo accorsero per opporsi all’incendio, e ne successe una colluttazione sanguinosa.

Al dire di Socrate, che va preso col beneficio dell’inventario, Cirillo (evidentemente persuaso dell’inutilità anzi del pericolo di ricorrere ad Oreste), messosi a capo della cittadinanza cristiana tolse le sinagoghe agli ebrei, li espulse dalla città e lasciò che la plebe ne saccheggiasse i beni. È facile rimettere a posto queste notizie tendenziose dello storico bizantino. Se gli ebrei si preparavano a coronare coll’incendio di una chiesa la serie dei loro misfatti anticristiani; se la cittadinanza accorsa a salvare la chiesa aveva avuto una terribile collisione con i briganti del ghetto, – non c’era davvero bisogno che intervenisse Cirillo per cacciare i giudei dalle sinagoghe e da Alessandria, e “permettere” (sic) che la plebaglia ne saccheggiasse le case. Se in tutto ciò intervenne Cirillo, fu, senza dubbio, opportuno nell’interesse stesso degli ebrei, giacché senza l’intervento del veneratissimo patriarca è ovvio supporre quanto più gravi sarebbero stati gli effetti della reazione antisemita.

Il complice Oreste, infuriato dal vedere la piega che prendevano le cose, scrisse a modo suo all’imperatore. Ma Cirillo non perse tempo; anche egli scrisse al Cesare mandandogli un rapporto sulle scelleratezze ebraiche commesse in Alessandria. Intanto per calmare gli animi, e nell’interesse comune, Cirillo aveva mandato degli intermediari ad Oreste per calmarlo e riprendere le relazioni. Il buon Socrate che vuol sempre attribuire il male a Cirillo ed il bene agli altri, insinua che a queste pratiche di pace Cirillo era stato costretto dal popolo alessandrino: lo creda chi lo può, cioè chi non conosce la storia di quel popolo.

Quello che è certo si è che Oreste non volle sapere di pace; onde la situazione divenne sempre più tesa, e gli animi sempre più s’irritarono. I monaci, numerosissimi e ardentissimi, facili agli eccessi come quel popolo da cui direttamente venivano (il monacato egizio era quasi tutto copto, e, del resto, era laico) parteggiavano vivamente per il loro patriarca e detestavano il prefetto corrotto e corruttore.

Socrate racconta (e il beneficio dell’inventario sarebbe più che mai opportuno, ma pur troppo è impossibile) che circa cinquecento monaci della Nitria si recarono in Alessandria; e, incontrato Oreste, lo insultarono chiamandolo pagano e sacrificatore. Vistosi a mal partito, Oreste protesta di essere cristiano; ma un certo monaco Ammonio lancia un sasso che colpisce Oreste al capo; allora i littori impauriti (sic) si disperdono fra il popolo, ma questo caccia via i monaci. Ammonio è arrestato e finisce la vita tra le torture; Cirillo voleva farlo venerare come martire (Socrate, H.E., XIV).

Ugualmente sono oscuri i dati esatti della morte della filosofessa Ipazia (Socrate, XV) uccisa nei tumulti antisemiti. È certo che la sua casa era il centro non solo e non tanto di un’accademia neo-platonica, quanto di un vero partito di ellenismo politico-sociale attivamente anticristiano.

Il popolo cristiano di Alessandria non si ingannò quando nella sinagoga e nella casa d’Ipazia sentì due centri di lotta anticristiana, probabilmente alleati nella pratica dell’odio comune. Se è dunque a deplorarsi ogni eccesso in genere e la tragica fine d’Ipazia in ispecie, lo storico non può non constatare che simili eccessi furono la crisi naturale di uno stato intollerabile di cose. La sinagoga, l’ellenismo pagano, la prefettura venale e partigiana, erano tre piaghe di cui Alessandria soffriva sempre più senza vedere il come liberarsene pacificamente e legalmente. In uguali circostanze ogni tempo ed ogni luogo ha visto uno scoppio di furore del popolo che tenta curarsi da sé col ferro e col fuoco.

È facile per uno scrittore partigiano, antico o moderno, renderne responsabile Cirillo; ma non è difficile allo storico sereno ed oggettivo di mostrare la tendenziosità di certi racconti e la mancanza di prove per certe accuse.

Per la storia serena ed oggettiva Cirillo d’Alessandria è una grande figura religiosa e civile. Uomo retto, quanto risoluto e fattivo, egli vede l’errore dommatico di Nestorio come il malgoverno di Oreste; li combatte risolutamente, duramente, come i tempi e le persone lo imponevano. Se egli ebbe i difetti delle sue qualità, possiamo bene esaltarlo al disopra di tanti suoi contemporanei ed anche di tanti suoi colleghi che ebbero o difetti suoi o i difetti opposti senza avere le qualità sue o equivalenti».

Note

1) Nel suo articolo, ostile ai cristiani copti, Cardini ricorda che questi ultimi misero a morte Ipazia nel IV secolo, ma non ricorda che i medesimi cristiani copti vengono uccisi e perseguitati nell’Egitto del XX e XXI secolo.

2) Il film invece sarà proiettato anche in Italia, a partire dal 23 aprile. Il regista cileno-spagnolo – omosessuale dichiarato – ha già girato un film per sostenere l’eutanasia (Mare dentro). L’attrice protagonista di Agorà, che impersona Ipazia, l’israelita ungherese Rachel Weisz, ha duramente attaccato la Chiesa Cattolica a Cannes. Ma per Cardini si tratta di un film assolutamente obbiettivo e veritiero… 

https://www.sodalitium.biz/sodalitium_pdf/64.pdf pp. 36-40.