Lo sterminio dei civili a Gaza: anche la parrocchia cattolica verso il baratro
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 98/23 dell’11 dicembre 2023, San Damaso
Lo sterminio dei civili a Gaza: anche la parrocchia cattolica verso il baratro
El Yousef (patriarcato latino): “nella parrocchia latina stanno finendo farina, acqua e carburante”
“Serbatoi d’acqua posti sul tetto distrutti, stessa sorte per i pannelli solari, carburante esaurito, dunque scarse possibilità di produrre energia elettrica e di garantire un minimo di comunicazione stabile. Danni agli edifici e alle macchine parcheggiate all’interno provocati da schegge di bombardamenti caduti nella zona”. Sono le poche e scarne notizie che arrivano dalla parrocchia latina della Sacra Famiglia, l’unica cattolica della Striscia di Gaza, dove stanno trovando rifugio circa 600 persone.
A fornirle è l’amministratore generale del Patriarcato latino di Gerusalemme, Sami el Yousef. Il compound parrocchiale comprende, oltre alla chiesa, la scuola, l’asilo, tre conventi e due case per la cura dei bambini con handicap e anziani e vari ambienti parrocchiali, come un campo polivalente e saloni per l’attività pastorale. L’amministratore generale avverte che “stanno finendo anche le scorte di farina e che per questo motivo il pane viene cucinato sul posto solo a giorni alterni, quando le condizioni lo permettono. Comincia a scarseggiare anche il cibo, l’acqua e le medicine”. La situazione è resa ancora più grave dal fatto che “per motivi di sicurezza nessuno può uscire dalla parrocchia e nessuno si può avvicinare”.
“Adesso, ad aggiungere sale sulla ferita – denuncia el Yousef – è il veto degli Stati Uniti alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu” che chiedeva il “cessate il fuoco umanitario a Gaza” e definiva la situazione umanitaria “catastrofica”. “Cosa sta aspettando il mondo?”, è il grido dell’amministratore generale. Il testo della risoluzione, presentato dagli Emirati, chiedeva anche la protezione dei civili, il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi ancora detenuti da Hamas.
Alle parole dell’amministratore fanno eco quelle di George Antone, referente di Caritas Gerusalemme a Gaza: “Finora siamo sopravvissuti a tutto ciò che è stato e crediamo che sopravviveremo a tutto ciò che sarà. Il nostro Dio non ci ha mai lasciati e non ci abbandonerà. Per favore – è l’appello – teneteci nelle vostre preghiere”. Come è noto, dopo l’ordine israeliano di evacuazione dal nord di Gaza, la quasi totalità della comunità cristiana di Gaza (1017 fedeli, in maggioranza ortodossi [eterodossi scismatici], poco più di 100 sono i cattolici, ndr.) ha scelto di restare e trovare rifugio nella parrocchia greca di san Porfirio e in quella latina della Sacra Famiglia, situate nel quartiere di Zeitoun, a Gaza city.
Sulla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza:
Marie Aure: «La situazione è peggiorata molto dopo la tregua. Mai visti tanti minori tra le vittime»
Se un bambino di 5 anni ti dice «voglio solo morire», che cosa rispondi? «Niente. Lo abbracci, e stai in silenzio». È quello che ha fatto Marie Aure Perreaut, coordinatrice di Medici Senza Frontiere a Gaza , quando un suo paziente ha scoperto di essere rimasto senza famiglia e senza un braccio. «Siamo abituati a lavorare in zone di guerra, ma non avevamo mai incontrato bambini così piccoli con pensieri suicidi», racconta. Aure risponde da al Aqsa Hospital, ospedale che si trova nel mezzo della Striscia.
Che cosa vede in questo momento?
«Siamo circondati da centinaia di feriti e di morti. I corridoi traboccano di persone a terra, operiamo in condizioni terribili. I bombardamenti sono continui, a volte anche vicinissimi all’ospedale. Tremano i muri e saltano le finestre. Pazzesco che nemmeno le strutture sanitarie siano protette».
La situazione è peggiorata dopo la tregua?
«Di molto. Il 6 dicembre sono arrivati in ospedale più morti che feriti. Dal primo al 7 dicembre sono stati accolti in pronto soccorso 1.149 pazienti, di cui 350 senza vita. In migliaia sono ancora sotto le macerie. Mancano le medicine, e con i bombardamenti a Sud, temiamo che non arriveranno nuove scorte».
Ci sono molti minori tra le vittime?
«Un numero mai visto, anche tra i feriti. Amputiamo bambini di un anno. Capita spesso che siano gli unici sopravvissuti delle loro famiglie».
Come il bambino che le ha detto «voglio morire».
«Ormai ogni sopravvissuto di Gaza ha una tragedia da raccontare. C’è una bambina di 9 anni che è in ospedale da una settimana. È arrivata con il cranio aperto, una scheggia in una gamba e altre nelle braccia. La madre, il padre, il fratello e la sorella sono morti nel bombardamento. I nostri psicologi stanno inventando storie per diluire la ferocia della sua nuova realtà, ma è durissima».
Come è un suo giorno tipo ad al Aqsa?
«Lavoriamo senza sosta. Facciamo circa 120 medicazioni e 35 interventi importanti al giorno. La notte non riusciamo a dormire per le bombe. Il cibo scarseggia, ma non voglio lamentarmi, penso ai nostri medici di Gaza».
Cioè?
«Sono 300 i medici di Msf della Striscia, noi facciamo parte della delegazione internazionale, siamo in 30. È una situazione di stress mai vista prima. Capita che stiano medicando e vengano a sapere della casa bombardata, di un parente ucciso».
Se incontrasse Netanyahu che cosa direbbe?
«Che è una follia. Direi cessate il fuoco immediatamente. Mettete in salvo i bambini. Lasciateci lavorare nelle giuste condizioni».
Che cosa pensa delle reazioni internazionali alla guerra?
«Da dentro è doloroso ascoltare il dibattito che viene da fuori. Mi sento senza potere, senza speranza, sono arrabbiata. A Gaza ci si sente soli».