Genocidio di Gaza: anche The Jerusalem Post scrive che il Re è nudo
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 44/24 del 7 maggio 2024, San Stanislao
Genocidio di Gaza: anche The Jerusalem Post scrive che il Re è nudo
Sulle questioni della Terra Santa il nostro centro studi generalmente non attinge alle fonti palestinesi bensì agli organi di stampa legati al Patriarcato latino di Gerusalemme e alla Custodia di Terra Santa. Alla vigilia del temuta battaglia a Rafah, destinata a crescere ulteriormente il numero delle vittime tra la popolazione palestinese (stremata fisicamente e psicologicamente), il sito terrasanta.net ha manifestato la sua indignazione riportando un articolo molto critico (almeno per il lettore medio italiano) del quotidiano The Jerusalem Post, uno delle testate più importanti dello stato ebraico, nei confronti del governo.
Probabilmente le severe considerazioni del giornale non sono causate dalla pietà per i quasi 40.000 palestinesi sterminati in 6 mesi, tra cui 16.000 bambini. Le cause sono da ricercare invece nella preoccupazione per l’isolamento internazionale e per la crescente insicurezza interna, frutti della prova di forza ricercata dalla componente governativa legata al sionismo messianico anche prima del 7 ottobre. Se i sostenitori italiani “dell’unica democrazia” sono tranquillamente seduti sulle loro poltrone di casa, in Israele un numero sempre maggiore di famiglie piange le centinaia di giovani soldati israeliani morti in guerra, un dato che la propaganda cerca di nascondere il più possibile, come nasconde le immagini dei continui funerali. Per non parlare dell’insofferenza sempre maggiore (il 70% della popolazione) nei confronti dell’esenzione alla leva per gli oltre 65.000 giovani ebrei ortodossi.
La società israeliana paradossalmente paga duramente il motivo stesso della sua esistenza, cioè l’ideologia sionista che da decenni ha sconvolto la Palestina (con la sua florida componente cristiana sino al 1948) e tutto il Vicino Oriente. E mentre a Tel Aviv si grida che il re è nudo, in Occidente i politici si sono ridotti al deprimente ruolo di foglie di fico.
Netanyahu vuol davvero sconfiggere Hamas?
La domanda circola nell’opinione pubblica israeliana e approda sul quotidiano The Jerusalem Post. Intanto l’esercito con la stella di Davide si prepara a dar battaglia dentro Rafah e ordina ai profughi della Striscia di Gaza di sfollare altrove.
L’esercito israeliano ha iniziato a chiedere ai palestinesi di evacuare i quartieri orientali di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, vicini al confine israeliano, in vista di un’offensiva di terra pianificata nell’area. I civili sono stati invitati a trasferirsi nelle zone di al-Mawasi e Khan Yunis, nel sud di Gaza. Per convincere i palestinesi ammassati nei pressi del confine con l’Egitto a spostarsi, da ieri sera l’esercito sta lanciando a tappeto volantini in arabo, senza tralasciare l’invio di sms, chiamate telefoniche e annunci sui media locali (quelli superstiti). Nel volantino che invita a spostarsi è detto che ci sarà «una massiccia azione militare».
Secondo fonti dell’esercito, sarebbero sei i battaglioni di Hamas rimasti nella Striscia di Gaza, quattro dei quali a Rafah: Yabna (sud), Shaboura (nord), Tel Sultan (ovest) e Rafah est. Altri due battaglioni sarebbero dislocati nel centro di Gaza, nei campi di Nuseirat e Deir al-Balah. Oltre un milione di civili palestinesi si trovano profughi nei pressi di Rafah. Si stima che circa 100mila si trovino nella zona di cui le forze armate israeliane hanno chiesto l’evacuazione.
Ma mentre si prepara l’offensiva di terra, almeno a parole osteggiata da Washington, sulla stampa israeliana si dibatte sulla vera strategia di Netanyahu e sulla risposta che il governo israeliano sta dando negli ultimi mesi alla crisi di Gaza. In un articolo di Hanan Steinhartmay comparso sul quotidiano The Jerusalem Post del 3 maggio scorso (il più letto da giorni), si analizzano «le reali intenzioni e gli obiettivi di Netanyahu nella guerra attuale». In un momento in cui l’esercito ha ritirato gran parte delle sue truppe da Gaza, quale può essere davvero la volontà del premier di sconfiggere la formazione terroristica islamica?
«Subito dopo il 7 ottobre – scrive l’opinionista – Israele ha goduto di un sostegno enorme e completo da parte dell’amministrazione statunitense e della maggior parte dei governi occidentali. La domanda ovvia è, quindi: perché Israele non ha approfittato di quel sostegno nei primi mesi della campagna per l’occupazione di Rafah e la completa sconfitta di Hamas nel sud? Netanyahu ha una serie di tratti negativi della personalità, ma la stupidità non è uno di questi. Ha anche molta esperienza nella gestione e nella manipolazione delle persone. Pertanto, è preoccupante il fatto che Israele abbia posto fine alla manovra di terra a Gaza e abbia volontariamente abbandonato tutte le leve di pressione dall’ottobre al dicembre 2023, in un momento in cui Hamas è lungi dall’essere eliminato e gli ostaggi sono ancora nei tunnel».
Quale sarebbero allora le motivazioni di questa strategia?
«La guerra a Gaza si sta concludendo con una risposta debole semplicemente perché Netanyahu preferisce un Hamas indebolito che controlla ancora Gaza, rispetto a qualsiasi altra entità che riceva riconoscimento e cooperazione internazionale».
Secondo fonti diplomatiche, sarebbe allo studio un’opzione internazionale per una soluzione. «Il Consiglio di sicurezza dell’Onu potrebbe nominare un’autorità internazionale di transizione, una task force a guida Nato, che entrerà nella Striscia di Gaza per un periodo limitato di 5 anni. Durante questi anni verranno gettate le vere fondamenta dello Stato palestinese. L’organismo sarà anche responsabile della ricostruzione di Gaza, della costruzione delle istituzioni statali nella Striscia di Gaza e della preparazione delle elezioni tra 5 anni. Se il modello avrà successo, si applicherà anche alla Cisgiordania».
Dal punto di vista di Netanyahu, spiega Steinhartmay, ciò mette in pericolo tutto il lavoro fatto dalla destra negli ultimi anni e la ragion d’essere del governo Ben Gvir-Smotrich-Netanyahu: «In un mondo senza Hamas, non sarà più possibile evitare la questione palestinese e le richieste degli Stati Uniti e del mondo su questo tema». Non a caso Bezalel Smotrich dichiarava nel 2015 che «Hamas è una risorsa» e Netanyahu, in una convention del suo partito Likud nel 2019, sosteneva senza esitazioni la necessità del rafforzamento di Hamas.
Per il premier israeliano, in sostanza, non sarebbe davvero conveniente debellare i terroristi: «Hamas, indebolito ma vivo, e con il controllo di Gaza, è la chiave per garantire a Netanyahu la possibilità di mantenere lo status quo, inclusa la sua permanenza al potere».
Hamas dunque, per l’opinionista, manterrà il controllo di Gaza, nonostante l’annunciata iniziativa di terra in corso su Rafah. «Gli interessi condivisi tra il leader di Hamas Yahya Sinwar e Netanyahu sono semplicemente troppo grandi per consentire all’esercito di avere successo. Sembra incredibile? Lasciamo parlare i fatti e non i rappresentanti del governo».
Fonte: https://www.terrasanta.net/2024/05/netanyahu-vuol-davvero-sconfiggere-hamas/