Gli sconfitti della storia: Giuliano l’Apostata
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 87/12 del 19 ottobre 2012, San Pietro d’Alcantara
Gli sconfitti della storia: Giuliano l’Apostata
Abbiamo già parlato di Giuliano l’Apostata nel maggio scorso: https://www.centrostudifederici.org/ieri-come-oggi-ai-rabbini-piacciono-gli-imperatori-anticristiani Il rabbino Riccardo Di Segni ha criticando le cerimonie commemorative per il 1700° anniversario della vittoria di Costantino nella battaglia di Ponte Milvio e, in contrapposizione all’opera costantiniana, ha elogiato la figura di Giuliano l’Apostata. Avvicinandosi l’anniversario costantiniano del 2013, ritorniamo sulla figura di Giuliano l’Apostata con la voce tratta dall’Enciclopedia Cattolica.
Giuliano l’Apostata
(…) La preoccupazione più grande e quasi lo scopo unico del suo governo fu quello di arrestare la marcia del cristianesimo e restaurare l’ellenismo come religione pubblica e come politica; e le sue attività e benemerenze politiche sociali furono fatte, si può dire, in vista ed in funzione di questo scopo. Intraprese a tal fine una lotta senza derogare in apparenza ai principi di tolleranza religiosa, ma in realtà con passione ed asprezza, irritandosi se incontrava delle difficoltà, usando meschini dispetti, talvolta anche crudeli, facendo contro i cristiani una guerra sorda nella quale più di una volta compromise la sua dignità.
Durante i primi mesi di governo si mostrò ragionevole e tollerante, sperando che tutto sarebbe riuscito facilmente secondi i suoi piani. Al suo avvento al governo, il paganesimo era ufficialmente in decadenza: le leggi di Costanzo ne avevano accelerato la dissoluzione. Sulla fine del 361 Giuliano emise i primi editti di restaurazione facendo riaprire i templi, ricostruire quelli che erano caduti o erano stati abbattuti; ordinò il pristino dei pubblici sacrifici e concesse ampi privilegi a tutti coloro che si adoperavano per il risveglio del culto degli dei.
Concesse, è vero, nel febbraio 362, l’amnistia a tutti i vescovi esiliati da Costanzo, ma più che spinto da un sentimento di giustizia, lo fede per reazione alla politica del predecessore e, principalmente, perché pensava e sperava che il provvedimento sarebbe riuscito una causa di lotta interna tra cattolici ed ariani e quindi avrebbe accelerato la disgregazione del cristianesimo. Più tardi infatti non esitò a perseguitare e ricacciare in esilio alcuni vescovi, tra cui anche s. Atanasio, i quali, anziché attuare anche inconsciamente le mire di Giuliano, erano riusciti piuttosto a stroncare di più il paganesimo risorgente.
Ma il favore da lui apertamente a questo accordato, fu la causa di feroci rappresaglie da parte del popolaccio, sicuro della protezione imperiale. In parecchie città furono saccheggiate chiese, uccisi sacerdoti, violate vergini sacre; tumulti avvennero in più luoghi come a Bosra e ad Alessandria, dive lo stesso vecchio amico di Giuliano, Giorgio, vescovo ariano della città, fu massacrato, senza che l’imperatore punisse i colpevoli, contentandosi solo di una recriminazione epistolare. I cristiani naturalmente, non potendo sperare giustizia da parte delle autorità, reagirono ritorcendo le ingiurie; da qui repressioni individuali e collettive come a mero in Frigia, ad Antiochia, Gaza, Eliopoli, Aretusa, Edessa, Cesarea, ecc.
Le resistenze che Giuliano incontrava nell’attuazione dei suoi disegni lo irritavano maggiormente e a poco a poco divenne settariamente autocrate. Nella primavera del 362 fece venire a corte i suoi vecchi maestri teosofi Massimo e Prisco, e con il loro consiglio iniziò la lotta più aperta. Il 27 giugno promulgò la legge sull’insegnamento, giudicata iniqua dallo stesso Ammiano Marcellino, secondo la quale la previa approvazione dei consigli municipali, doveva essere ratificata dallo stesso Imperatore. Più che dalla loro competenza si trattava di giudicare dalle loro idee religiose, poiché non si poteva tollerare che i dispregiati “galilei” insegnassero o studiassero le lettere classiche permeate di mitologia e di paganesimo, se non credevano a queste cose. Gli insegnanti furono perciò costretti a scegliere tra la fede e al scuola: molti lasciarono le cattedre, altri cercarono di sostituire ai classici grechi e latini composizioni cristiane, come fecero i due Apollinari, padre e figlio, versificando la Bibbia, scrivendo tragedie, commedie, dialoghi, liriche di argomento cristiano.
Contro il clero, poi, emise una serie di decreti con i quali lo privava degli antichi privilegi, sottoponendo agli obblighi militari; costrinse i militari a venerare gli dei dipinti sulle insegne dalle quali aveva fatto togliere la Croce; a tutti vietò gli uffici delle magistrature e delle amministrazioni, né permise che fossero insigniti di onori o dignità.
Per combattere i cristiani non si peritò di sollecitare l’adesione degli Ebrei per i quali tentò anche di restaurare il tempio di Gerusalemme con la perfida segreta malizia di smentire la profezia di Gesù (Mt. 24, 2, Lc 21, 5 sg); ma le tremende scosse di terremoto e le fiamme che si levarono dalle rovine, lo costrinsero a desistere dall’impresa. (…)
(Tratto da: Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico – Città del Vaticano, Casa Editrice G. C. Sansoni, Firenze1951, voce Giuliano l’Apostata, a cura di Agostino Amore, Vol. VI, Col. 742-743)